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Serve una nuova legge per ripristinare la vera inclusione

Bimba con disabilità davanti a insegnante, si gira verso l'obiettivo fotograficoLa Sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale (TAR) del Lazio n. 5551/12, depositata il 16 giugno scorso, è certamente interessante, sia perché è stata pronunciata in revocazione di una precedente Sentenza dello stesso TAR, sia perché conferma un orientamento giurisprudenziale ormai consolidato sul diritto alle ore di sostegno, sia perché applica le deroghe anche ai casi di disabilità non grave. Vediamo dunque uno per uno questi tre distinti aspetti.

1. I genitori di un alunno con disabilità non grave avevano presentato ricorso al TAR, per chiedere l’aumento delle ore di sostegno e il risarcimento dei danni, oltre che, ovviamente, la sospensiva del provvedimento che assegnava solo cinque ore settimanali di sostegno.
All’udienza sospensiva, i ricorrenti – per ottenere una Sentenza definitiva, ormai consentita dal nuovo Codice di Procedura Amministrativa,  ai fini di una riduzione dei tempi del processo – avevano rinunciato alla richiesta di risarcimento del danno, lasciando inalterata l’istanza di aumento delle ore di sostegno. Nella fretta della decisione, il TAR aveva però erroneamente ritenuto che si fosse rinunciato a tutto (sia cioè al risarcimento del danno che alla richiesta di un maggior numero di ore di sostegno) e aveva quindi dichiarato «improcedibile il ricorso, per sopravvenuta carenza di interesse dei ricorrenti». Appena letta la Sentenza, questi ultimi avevano dunque presentato ricorso per la revocazione del precedente provvedimento, «per errore materiale», azione, questa, consentita dal Codice di Procedura Amministrativa.
Ovviamente, come osserva la più recente Sentenza, non avrebbero potuto presentare la richiesta dell’aumento delle ore di sostegno in appello, anziché in revocazione, poiché in appello non si possono proporre nuovi motivi e, secondo la Sentenza revocata, i motivi della richiesta dell’aumento delle ore di sostegno sarebbero stati ormai «preclusi per rinuncia dei ricorrenti».
Il TAR ha quindi fatto giustizia processuale di un primo aspetto pregiudiziale per il resto, ciò che poi era stata la ragione fondamentale del primo ricorso.

2. La nuova Sentenza ha accolto la richiesta, fondandosi sui soliti ben noti articoli 2 e 38 della Costituzione, sulla Legge 104/92, sulla Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea, sulla Carta Sociale Europea e sulla Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità del 2006, ratificata, nel nostro Paese, dalla Legge 18/09. Su questo aspetto, quindi, nulla da dire.

3. Interessante è invece la decisione di assegnare le deroghe massime di 25 ore settimanali di sostegno in scuola primaria, pur in presenza della certificazione di disabilità non grave, ai sensi dell’articolo 3, comma 1 della Legge 104/92; e ciò in base allo spirito della Sentenza 80/10 della Corte Costituzionale, che ha cancellato i commi 413 e 414 dell’articolo 2 della Legge 244/07, nella parte in cui essi vietavano di concedere deroghe anche nei casi di disabilità grave.
Pertanto, la Sentenza della Corte avrebbe fatto rivivere la norma dell’articolo 40, comma 1 della Legge 449/97, che aveva consentito la stipula di contratti per assegnare più ore di sostegno. Infatti il TAR così argomenta: «Ancorché il figliolo dei ricorrenti non rientri nella situazione di handicap qualificato come grave ai sensi dell’art. 3, comma 3 della L. n. 104 del 1992 quanto piuttosto in quella di cui all’art. 3, comma 1 della medesima legge, tuttavia la eliminazione dal mondo giuridico dei due commi 413 e 414 dell’art. 2 della L. Fin. n. 244 del 2007 impone all’amministrazione di valutare in relazione alla situazione di gravità dell’handicap da cui sia affetto il fanciullo la possibilità di completare il suo percorso formativo con il sostegno di un insegnante ad hoc, nella considerazione che egli è iscritto alla seconda elementare e quindi si trova all’inizio del percorso di apprendimento scolastico».
In tale passaggio, è assai interessante il ragionamento del TAR, secondo cui, se a parere della Corte Costituzionale occorre tener conto non solo della gravità della disabilità, ma anche della specificità della minorazione, tale criterio non può essere utilizzato solo per concedere il massimo delle ore in presenza di una disabilità grave, ma esso deve pure consentire il massimo delle ore anche in presenza di una disabilità non grave, purché la specificità della minorazione e la situazione lo richiedano.
Nella fattispecie, ci si trovava in presenza di un alunno con disabilità non grave. Egli però era all’inizio dei suoi studi (seconda primaria) e gli erano state assegnate solo 5 ore di sostegno, rispetto alle 40 di insegnamento settimanali.

Ragazzo in carrozzina a scuolaOsservazioni
Va certamente apprezzata la logica non formalistica usata dal TAR nella sua decisione, che però non risulta coerente, dal momento che essa compensa le spese, pur in presenza di una vittoria e del fatto che il ricorso in revocazione era stato determinato non da un errore dei ricorrenti, ma della precedente decisione dello stesso TAR.

Sul merito, poi, sia consentito osservare che la decisione – come risulta dalle motivazioni esposte – si fonda su un ragionamento molto semplice il quale, però, non corrisponde alla cultura e alle buone prassi di inclusione scolastica, così come si sono realizzate nei primi tempi degli Anni Settanta ed Ottanta. Dire infatti che l’alunno ha solo 5 ore rispetto alle 40 di insegnamento settimanali, equivale a dire che il sostegno è la risorsa principale per la riuscita dell’inclusione. E allora, ci si chiede, perché fermarsi alle 25 ore settimanali e non assegnarne 40, come hanno già disposto alcune decisioni di altri TAR?
In realtà, in tutto il processo normativo e di prassi dell’inclusione, si deve purtroppo osservare una crescente obnubilazione del fondamento stesso dell’inclusione e cioè la presa in carico del progetto inclusivo da parte di tutto il Consiglio di Classe, sostenuto da un docente specializzato che collabora coi colleghi curricolari, i quali però sono essi stessi ad avere in primis il dovere dell’inclusione. Invece, con il passare degli anni e con la perdita della spinta propulsiva originaria dei docenti curricolari che avevano realizzato il processo di inclusione, sia i nuovi docenti curricolari – specie di scuola secondaria e a causa della loro specifica impreparazione – sia le famiglie – a causa del crescente numero di alunni per classe, che di fatto impedisce ai docenti curricolari di seguire  gli alunni con disabilità – hanno richiesto un crescente numero di ore di sostegno, anche con ricorsi sempre più numerosi al TAR e al Consiglio di Stato.
In tali ricorsi, poi, l’Amministrazione Scolastica è risultata sempre soccombente, poiché non solo non ha mai evidenziato che i docenti curricolari sono la risorsa primaria, assieme ai compagni, di una buona inclusione, ma non ha neppure potuto dimostrare che i docenti curricolari fossero minimamente formati, istituzionalmente, sia inizialmente che obbligatoriamente in servizio, sulla didattica dell’inclusione.

Alunni in classeDal canto loro, i Magistrati – che non sono obbligatoriamente pedagogisti – si sono basati sulle norme. E in ciò le norme non li hanno aiutati. Infatti – dando per sottinteso che il compito primario dell’inclusione spetti ai docenti curricolari – l’articolo 12, comma 5 della Legge 104/92 stabilisce che alla formulazione del Piano Educativo Individualizzato (PEI) partecipino – oltre ai genitori e agli operatori sociosanitari – il solo docente specializzato e lo psicopedagogista, ove esistente. C’è voluto quindi il Decreto del Presidente della Repubblica (DPR) del 24 febbraio 1994 (regolamento applicativo di quella norma della Legge 104/92), per scrivere espressamente che alla formulazione del Piano Educativo Individualizzato partecipino tutti i docenti della classe. E tuttavia, in nessun’altra norma primaria si trova quanto è scritto in questa norma regolamentare e tale mancata esplicitazione – unitamente alle ragioni sopra esposte – ha contribuito alla deriva involutiva della delega al solo docente per il sostegno del progetto di inclusione scolastica.

Sembra quindi utile, a questo punto, oltre che corrispondente alla vera natura dell’inclusione scolastica, l’esplicitazione in una norma di legge che: l’inclusione scolastica è compito primario dei docenti curricolari, seriamente formati inizialmente e obbligatoriamente in servizio (avvalendosi della collaborazione dei docenti specializzati per il sostegno) e operanti in classi non numerose, secondo quanto stabilito – ma assai poco rispettato – dall’articolo 5, comma 2 del DPR 81/09 e cioè composte da non più di 20 alunni e con non più di due alunni con disabilità, come previsto dalle stesse Linee Guida Ministeriali sull’Integrazione Scolastica dell’agosto 2009.
Si confida pertanto nella pronta emanazione di una tale norma, per ripristinare i veri valori qualitativi dell’inclusione scolastica.

*Vicepresidente nazionale della FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap).

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