La storia che vorrei raccontare fa parte di quegli eventi “sotto traccia” che normalmente non vengono descritti nelle cronache istituzionali dei numerosi momenti tecnici o sportivi che viviamo durante la nostra attività, ma che ne sono senza dubbio il “motore” che ci spinge ad affrontare ogni anno migliaia di chilometri, in nome della passione verso la nostra disciplina sportiva. Spesso, poi, questi momenti sono frutto di curiosi incroci che il destino ci presenta, quasi a volerci ricordare la nostra natura di esseri umani e come tali straordinariamente unici nelle nostre differenze.
Tutto è nato quando, qualche tempo fa, e per una serie di ragioni che non sto a spiegare, sono stato incaricato di assumere la gestione della Scuola Avviamento Trial (SAT) nel fine settimana in Trentino Alto Adige e in Veneto per due appuntamenti formativi [il trial è una disciplina motociclistica, dove più della velocità conta l’abilità nel superare una serie di ostacoli naturali posti sui percorsi da compiere, N.d.R.]. Qui, in occasione della SAT di Egna (Bolzano), ho avuto l’opportunità straordinaria di conoscere Michele. Grazie infatti alla sensibilità della mitica Deborah Albertini, indimenticata campionessa italiana femminile di trial, che ha convinto i genitori di Michele a sperimentare questo test, mi sono trovato di fronte a questo undicenne trentino affetto da autismo.
La prova della moto era in programma a fine giornata, oltre l’orario previsto come termine delle attività, in modo da poter concentrare l’attenzione mia e del collega Vaccaretti (altro tecnico convocato) sulla spiegazione dei primi rudimenti tecnici al nostro simpatico amico Michele. Quest’ultimo – accompagnato ovviamente dai genitori sul campo prova – dava immediatamente segni di impazienza: da appassionato di moto, ci voleva salire e basta, senza troppe chiacchiere!
Eccomi quindi pronto, non prima di avere vestito Michele “da pilota”, con le necessarie protezioni, per farlo salire sulla moto. Ho scelto un monomarcia e dopo averlo acceso, ho disposto il ragazzo sul mezzo nella corretta posizione di guida. Lì è iniziata per lui una vera “apoteosi”!
Immediatamente ha sorriso e ha cominciato a comunicarmi messaggi di grande soddisfazione, culminati in una serie di frasi che a memoria dei genitori non aveva mai detto…. «Potere del trial», ho pensato, cominciando ad accompagnarlo sul percorso previsto per la prova.
Per me sono stati me momenti straordinari, perché il fatto di poter aiutare ad esprimere anche solo per mezz’ora la passione di un ragazzino che normalmente fatica più degli altri, mi ha letteralmente riempito il cuore di gioia.
Abbiamo iniziato restando seduti e in breve ci siamo messi in piedi, come i trialisti veri! I momenti successivi sono stati un rincorrersi di emozioni, con Michele entusiasta, che ha preso confidenza sia con me che con il mezzo meccanico, controllando per un istante da solo la moto, fino all’esaltazione: oramai lanciatissimo, infatti, ha reclamato un giro anche sulla pitbike a nostra disposizione, e così me lo sono caricato davanti, e via per una decina di giri del tracciato, divertito e parzialmente soddisfatto (per la verità avrebbe continuato per ore!), sorridendo e… parlando, articolando frasi legate al suo stato d’animo… Fantastico!
La fine della prova è arrivata, ci siamo salutati con un bacio e con l’impegno di rivederci al più presto, per approfondire l’esperienza. Dal canto loro, i genitori, increduli, ci hanno spiegato che mai Michele aveva parlato così tanto… fantastico! Avrei poi saputo più avanti, da Deborah Albertini, che una moto trial elettrica è stata acquistata nel frattempo al ragazzino.
Senza ora entrare in argomenti medici che non sono di mia conoscenza, devo però registrare la bontà della “terapia trialistica” verso soggetti che hanno la vita scandita da ritmi tutti loro, proprio come Michele. La mia personale percezione è che la moto stimoli quell’ancestrale desiderio di sfidare se stessi, che fin dall’antichità era perfettamente espressa dalla figura mitologica del Centauro, metà uomo e metà cavallo.
Dopo avere conosciuto Michele ed essermi reso conto una volta di più che la diversità è un’occasione di crescita, vorrei concludere lanciando un umile messaggio di speranza a tutti i genitori: «Non accontentatevi mai, cercate sempre la pienezza nelle vostre relazioni, sfruttate l’opportunità che avete di comunicare, di capire ed essere capiti. Solo in questo modo potremo maturare quella consapevolezza di noi stessi che risulta poi il valore aggiunto sia nella vita che nello sport». E mi si perdoni l’intensità, ma scrivo da padre di un quattordicenne affetto, sin dall’età di sei anni, da una malattia genetica…
Ringraziamo Giovanni Coletti per la segnalazione del testo.