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Paolo, nel cuore di tutti

Elisabetta Guarino e Paolo Cia

Una bella immagine di Paolo Cia insieme a Elisabetta Guarino

È ancora tanta la commozione e l’amarezza nel mondo del tennis italiano, per la scomparsa prematura del campione di tennis in carrozzina Paolo Cia, vittima, il 13 agosto scorso, di un tragico incidente automobilistico. Una ruota di scorta che si stacca da un TIR lungo l’Autostrada A1 colpisce la sua auto e gli fa perdere il controllo del mezzo, che poi si andrà a schiantare contro quello stesso TIR.
Paolo Cia aveva solo 43 anni e una vita tutta da vivere, all’insegna dell’amore per lo sport, per la famiglia e per la sua compagna Elisabetta, all’insegna della stima e dell’affetto palpabile nelle relazioni con i suoi innumerevoli amici. Era uno dei migliori giocatori italiani di tennis in carrozzina, arrivato in pochi anni a occupare la terza posizione del ranking nazionale, vincendo diversi tornei, l’ultimo dei quali poche settimane fa a Forlì.
Paolo giocava anche per un sogno, quello di indossare la maglia azzurra e di arrivare un giorno alle Paralimpiadi. In primavera aveva partecipato agli Internazionali d’Italia al Foro Italico di Roma, accanto ai suoi idoli Federer, Nadal e Djokovic, conquistando la finale del doppio.

Originario di Pramaggiore in provincia di Venezia, dopo l’incidente che nel 2006 lo aveva reso paraplegico, Cia aveva cominciato ad avere una visione tutta particolare della vita e della disabilità. Diceva infatti che il danno di una disabilità lo sostengono anche i familiari che soffrono ad accettare le limitazioni del loro congiunto, siano essi un figlio, un fratello, lo zio o il compagno. I quali lo amavano tanto ed erano la sua ragione di vita. Sosteneva che la compagna Elisabetta era più brava di lui ad accettare la sua disabilità, perché, nonostante avesse la possibilità di starne fuori, la conviveva assieme a lui nel bene e nel male.
L’azzurro del tennis in carrozzina era anche impegnato sovente nelle scuole, per l’opera di sensibilizzazione contro gli incidenti stradali e nella promozione delle attività sportive con i bambini disabili.
Tragici e inspiegabili gli incidenti stradali nella vita di Paolo, sull’ultimo dei quali, che gli ha fatto perdere la vita, ancora si indaga per fare piena luce. Partito infatti da Pesaro, dove conviveva con la compagna Elisabetta, dopo una settimana spensierata e di riposo, stava andando a prendere l’aereo a Torino, per una settimana di stage a Djerba, in Tunisia, assieme al maestro Gianluca Carbone. Al rientro si sarebbe poi fermato a Torino, per il Trofeo Internazionale della Mole.

Aveva tantissimi amici che lo apprezzavano e lo stimavano e proprio con loro, in un torneo in Austria del 4 agosto, aveva festeggiato il compleanno. Amici come Fabian Mazzei, altro azzurro del tennis impegnato attualmente nelle Paralimpiadi di Londra, che dalla rete e dal social network fa sentire tutta la propria sofferenza e incredulità per la prematura perdita.
Ma le parole più toccanti e le testimonianze più belle ci sono arrivate dalla compagna Elisabetta Guarino, che abbiamo sentito in questi giorni. «Ho conosciuto Paolo sei mesi prima che restasse paraplegico e ci siamo innamorati subito», racconta commossa. «Avevamo interessi in comune, come lo sport, i viaggi, gli amici e la famiglia, io con una figlia, Allison, allora quattordicenne. Quando la vide se ne innamorò subito. Purtroppo anche lei in poco tempo, in un’età difficile, ha vissuto la tragedia dell’infortunio di Paolo e la morte del padre. E adesso a 19 anni rivive un altro lutto. Il 17 ottobre 2006 alle 17 eravamo al telefono e Paolo mi disse che doveva andare a giocare a tennis, ma il suo compagno all’ultimo momento aveva annullato l’impegno e quindi avrebbe fatto solo delle commissioni e mi avrebbe richiamata per le 22, dopo avere giocato a calcio. Da lì è iniziato il mio incubo per il quale non riuscii a contattarlo per due giorni. Poi, finalmente, parlai con il fratello Valter che mi disse che Paolo quel giorno stesso, circa mezz’ora dopo la nostra telefonata, aveva avuto un incidente con la moto, a causa di una ragazza che con la macchina gli aveva tagliato la strada».
Dopo l’impatto, Paolo era stato portato con l’eliambulanza all’Ospedale di Mestre, dove lo avevano operato per tutta la notte, per salvargli la vita, ma dove non avevano potuto fare nulla per la lesione midollare. Dopo un mese di rianimazione, a causa del coma farmacologico, venne trasferito a Udine, presso l’Unità Spinale dell’Istituto Riabilitativo Gervasutta. Elisabetta, proprietaria a Pesaro di un ristorante sul lungomare, allora annuale, che poi in seguito, per seguire Paolo, avrebbe aperto solo in estate, a quel tempo riusciva a stare con lui solo la domenica di chiusura. «Partivo alle cinque del mattino – racconta ancora – e guidavo per quattro ore. Restavo con Paolo fino a mezzanotte, praticamente fino a quando non mi buttavano fuori e poi altre quattro ore di macchina e andavo a lavorare. Ma non mi pesava perché desideravo più di tutto potergli stare vicino».

Paolo Cia sul campo da tennis

Paolo Cia sul campo da tennis

“Bruciate” letteralmente le tappe della riabilitazione, Paolo – appena uscito dall’ospedale – aveva sùbito preso la macchina con i comandi adattati, per andare lui a Pesaro, dalla compagna. E aveva sùbito iniziato a fare sensibilizzazione negli ospedali, dove si faceva portavoce del fatto che la vita non finisce a causa di un incidente o di una malattia e che anzi essa continua e si deve vivere con più intensità di prima.
«Abbiamo anche coltivato il sogno di avere un figlio frutto del nostro amore – continua Elisabetta con gli occhi velati – e i medici di Firenze avevano dato a Paolo esito negativo per i suoi valori bassi. Forse sarebbe riuscito a concepire se avesse avuto una compagna più giovane, ma Paolo avrebbe voluto avere un figlio con me e allora… abbiamo abbandonato il sogno e mi diceva che sarebbe bastata mia figlia e i nostri nipoti a riempirci la vita».

Nel 2010 Paolo Cia si è avvicinato al tennis in carrozzina con risultati eccezionali: terzo in Italia e centotrentesimo nel mondo. Il suo obiettivo era di poter partecipare alle Paralimpiadi di Rio de Janeiro del 2016. «Facevamo tanti altri bei sogni», dice Elisabetta. «Dopo le Paralimpiadi di Rio, Paolo avrebbe mollato il tennis, io chiuso il ristorante, mia figlia ormai grande avrebbe preso la sua strada e noi avremmo girato il mondo anche con un camper, facendoci sempre portavoce della nostra esperienza di vita fino a quando non fossimo diventati vecchi».
Nell’attesa di realizzare questi sogni, in inverno, con Elisabetta al suo fianco, Paolo si allenava tantissimo a Jesolo – perché convive con lei a Pramaggiore, fino all’estate – sia nel tennis che nel basket e nel frattempo praticava anche lo sci, il nuoto, la bicycle, il go-kart, la canoa, la vela, il paracadutismo e il quad. Poi si esibiva in numerose manifestazioni, anche per raccogliere fondi per i bambini con disabilità della Tanzania.
«Era un vulcano, amava la vita e non tralasciava niente, voleva fare tutto, anche troppo! Quando rientrava a casa a Pesaro, tra un torneo e l’altro, metteva da parte allenamenti e progetti e ci rilassavamo andando assieme al mare e in piscina». Elisabetta fa una pausa. «Adesso sono sola ad affrontare questo dolore così atroce e il vuoto così immenso… Io ero la sua forza e lui la mia, ecco perché rimarrà sempre nel mio cuore». E nel cuore di tutti, aggiungiamo.

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