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Donne e disabili: un conflitto tra diritti?

Particolare di viso femminile, con espressione di profondo sconfortoDa qualche giorno in Germania, Austria, Svizzera e Liechtenstein è disponibile un nuovo test in grado di diagnosticare la sindrome di Down del nascituro durante la gravidanza. Rispetto alle altre procedure, questo test (PrenaTest) è molto meno invasivo perché può essere fatto attraverso l’analisi del sangue. Si tratta di uno strumento pensato per le donne a partire dalla dodicesima settimana di gravidanza, o laddove sia presente un alto rischio di trisomia 21 – la sindrome di Down, appunto – per il nascituro.
Come prevedibile, non si è fatta attendere la reazione negativa delle associazioni di matrice religiosa e pro-life, che vedono nell’uso di questa procedura il rischio di un maggiore ricorso all’aborto. Ma a reagire in modo forte è stata anche la Federazione Internazionale delle persone affette da sindrome di Down (Down Syndrome International), che lo scorso giugno ha chiesto alla Corte Europea dei Diritti Umani di pronunciarsi contro la commercializzazione del test al fine di tutelare il diritto alla vita delle persone con disabilità.

Ma il diritto delle donne di poter disporre del proprio corpo (eventualmente anche ricorrendo all’interruzione volontaria di gravidanza) lede il diritto alla vita delle persone con disabilità? Se consideriamo il “feto con disabilità” come una persona, allora è legittimo individuare un conflitto di diritti tra persone (la donna, e la persona/feto disabile). Ma per affermare ciò, occorre riconoscere che tutti i feti sono persone; non si capisce infatti perché al “feto con disabilità” dovrebbe essere riconosciuto uno status giuridico diverso (e superiore) da quello degli altri feti. Se invece non consideriamo il feto (qualunque feto) come una persona, allora non vi sono dubbi sul fatto che la titolarità di un diritto in capo a una persona (la donna) debba avere una tutela che non può essere accordata a “qualcosa” che persona non è.
La questione, dunque, è più lineare di quel che a prima vista potrebbe sembrare: si tratta di decidere se si è favorevoli all’aborto oppure no. Affermare, come pure è stato fatto, «io sono per la libertà di scelta della donna, ma se sceglie di abortire a causa delle anomalie del feto, sta compiendo un atto discriminatorio contro le persone disabili» è una contraddizione in termini. Chi riconosce la libertà della donna di disporre di sé, infatti, non può mettersi a sindacare su come lei scelga di disporre di sé. Entrare nel merito delle motivazioni personali che possono indurre una donna ad abortire esprimendo giudizi di valore sulle sue scelte significa, in concreto, negare a quella donna il diritto ad autodeterminarsi. Significa “passare sul suo corpo” per tutelare i propri interessi o le proprie convinzioni personali.

Che le persone con disabilità si battano per veder riconosciuti i propri diritti e tutelare i propri interessi è legittimo e doveroso. E tuttavia ci sono tanti modi per farlo. Ad esempio, costruendo un immaginario positivo delle persone disabili, ma magari evitando di pensare di poter disporre del corpo femminile a propria discrezione, solo perché in uno specifico frangente “torna comodo” alla propria causa. Anche le donne, infatti, sono una categoria svantaggiata.
Si può essere favorevoli all’aborto legale oppure contrari. Entrambe queste posizioni vanno rispettate. Chi è contrario all’aborto è libero di non farvi ricorso, ma non di imporre la propria opinione a chi non la condivide.
Il concetto di genitorialità responsabile implica che chi si appresta a diventare genitore valuti in modo attento se è in grado di affrontare questo impegno. Scegliere di mettere al mondo un figlio con disabilità comporta generalmente un investimento maggiore che negli altri casi. Non va infatti dimenticato che la mancanza/carenza di servizi pubblici adeguati “obbliga” questi genitori (e soprattutto le donne) a svolgere il ruolo di “ammortizzatori sociali”. Pertanto la scelta di mettere al mondo un figlio con disabilità è legittima se la donna (e la coppia) valuta di essere in grado di affrontarla. È invece una scelta irresponsabile se la donna (e la coppia) non si sente adeguata a sostenerla. Ma come fa una donna (e una coppia) a compiere scelte responsabili, se le viene impedito di accedere alle informazioni utili a conoscere il tipo di responsabilità cui andrà incontro? Francamente non sembra una grande strategia politica quella di tentare di affermare il diritto alla vita delle persone disabili limitando ai genitori l’accesso alle informazioni sulle condizioni del nascituro.

Una persona con disabilità mi ha detto «se mia madre avesse abortito, io non sarei qui». Neanche io, amico mio, neanche io! Ma siamo qui a parlarne.

Oltre ai testi pubblicati in passato dal nostro sito e qui a fianco indicati, l’Autrice del presente articolo, indica anche, per approfondire, le seguenti fonti:
Diagnosi della Sindrome di Down in vendita primo test “fai da te”, in «la Repubblica.it», 20 agosto 2012.
– Disabled People’s International (DPI) Europa, Le persone con disabilità discutono della nuova genetica. Dichiarazione di orientamento di DPI- Europa su bioetica e diritti umani, Londra, DPI Europa, ©2000.
– Frenda, Angela, Guardatela si chiama Nella Cordelia. “La mia bimba Down, sono pazza di lei”, in «Corriere della Sera.it», 1° ottobre 2011.
– Germania, test prenatale sindrome Down, in «ANSA.it», 20 agosto 2012.
– Gruppo Donne UILDM (Unione Italiana Lotta alla Distrofia Muscolare), Coordinamento (a cura di), Aborto: non si può sorvolare, Padova, Gruppo Donne UILDM, 20 febbraio 2008.
– Jona, Ludovica, Aggressività, mobbing, discriminazioni “Spesso le donne pagano per aver procreato figli disabili”, in «SuperAbile», 8 marzo 2012.
– Noury, Riccardo, Un test prenatale per la sindrome di Down viola i diritti umani?, in «Corriere della Sera.it», 22 agosto 2012.
Sindrome Down: in Europa test prenatale “fai da te”, è polemica, in «AGI.it», 20 agosto 2012.
Sindrome di Down: via libera in Germania al test delle polemiche, in «Il Sole 24 Ore» (versione on line), 21 agosto 2012.
Test prenatale per la sindrome di Down, polemica in Germania, in «Il Secolo XIX» (versione on line), 20 agosto 2012.

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