«È incredibile come lo Stato ti obblighi a mandare i figli a scuola e poi li metta in pericolo non fornendo loro l’assistenza necessaria e qualificata», parole di Margherita Bravo [se ne legga già anche nel nostro giornale, N.d.R.].
Megghy, questo il nick su Facebook, da mesi è in lotta con il mondo della scuola e la burocrazia della sua Sicilia per ottenere per Gabriele, il figlio di nove anni colpito da paralisi celebrale alla nascita e quindi non autosufficiente, un assistente che lo imbocchi e che gli somministri farmaci in casi di crisi epilettica. Una vicenda intricata fatta di norme comunali – che definiscono il mansionario degli assistenti personali a scuola e che esclude l’imboccamento – che contraddicono leggi che invece prevedono una figura di sostegno per chi non può nutrirsi da solo. A questo si aggiunga una sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale (TAR), che restituisce alla famiglia il numero di ore di assistenza per il figlio con disabilità (ore che erano state ridotte in precedenza). Una Sentenza che aiuta, ma che non può ovviare al problema di fondo: l’assistente di igiene personale per l’autonomia delle persone e la comunicazione è presente infatti nelle ore stabilite, ma non imbocca Gabriele: troppo rischioso. A ogni boccone, a causa della sua disfagia, il bimbo rischia di soffocare. Inoltre si pone un altro problema: chi interviene in caso di crisi epilettica?
E si potrebbe proseguire con l’elenco, partendo dalle mancanze più basilari, «come l’assenza di un bagno per persone con disabilità o una semplice stanza dove lo possa cambiare», chiosa Bravo. Negli ultimi due anni di scuola primaria, questo impegno di far fare merenda al figlio è stato assunto dalla madre che è riuscita a strappare alla preside un permesso. «Alle 10.30 entro in classe e do da bere e da mangiare al mio piccolo, ma chi se ne occupa dalle 9 alle 10.30 e da dopo l’intervallo fino a fine scuola? Gabriele, non potendo parlare, non può nemmeno chiedere aiuto».
Non parliamo ovviamente di un solo caso isolato; infatti, i ragazzi con disabilità grave inseriti nella scuola sono molti e per molti si trovano soluzioni “tampone” che coinvolgono i genitori. Una tra le tante è quella che coinvolge un padre che sosta fuori dalla scuola della figlia tutto il giorno, pronto a intervenire con i farmaci se la bimba, con sindrome di Rett, ha delle necessità. Ma è vita questa? Possibile che all’interno di una scuola pubblica non ci sia una persona con conoscenze mediche, capace di intervenire?
Quanto mi piacerebbe ogni tanto scrivere di vicende positive, ma ultimamente la scuola dà solo cattivi esempi. Non basta l’impegno di quelle migliaia di insegnanti, assistenti e dirigenti scolastici. La buona volontà spesso serve a tappare le falle, ma è necessaria una ristrutturazione profonda perché la “diga non venga giù”. Ci vuole il pensiero per prendere in considerazione le vere esigenze di chi la scuola la frequenta: quanto potrebbe infatti servire personale preparato a gestire le emergenze, dalla crisi epilettiche alle allergie alimentari, che possono causare shock anafilattici (si veda ad esempio l’Associazione BAM-Bimbi Allergici a Milano).
Ci vuole azione: per trasformare il pensiero in realtà. Ci vogliono soldi, quelli veri, non le briciole.