Stampa e televisione ci raccontano di una coppia lombarda, che ha un figlio affetto da epilessia [la forma specifica è esattamente la sindrome di Dravet, N.d.R.], a cui in un primo momento era stata negata dal Tribunale dei Minori di Milano la possibilità di un’adozione internazionale, possibilità invece poi accordata dalla Corte d’Appello milanese, dietro ricorso della famiglia.
Mi sembra che in occasione di una notizia come questa, la cosa sensata da fare sia quella di rimettere al centro il vero protagonista della vicenda che invece sulla stampa tende ad essere escluso: il bambino o la bambina che eventualmente verrà adottato e che in questo caso concreto ovviamente ancora non ha né un nome né un volto.
È infatti di lui in primis, prima ancora che dei genitori di un bambino disabile e del bambino disabile stesso, che questa vicenda ci narra e della necessità di tutelarlo, di inserirlo eventualmente in un nucleo che possa ragionevolmente garantirne una crescita e uno sviluppo il più sereno ed equilibrato possibile.
Il Giudice Minorile aveva deciso in un senso, la Corte d’Appello in un altro. Le carte non le abbiamo, né io, né i Lettori di Superando, né quelli del «Corsera».
Sarebbe sbagliato assumere un tono da crociata ed etichettare tra i “cattivi” il Giudice Minorile e tra i “buoni” l’avvocato della coppia e la Corte d’Appello. Senza le carte, tutto quello che sappiamo ce lo dicono i giornali e il meccanismo “buoni/cattivi” proprio dell’informazione è troppo poco per una vicenda che è complessa e incide sul futuro di quattro persone.
La Corte d’Appello aveva il potere di emettere un giudizio diverso, lo ha fatto, anche sulla base di quanto hanno ritenuto di evidenziare i legali della famiglia in tema di limite del dispositivo del Tribunale dei Minori. Bene così.
La disabilità, come la malattia, è una forma della vita, non è elemento necessariamente ostativo a un’adozione («…hanno già un figlio con problemi…»), ma nemmeno necessariamente favorente («…con un figlio disabile sanno già come affrontare le difficoltà…»). Dipende.
Dipende dalle singole storie e dalle capacità umane e professionali di chi opera nell’ambito delle problematiche dei minori e deve valutare l’affidabilità di una coppia e di quello specifico, unico, irripetibile sistema familiare.
Meglio quindi evitare di generalizzare, come fanno già in queste ore televisioni e giornali, trasformando una possibilità quasi in una sorta di diritto intoccabile e finendo quindi per dimenticare invece qual è il vero protagonista della vicenda, pur ancora senza un nome e senza un volto, ma con un’anima che già esiste proprio per la disponibilità di quella coppia.
«Le sentenze non si giudicano, si rispettano», sentiamo spesso recitare dai politici in televisione: che per una volta possiamo dare loro ragione?
*Responsabile Redazione Sportelli Sociali del Comune di Bologna.