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Staminali, quanti “delitti” si commettono in tuo nome!

Marie-Jeanne-Roland-de-la-Platière

Prima di andare alla ghigliottina, Marie-Jeanne-Marie-Roland-de-la-Platière avrebbe pronunciato la celebre frase: «O Libertà, quanti delitti si commettono in tuo nome!»

Se Marie-Jeanne Roland de la Platière, che in punto di morte, nel 1793, avrebbe pronunciato la celeberrima frase sugli eccessi della Rivoluzione Francese («O Libertà, quanti delitti si commettono in tuo nome!»), fosse vissuta oggi, portata al patibolo da una malattia inguaribile, pronuncerebbe forse le medesime parole, sostituendo “libertà” con “staminali”!
Nei duecento anni e poco più, intercorsi tra la Rivoluzione e i tempi odierni, il contesto si è naturalmente modificato, ma restano sostanzialmente uguali le passioni che lo animano. Da una parte la gente comune pressata dal bisogno, ieri di avere un minimo di libertà e di rappresentatività, oggi di speranza di guarigione per molte malattie degenerative, dall’altra i “nobili” che si arroccavano nei loro ormai anacronistici privilegi, forse paragonabili alle multinazionali del farmaco, che sui mali dell’umanità (e sulla cura di essi) costruiscono le loro fortune.

Il discorso sullo sfruttamento commerciale delle disgrazie altrui è lungo come la storia dell’umanità: dalle meraviglie ingegneristiche dell’antico Egitto a quelle della Roma imperiale, costruite con il sudore e il sangue di un numero sterminato di schiavi, al baratto mercantile delle indulgenze nei secoli bui della Chiesa, al lavoro dei deportati-schiavi nelle industrie tedesche ai tempi della follia hitleriana.
Tornando alle staminali e allo sfruttamento commerciale di una scoperta che potenzialmente apre notevoli speranze nella terapia di patologie prima “inguaribili”, il ragionamento è assai complesso e, a mio insignificante parere, si presta ad essere impostato a diversi livelli, il primo dei quali, generalmente il più trascurato, è quello di non limitarne la trattazione ai soli aspetti clinici. Prima cioè di analizzare i risultati delle sperimentazioni a tutt’oggi note ed eseguite con criteri di scientificità condivisa e comprovata, è opportuno chiedersi perché il binomio “bambino-famiglia” debba sempre essere considerato come “soggetto passivo” della terapia, anziché come “parte attiva” di un trattamento che non sia solo farmacologico.

In tempi e in campi molto diversi i “casi” Di Bella*, Doman* e ora Vannoni* dovrebbero avere insegnato che è la mancanza di risposte “ufficiali” e di coinvolgimento informato alle istanze urgenti e totalizzanti delle famiglie, che spinge a ricercare terapie e metodiche fuori del consenso accademico. Ben venga allora, in un’ottica di condivisione, una seria divulgazione dei pro e dei contro, che rifugga sia da sensazionalismi pietistici che dall’autoreferenzialità di una classe medica che spesso, come tutti gli umani, prende notevoli cantonate.
Se le famiglie trovassero ascolto alle loro ansie, in luogo di un “balletto” di divieti e concessioni, con intervento di divi dello spettacolo, di cariche istituzionali della Repubblica, di Magistrati, di NAS [Nucleo Antisostificazioni e Sanità dei Carabinieri, N.d.R.], dell’AIFA (Agenzia Italiana del Farmaco) e di Ministri (per il momento mancano ancora “piccole persone” e ballerine), si lascerebbe meno spazio a speculazioni commerciali costruite sulla speranza di una vita migliore.
Ed è forse in quest’ottica che un faticoso Decreto del Ministro della Salute** ha ricomposto con un minimo di dignità i variegati frammenti di quest’affaire obscure, come direbbero i francesi.

*Con le parole “Caso Di Bella”, si fa riferimento a quella terapia alternativa per la cura dei tumori, priva di riscontri scientifici circa i suoi fondamenti e la sua efficacia. Ideata dal medico Luigi Di Bella, fu oggetto, tra il 1997 e il 1998, di una grande attenzione da parte degli organi di informazione italiani. Parlando invece di “Caso Doman”, si guarda all’assai discusso metodo studiato a suo tempo  negli Stati Uniti, per favorire il recupero dei bambini cerebrolesi, denominato appunto “Metodo Doman” dal nome del suo fondatore Glenn Doman. Infine, il “Caso Vannoni” prende il nome da Davide Vannoni, presidente della discussa ONLUS Stamina Foundation, che sostiene da alcuni anni la ricerca sul trapianto di cellule staminali mesenchimali, per trattare malattie genetiche, con metodi contestati dalla grande maggioranza della comunità scientifica (in particolare rispetto alla SMA – atrofia muscolare spinale, suggeriamo la consultazione dei testi presenti nel sito della UILDM, Unione Italiana Lotta alla Distrofia Muscolare, digitando la parola chiave Stamina Foundation sul motore di ricerca interno).

**Il 21 marzo scorso, il Consiglio dei Ministri dell’uscente Governo Monti ha approvato un Decreto Legge che consente a tutti i pazienti che abbiano iniziato la terapia con le staminali preparate con il cosiddetto “Metodo Stamina” (vedi nota precedente) di portare a termine i loro protocolli. Lo stesso Decreto ha altresì ristretto le condizioni che rendono possibili le cosiddette “terapie a scopo compassionevole”.

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