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Un Paese ancora bendato, di fronte ai problemi dei ciechi

Disegno di profilo umano con bendaOggi, 13 dicembre, si celebra la Giornata Nazionale del Cieco, un importante momento, anche a Bologna e Provincia, per fare un quadro della situazione riguardante i ciechi e gli ipovedenti.
Ci piacerebbe cominciare elencando solo situazioni positive, ma la realtà ci costringe ad evidenziare le criticità che la categoria vive ogni giorno.
Oggi, ad esempio, la tecnologia mette a disposizione tanti ausili informatici per leggere e studiare, ma i nostri studenti e gli insegnanti non sempre riescono ad avere i libri in formato digitale, cosicché gli strumenti multimediali utilizzati nella scuola restano inaccessibili a ciechi e ipovedenti. I genitori dei nostri bambini, inoltre, sono costretti a lottare ogni giorno perché i figli abbiano la dovuta assistenza in ambito scolastico.
Per quanto poi riguarda il lavoro, così come per tutto il mondo della disabilità, anche per ciechi e ipovedenti si tratta di un punto dolente: infatti, le professioni che storicamente hanno impiegato la maggior parte di disabili visivi (operatori telefonici, fisioterapisti e insegnanti), sono fortemente in crisi e la legislazione per il collocamento obbligatorio nelle attività sopracitate non viene rispettata dagli Enti Pubblici e ancor meno dai privati. Qui va registrata la chiusura culturale del mondo imprenditoriale, che non favorisce l’assunzione di disabili visivi in ruoli diversi da quelli tradizionali ciò che – con il supporto dell’informatica – sarebbe possibile. Ciechi e ipovedenti, infatti, potrebbero sicuramente svolgere tutte quelle attività che prevedono l’utilizzo del computer e del telefono.
Nell’àmbito infine della vita quotidiana, ogni giorno le persone con disabilità visiva si scontrano con tantissimi problemi in casa e fuori: gestione di elettrodomestici non accessibili, perché dotati solo di display, TV e decoder gestibili solo tramite menu, problemi che sarebbero risolvibili con l’applicazione di sintesi vocali. Le città e i luoghi pubblici presentano poi varie criticità: mezzi pubblici che non annunciano correttamente le fermate, pur essendo dotati di appositi dispositivi, semafori privi di segnalazione acustica, fermate dei bus e attraversamenti pedonali non adeguatamente segnalati con le piastrelle tattiloplantari, “elimina-code” solo con display visivo.

La sintesi delle problematiche sopra riportata è solo un esempio delle difficoltà che ciechi e ipovedenti incontrano tutti i giorni in casa, al lavoro e in città. Il nostro Paese, pur essendo dotato di una legislazione avanzata in fatto di accessibilità e di abbattimento delle barriere architettoniche, è molto carente nell’applicazione e nei controlli.
Ma per concludere, vogliamo riferirci alle campagne contro i “falsi invalidi”, certamente condivise dalla nostra Associazione, ma con alcune doverose precisazioni, che affidiamo, qui di seguito, alle riflessioni del nostro Socio e Consigliere Gennaro Iorio.

«Sono anni che i giornali, con drammatica cadenza, danno la notizia di “falsi ciechi” scoperti dalla Guardia di Finanza. Essendo io cieco, vero, di fronte a tali notizie provo sentimenti di rabbia e di vergogna. I primi nascono dal naturale rifiuto morale che si prova nei confronti di chi si spaccia come cieco non essendolo e che da tale imbroglio ricava tutti i benefìci possibili. Il secondo sentimento, quello della vergogna, nasce dall’essere Cittadino italiano e, in quanto tale, dal vergognarmi di un Paese che permette l’esistenza di tali figure.
Però voglio capire “cosa c’è dietro” e addentrandomi nella notizia, i miei sentimenti mutano. Spesso leggo infatti che il presunto “falso cieco” è stato ripreso mentre apriva il portone senza guardare, oppure mentre attraversava la strada guardando a destra e a sinistra, mentre si fermava davanti a una bancarella, mentre ballava a una festa ecc. ecc.
In me nasce allora la paura e mi chiedo come sia possibile che oggi, ormai quasi nel 2013, in un Paese democratico e industrializzato, si debbano ancora leggere cose del genere. Mi chiedo perché il giornalista non abbia sentito l’esigenza professionale di approfondire il tema: capire cioè se la persona fosse cieca o ipovedente e quale tipo di patologia gli fosse stata diagnosticata; se la persona cieca lo fosse dalla nascita oppure se lo fosse diventata in età adulta e tante altre omissioni.
Solo per fare un esempio: chi ha perso la vista in età adulta possiede una gestualità e un linguaggio del corpo che chi non ha mai visto non possiede, quindi è possibile che nel primo caso la persona guardi, anche senza vedere, prima di attraversare la strada.
Questo è solo un esempio di un’omissione e ogni omissione del genere produce danni incalcolabili al faticoso processo d’integrazione che i ciechi italiani stanno compiendo.
Raramente un giornalista sa cosa oggi un cieco può fare o non fare, e mai un giornalista, prima di scrivere una notizia, sente l’esigenza di rivolgersi a un’associazione di categoria per chiedere chiarimenti. L’importante è scrivere e alimentare il clima di “caccia alle streghe” che ormai da tanti anni va avanti.
Oggi un cieco ha paura di essere se stesso: paura del proprio vicino che guardandolo compiere in autonomia le faccende di casa, si può insospettire e segnalare la cosa alle autorità; paura di qualcuno che vedendoti compiere determinate azioni, come utilizzare un iPhone, possa insultarti.
Molte persone, solo perché camminavano da sole, con il proprio cane-guida o il bastone bianco, sono state insultate dai passanti come “falsi ciechi”.
Fa male sentirsi offendere perché ogni cieco a modo proprio ha conquistato tutto quello che ha con grande fatica. Ha seguito corsi per imparare a utilizzare un computer, corsi per gestire un cane-guida, corsi per muoversi con un bastone bianco, corsi per gestire la propria casa. Ad ogni formazione segue sempre un percorso di messa in pratica, cammino spesso faticoso e ricco di pericoli che, alcune volte, mettono a rischio la stessa vita del cieco. E quest’ultima non è un’iperbole: infatti di ciechi morti sulla strada ce ne sono stati e, purtroppo, ce ne saranno. Tutti morti perché amavano la libertà che si sono conquistati a fatica.
Oggi, quindi, oltre a combattere contro le Amministrazioni per rendere le nostre città più vivibili, dobbiamo combattere anche contro l’ignoranza che la politica prima e i mezzi d’informazione poi stanno creando».

Andrea Prantoni è presidente dell’UICI di Bologna (Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti), Gennaro Iorio ne è Socio e Consigliere.

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