Tra i tredici punti del manifesto/appello recentemente proposto alle forze politiche dall’ANFFAS (Associazione Nazionale Famiglie di Persone con Disabilità Intellettiva e/o Relazionale) e integralmente ripreso anche dal nostro giornale, ve n’è uno dedicato all’istituto dell’amministrazione di sostegno, ove si scrive tra l’altro che «purtroppo, anche se rivisitati, sono ancora presenti nel nostro ordinamento i vecchi istituti di protezione giuridica dell’interdizione e dell’inabilitazione, che di fatto determinano la “morte civile” della persona con l’annullamento della sua dignità. È necessario che questi vengano definitivamente abrogati e che si rafforzino l’istituto dell’amministrazione di sostegno e tutti gli strumenti che tutelano e favoriscono la capacità di agire delle persone con disabilità».
Un’analisi certamente puntuale, che fa ben capire come sia ancora tanto il lavoro da fare su questo versante e quanto siano meritorie, in tal senso, iniziative come il progetto lombardo AdS (Amministratore di Sostegno – l’attenzione alla persona), avviato nel 2009 dalla Fondazione Cariplo, dal Coordinamento dei Centri di Servizio per il Volontariato e dal Comitato di Gestione del Fondo Speciale Regionale per il Volontariato, in partnership con la LEDHA (Lega per i Diritti delle Persone con Disabilità), con l’Associazione Oltre noi… la vita e con la Regione stessa.
Proprio dal coordinamento di quel progetto ci giunge ora la bella testimonianza di una volontaria, amministratrice di sostegno di un giovane in situazione di estrema fragilità e vulnerabilità, la cui storia – come tante altre di cifra analoga -, ci sembra possa essere il modo migliore per dare ulteriore sostanza e visibilità all’importanza di questa figura, introdotta ormai da nove anni (Legge 6/04) nell’ordinamento giuridico del nostro Paese, proprio per tentare di “segnare una svolta”, superando le assai più rigide forme dell’inabilitazione e dell’interdizione.
Sono amministratore di sostegno di un ragazzo che versa in una situazione di estrema fragilità e vulnerabilità, con una diagnosi di disturbo di personalità borderline: non è in grado di prendere delle decisioni, è portato a cambiare continuamente idea, e ha anche difficoltà a rapportarsi con altre persone.
Il Giudice Tutelare ha ritenuto opportuno nominare un amministratore di sostegno esterno alla famiglia, in considerazione dei rapporti ancora oggi conflittuali con la famiglia di origine. Con il decreto di nomina in qualità di amministratore di sostegno, ho potuto e posso:
– sostenere il ragazzo nell’assumere rapide decisioni in merito al luogo di vita, ascoltando le sue aspirazioni e consigliando l’inserimento temporaneo in una comunità;
– mantenere i contatti con i medici, in particolare con gli psicologi e gli psichiatri di riferimento, per assicurare che il percorso terapeutico e psicoterapeutico possa svolgersi con l’adesione del ragazzo;
– mantenere i rapporti con gli enti previdenziali e assistenziali al fine di ottenere ogni supporto possibile sia economico che assistenziale;
– gestire le somme che i genitori periodicamente forniscono per il mantenimento, supportandone l’uso appropriato.
Ho ricevuto la nomina senza prima conoscere il beneficiario e così il primo passo è stato quello di incontrarlo, spiegando il mio ruolo e il tipo di sostegno che avrei potuto dare. Inizialmente non è stato facile perché mi vedeva come una “figura nemica”, pensava a me come una persona che voleva mettere i “bastoni fra le ruote”, non si rendeva conto che il suo stile di vita non era adeguato. All’inizio vedeva la situazione come persecutoria.
Dopo un’iniziale titubanza, però, il ragazzo ha gradualmente mutato atteggiamento, ho superato la sua iniziale diffidenza ed egli ha iniziato a vedermi come un’alleata con specifiche competenze per sostenerlo ed accompagnarlo nelle scelte. Ci siamo riusciti.
Ormai sono amministratore di sostegno di questo ragazzo da tre anni e poso dire che ha fatto passi da gigante, passando da una situazione di stato passivo a una situazione più propositiva, mantenendo nel tempo le scelte fatte e le conseguenze di queste scelte. Ha intrapreso un percorso terapeutico di due anni in una struttura, dopo il quale è stato dimesso con un parere favorevole, ha trovato un lavoro e anche una compagna.
Nello svolgere il ruolo, ho giustamente dovuto mediare con i familiari e i servizi che hanno in carico la persona, tenere i contatti con gli psichiatri e gli psicologi, affiancando il beneficiario nel periodo d’impatto con le tensioni del mondo esterno, assicurando sostegno nelle nuove modalità di vita.
Ci sono stati, quindi, importanti e positivi cambiamenti nel percorso: il beneficiario non solo ha seguito le cure prescritte, ma il suo progetto di vita ha previsto la scelta di un’abitazione, un’attività lavorativa e una relazione sentimentale stabile. In considerazione del processo di maturazione e responsabilizzazione, il Giudice Tutelare, al quale avevo comunicato la nuova situazione, ha modificato il decreto di nomina, diminuendo i poteri dell’amministratore di sostegno e consentendo un ulteriore recupero di responsabilizzazione e quindi di autonomia del beneficiario.
Posso concludere questa mia testimonianza con la consapevolezza di avere in corso un’esperienza positiva: le nostre vite, quella del beneficiario e la mia, si sono incontrate e stiamo proseguendo insieme; non è facile, ma lui può contare su di me e sicuramente la sua vita si è stabilizzata in meglio.