Sono passati quasi quattro anni da quando ho iniziato a lavorare, come educatore, al Centro di Riabilitazione della Comunità Progetto Sud di Lamezia Terme (Catanzaro). Non so dire se un arco di quattro anni sia poco o tanto, il tempo è un concetto relativo, ma so che si è trattato di anni pieni: carichi di affetti, di relazioni umane – fatte di discussioni e concordie – di delusioni e gioie, di vittorie e sconfitte.
Non voglio fare un bilancio del tempo trascorso, anche perché non credo sia il momento per farlo; sento però la necessità di raccontare, di condividere come sono crollate quelle sovrastrutture mentali – e per queste intendo tutti i ragionamenti superflui, spesso dettati da pregiudizi, che non ci fanno vedere il reale senso delle cose – che ero convinto di non avere.
Inizia tutto qualche tempo fa, quando alcuni dei ragazzi che frequentano il Centro di Riabilitazione, e che si trovano nella fase adolescenziale, iniziano a palparsi, soli o reciprocamente, le zone intime. È naturale che ciò avvenga in questa età, meno naturale è che io, come educatore, mi trovi spiazzato e confuso. Le domande che mi passano per la testa – «cosa faccio?», «che cosa posso dire?», «come mi comporto?» – sono quelle giuste, le risposte completamente sbagliate.
Inizio a cercare nei libri qualcosa che mi aiuti a capire come si spiega il sesso nei ritardi mentali, mi informo su corsi di formazione che trattano il sesso nei disabili, cerco – senza trovarle – risposte plausibili alle mie domande. Questa continua – e col senno di poi – ingenua ricerca non ha fatto altro che sottrarre tempo prezioso nel lavoro con i ragazzi.
Un giorno, nel vederli palparsi davanti al gruppo di lavoro, chiedo: «Perché vi toccate?». «Perché ci piace!». Ha così inizio un discorso, un parlare.
Loro, pieni di ansia e di paura, a chiedere se è normale che “diventi duro”, se è normale avere “voglia di toccarsi”, di masturbarsi; più loro chiedevano, più io mi sentivo stupido. Non mi sono reso conto che le loro erano le paure di tutti i ragazzi che scoprono la sessualità. Avevano solo bisogno di un confronto e di un appoggio. Abbiamo discusso, chiacchierato, scambiato opinioni e punti di vista.
Settimanalmente sono state svolte attività di gruppo; in ogni incontro si è parlato di sesso. Le prime volte lasciando esprimere solo i ragazzi, facendo raccontare le loro esperienze, le loro difficoltà, senza né critiche né osservazioni di alcun genere. Successivamente, durante uno degli incontri, si è discusso del linguaggio: il “pisello” è diventato pene, e la “farfallina” è diventata vagina. In seguito è stato dato spazio alle loro domande, senza fornire risposte preconfezionate, ma lasciando che rispondessero da sé ai propri dubbi; la mia unica risposta era: «Secondo voi perché?». In questo modo si è ragionato insieme; si è discusso senza dare risposte, ma ponendo altre domande. Probabilmente, anzi sicuramente, c’è da fare ancora tanto affinché questi ragazzi vivano meglio il rapporto col sesso, ma nei loro visi, nelle loro espressioni, ho capito che abbiamo intrapreso la strada giusta.
Mi sono reso conto quanto parlare di sesso sia – ancora oggi – qualcosa di complicato anche per chi, come me, era convinto di avere una mentalità aperta, libera da tabù. Le difficoltà sono tante anche per i genitori, l’educazione sessuale dei figli è spesso trascurata, se poi quei figli sono disabili, l’argomento diventa proibito; sono lasciati soli nel conoscere e capire il proprio corpo.
Questo stato di cose fa in modo che i ragazzi, o le ragazze, non vivano in modo corretto il rapporto con se stessi e gli altri. Se iniziano a toccarsi, gli viene risposto che “non si fa”, rendendo “sporco” e sbagliato un gesto naturale.
La masturbazione diventa necessaria, per sopperire alla mancanza di un rapporto sessuale e non dev’essere proibita o vietata, ma spiegata e fatta capire: come farla, quando farla, dove farla. Prima dei figli bisogna educare i genitori, affinché capiscano quanto è importante non restare ancorati a un falso senso del pudore che nasconde paure e ansie proprie.
Quel cambiamento nella moralità delle persone riguardo al sesso – che ebbe luogo tra la fine degli Anni Sessanta e l’inizio dei Settanta – forse non ha dato i frutti che si sperava. La libertà sessuale, come sosteneva Pasolini, «è in realtà una convenzione, un obbligo, un dovere sociale, un’ansia sociale, una caratteristica irrinunciabile della qualità di vita del consumatore» (P.P. Pasolini, Scritti corsari, Milano, Garzanti, 2010). Ciò che oggi viene accettato è la pornografia che propinano in TV, non il sesso come atto libero e naturale.
Riceviamo ogni giorno messaggi a sfondo sessuale, ogni giorno vediamo immagini erotiche: nei film, nelle pubblicità e persino nei cartoni animati. Quando però dobbiamo parlare di sesso, soprattutto spiegare il sesso, scatta il senso di pudore. Ancora Pasolini: «Risultato di una libertà sessuale “regalata” dal potere è una vera e propria generale nevrosi. La facilità ha creato l’ossessione; perché è una facilità “indotta” e imposta, derivante dal fatto che la tolleranza del potere riguarda unicamente l’esigenza sessuale espressa dal conformismo della maggioranza».
Per chiarire meglio, credo sia importante rileggere le parole di Marco Lombardo Radice: «[…] una vera “liberazione” della sessualità, appunto il suo recupero come gioco, divertimento puro, irrazionalità, è oggi talmente lontana da noi da risultare quasi impossibile anche solo immaginarla: rimanda al problema più generale del recupero di una dimensione “naturale” dell’uomo nella nostra civiltà cancellata da secoli […]»; e ancora «sembra assolutamente necessario riprendere insieme al discorso sulla sessualità quello sulla coppia, la gelosia, la possessività, l’amore, su queste cose strane di cui ci si vergogna a parlare e che si evita anche solo di nominare, ma che sono problemi importanti per tutti […]» (M. Lombardo Radice, Una concretissima utopia, Roma, Edizioni dell’asino, 2010).
Tante volte ripenso a quei momenti con i ragazzi e mi rendo conto che il problema, la difficoltà nell’affrontare il tema del sesso non era loro ma mio. Io avevo paura a parlarne, io vivevo male quanto accadeva, ero io incapace ad affrontare il discorso. Non loro ma io. Sento di doverli ringraziare; con loro ho conosciuto meglio me stesso, sono cresciuto sia professionalmente sia umanamente. Mi sono reso conto di quanto fossero infondate le mie convinzioni. Sono stati loro a far crescere me. Loro mi hanno educato alla mia professione.
Ho sempre visto la riabilitazione come una strada in salita, dove tendere la mano e tirare dietro di sé chi ha bisogno; oggi so che la riabilitazione è come un lungo viale alberato, fatto di luce e ombra, dove tendere la mano e fare insieme un cammino.