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Pensieri di ordinaria disoccupazione

Centralinisti al computer, fotografati di spalle

«Non possiamo più accontentarci – scrive Nadia Luppi – dello stereotipo del “centralinista cieco”»

Qualche mese fa fui contattata direttamente da un’azienda. La signora che mi contattò mi chiese di inviarle in tutta fretta il curriculum vitae e altra documentazione allegata. Cercavano urgentemente un lavoratore iscritto alla Legge 68/99 [“Norme per il diritto al lavoro dei disabili, N.d.R.] da collocare per assolvere l’obbligo.
Un’ottima notizia. Un posto part-time a tempo determinato nel centralino di un’azienda, di questi tempi, è qualcosa di esaltante. Non importa quale sia il tuo livello di formazione, né quali belle esperienze hai affrontato. Impari a saltare di gioia anche per il centralino; è un’ottima opportunità per mantenerti e proseguire coi tuoi numerosi impegni sul fronte della legalità, del volontariato e della politica.
Dopo mesi in sospeso, però, durante i quali ho continuato ovviamente a inviare candidature, a inventarmi nuove strade, a “fare rete” per una speranza di futuro, mi è arrivata la telefonata della gentile signora: «Buonasera Nadia, sono a dirle che visti i problemi subentrati nel bilancio e nel profitto aziendale, non c’è più l’obbligo di Legge 68/99. Per cui, visto che l’assunzione di un disabile è un costo eccessivo che l’azienda non può permettersi, non sappiamo quando e se potremo in futuro darle notizie positive». La telefonata si è conclusa con un cortese e sentito «Buone cose».

È tutto normale. Niente di nuovo, almeno per me. In ogni caso so bene che in un momento di crisi economica come questo, decadono i diritti per i lavoratori e che anche gli obblighi di legge per l’assunzione di disabili non sono più tali.
Sappiamo tutti che la massa variopinta di disabili o “diversamente normali” che ha diritto alla Legge 68 racchiude in sé una varietà di situazioni infinita. Sappiamo anche che in Italia un giovane su tre non lavora e le donne stanno peggio. Dunque cosa mi aspetto? Siamo in linea, no?
Ma mi si permetta un’osservazione: cosa facciamo, concretamente, noi disabili, per renderci “appetibili”? Non sto mettendo in dubbio la buona volontà del singolo, ci mancherebbe, ma non è un mistero che spesso si sia fatto un abuso di tutele preziose come i permessi da Legge 104 o quelli connessi alle leggi speciali. E a pagare le conseguenze ora sono i disabili giovani che non hanno ancora visto nemmeno l’ombra di una tutela. L’autocritica di per sé non salva il mondo, ma è un buon inizio per trovare una via per migliorarlo, credo.

E di nuovo mi si permetta: cosa propone il mondo della formazione e dell’istruzione, pubblica e privata, ai disabili? Quale preparazione? Ho sentito di aiuti un po’ arrangiati per superare compiti in classe, di voti agli esami universitari arrotondati in nome della compassione, e ho toccato con mano la povertà di percorsi formativi ad hoc per i disabili.
Ho avuto l’impressione che, cullandosi nell’idea – ormai preistorica – che grazie alle graduatorie e all’obbligo i disabili trovino lavoro, è secondario che essi siano formati come e più degli altri. So bene che non è dovunque così, anzi, ci sono punte di eccellenza che potrei nominare una per una senza esitazione. Ma resta il fatto che non possiamo più accontentarci di una legge sull’accessibilità dei testi e dei siti web che è troppo “Stanca” [il riferimento è alla Legge 4/04, “Disposizioni per favorire l’accesso dei soggetti disabili agli strumenti informatici”, nota anche come “Legge Stanca” dal nome del parlamentare che la promosse, N.d.R.], per garantire il diritto di tutti a leggere, imparare e partecipare ai concorsi.
Non possiamo più accontentarci dell’istruzione pubblica, che in qualche modo per obbligo deve assisterci, perché ogni persona ha il diritto di frequentare qualunque corso professionale anche privato senza il cruccio di non avere l’assistenza adatta. E non possiamo più accontentarci di stereotipi quali il “centralinista cieco”.

Non resta che una domanda: l’intero mondo della disabilità è davvero pronto a mettersi in gioco per smantellare vecchi privilegi e interessi privati, garantendo così ai disabili una via per il futuro che però tenga conto del difficile contesto in cui siamo? E sia chiaro, non si tratta di accontentarsi. Ma di dare il meglio per aspirare al meglio.

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