La Cassazione non fa legge, ma rischia di creare problemi

(Ri)affermando infatti, in una recente Sentenza, che il reddito cui fare riferimento, per la pensione di invalidità civile, non è solo quello individuale, ma va sommato a quello del coniuge, la Corte di Cassazione non fa legge, ma potrebbe condizionare il confronto in corso fra INPS e Ministero del Lavoro sul delicato tema. Le dure denunce di FISH e CGIL, che chiedono un rapido intervento del Parlamento

Disegno di bilancia della giustizia con un piatto più basso dell'altroViene manifestata preoccupazione, da parte della FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap), e sottolineato l’elevato rischio, per migliaia di persone, di perdere il diritto alla pensione di invalidità, dopo il recente pronunciamento della Corte di Cassazione (Sezione Lavoro, Sentenza n. 7320 del 22 marzo 2013), sulla questione dei limiti reddituali da applicare ai fini della concessione della pensione agli invalidi civili. Dopo indicazioni di segno opposto, infatti, l’Alta Corte ha affermato ora che il reddito a cui fare riferimento non è solo quello individuale, ma deve essere sommato a quello del coniuge, se presente. In tal senso è stato ribadito quanto già affermato in una Sentenza – sempre della Cassazione – del 25 febbraio 2011 (Sezione Lavoro, n. 4677).

Dopo avere doverosamente premesso che «la Sentenza non è legge e non incide immediatamente sulle prestazioni di milioni di invalidi civili», ma che essa potrebbe «condizionare il confronto in corso fra INPS e Ministero del Lavoro proprio su questo tema», la FISH ricorda in un comunicato come «il 28 dicembre 2012, l’INPS avesse emanato la Circolare n. 149 che già prevedeva il computo del reddito coniugale (e non più individuale) ai fini della concessione della pensione. In seguito poi alle proteste delle Associazioni e dei Sindacati e al conseguente intervento del Ministero del Lavoro, quella Circolare era stata ritirata dall’INPS, in attesa, appunto, di un’istruttoria fra il Dicastero e l’Istituto». In tal senso, la stessa FISH aveva giudicato allora, quel provvedimento dell’INPS, come «un atto contrario a ogni regola democratica e morale».
«Riteniamo – dichiara Pietro Barbieri, presidente della Federazione – che questo “pasticcio” debba essere sanato politicamente dalle Camere, che il Parlamento debba riappropriarsi della propria funzione legislativa, intervenendo sulla delicata materia e pronunciando quella che è l’interpretazione esatta». Sulla stessa linea, Barbieri ricorda anche che nella precedente Legislatura era stata depositata una precisa Proposta di Legge (Atti della Camera, n. 4231) che però non era mai giunta alla discussione.
«Ci appelliamo a tutti i Parlamentari – conclude il Presidente della FISH – affinché quella Proposta non solo venga ripresentata, ma che sia anche calendarizzata al più presto, discussa e approvata. Il rischio che, in forza di una decisione assunta nelle aule di tribunale, migliaia di persone rimangano prive di protezione (già minima) è elevatissimo».

Su toni analoghi si esprime anche Nina Daita, responsabile dell’Ufficio Politiche per la Disabilità della CGIL, che «pur nel massimo rispetto dell’Alta Corte», dichiara di «non condividere assolutamente tale Sentenza», aggiungendo che a dover fare chiarezza, «dev’essere ora il Parlamento, determinando una vera giustizia sociale nei confronti dei più poveri e dei più deboli, come lo sono le persone invalide».
Anche la dirigente sindacale ricorda poi che «questa Sentenza non fa legge e, in ogni caso, occorre che il Parlamento faccia presto chiarezza perché l’invalidità in quanto tale è un fattore individuale e non certo familiare. Pensare infatti di colpire così i più deboli non può appartenere a uno Stato che pretenda di essere equo e governato dal semplice buon senso».
«Il reddito da conteggiare – sottolinea Daita – dev’essere quello individuale perché l’invalidità stessa è individuale. Prendendo come riferimento invece il reddito familiare, non si fa altro che colpire la parte più debole e indifesa del Paese, introducendo per paradosso gravi discriminazioni tra gli stessi invalidi. Basti pensare che due persone con una stessa invalidità possono o meno percepire l’assegno se siano sposati o meno. Un fatto inconcepibile. L’assegno deve sì essere legato all’invalidità e anche a un reddito, ma quest’ultimo di certo non può essere un discrimine». E conclude informando che «dal canto suo, la CGIL si farà garante e lotterà con tutte le sue forze contro questa Sentenza che riduce i diritti di cittadinanza». (S.B.)

Segnaliamo anche un approfondimento sulla questione qui trattata, a cura del Servizio HandyLex.org.

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