Non sono in grado di fornire spiegazioni cliniche o psicologiche. Non ne ho le competenze. Sono solo un giornalista. Cerco da sempre di verificare le fonti delle notizie e di valutarne l’attendibilità, e magari di dare una mia interpretazione ragionevole.
Quello che sta succedendo in queste giorni mi inquieta parecchio. Un non meglio precisato parente di Adam Lanza, il ventenne autore della strage nella scuola di Newtown (Connecticut, USA), avrebbe confidato a un anonimo agente di polizia che il ragazzo soffriva di una non meglio specificata “forma di autismo”. Lo riferisce, in questi termini, ad esempio, lo staff del network CNN. Nel giro di poche ore questa forma di “autismo” è diventata, in molti notiziari televisivi e anche in alcuni articoli di stampa, una “grave” e poi “gravissima sindrome autistica”.
Non mi risulta che esistano, al momento, dichiarazioni ufficiali, né documenti pubblici, di carattere sanitario o scolastico, che confermino, in tutto o in parte, questa voce rimbalzata, come tante altre notizie frammentarie e concitate, dopo una strage senza precedenti. Il lavoro dei giornalisti, si sa, è ingrato. In poche ore occorre fornire risposte anche quando mancano aggiornamenti effettivi, e anche quando le fonti si contraddicono o si sovrappongono.
Ma la mia preoccupazione è questa. Sappiamo bene quante difficoltà incontrino ogni giorno i familiari di persone con sindrome autistica, alle prese con incertezza di diagnosi, con diffidenza dei contesti nei quali le persone, spesso fragili e chiuse in se stesse, vanno a inserirsi, a partire dalla scuola. È sempre facile scambiare sintomi di disagio, di paura, di autopunizione, per aggressività pericolosa per sé e per gli altri. Il carico emotivo è sempre alto, difficile da reggere in situazioni normali. Ma non mi risulta – lo dico da cronista con trent’anni di lavoro alle spalle – che ci sia mai stato un collegamento diretto fra la sindrome autistica ed episodi di violenza sistematica e preordinata come la strage del Connecticut. E in ogni caso dubito che in Italia un ragazzo autistico abbia la possibilità di utilizzare in casa un arsenale di armi degno di un serial killer. Belle, in questo senso, le riflessioni di Gianluca Nicoletti nel suo blog Obliqua-mente.
Bisognerebbe dunque stare molto attenti a usare le parole e le definizioni, a stigmatizzare e delimitare il comportamento di una persona che improvvisamente decide di compiere un gesto mostruoso, apparentemente senza segnali evidenti che ne facciano presagire l’efferatezza. Anche perché ho la sensazione che comprensibilmente l’opinione pubblica americana stia cercando una via di fuga plausibile rispetto all’argomento principale e determinante, ossia la perniciosa e intangibile libertà di detenere e usare armi in quantità impressionante.
La presa di posizione del coordinamento delle associazioni americane a tutela delle persone autistiche mette subito in guardia rispetto a questo pericolo incombente. Ma non vorrei che anche queste precisazioni venissero lette con la lente deformante del pregiudizio. Come dire: sì, lo dicono “loro” che questa vicenda c’entra poco con l’autismo. Ecco, forse dovremmo dirlo tutti noi.
La violenza che nasce nella mente delle persone è un fenomeno complesso, delicato, a volte del tutto inspiegabile, anche dopo anni di indagini e di analisi. Occorre rispetto, per non fare danni collaterali, usando l’arma letale dello stigma.