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Tutti i sogni di Fabrizio, nuotatore paralimpico

Fabrizio Sottile

Fabrizio Sottile

Gli occhi sono necessari, vedere è vitale e se ciò mancasse, la nostra vita sarebbe diversa? Posso assicurare di sì. Senza inutili sciocchezze, la verità è che quando viene a mancare un senso, la nostra vita si rivoluziona. Però non siamo di certo persone meno importanti, meno capaci e meno intelligenti. Il nostro fiuto, il nostro intuito, la nostra voglia di vivere possono “rivoluzionare la rivoluzione”. La vista, cioè, può venire a mancare, stravolgendoci l’esistenza, ma ciò a cui dobbiamo puntare è ottimizzare la nostra vita, anche in condizioni diverse da quelle convenzionali. Migliorandoci, migliorando gli altri sensi.
Fabrizio Sottile, ventenne nuotatore varesino, ipovedente a causa della neuropatia ottica ereditaria di Leber, reduce anche dalle Paralimpiadi di Londra del 2012, esprime la voglia di tornare a vedere. Lui vuole riprendersi la sua vita e questo non vuol dire che ora si senta “un mediocre”. Si può essere eccellenti, infatti, anche esprimendo la voglia di tornare a vedere, senza raccontare menzogne e senza raccontare ciò che tutti vorrebbero sentirsi dire.
Tutta la sua schiettezza Fabrizio la esprime nell’intervista che segue.

Qual è il tuo talento, campione?
«Credo che il mio talento non sia predisposto per il nuoto, anzi, credo che il mio talento, quello vero, debba ancora scoprirlo e per il momento è bello nascosto».

Che lavoro fai?
«Attualmente il mio lavoro è il nuoto, mi alleno e gareggio per le Fiamme Gialle e per il Team Insubrika Creval di Sesto Calende (Varese), la mia squadra di sempre. È un lavoro a tempo pieno, dato che a pieno regime arrivo a dodici-tredici allenamenti alla settimana, palestra compresa».

Se ne hai, cosa fai nel tempo libero?
«Nel tempo libero mi riposo e mangio, tutta la mia giornata, infatti, è programmata per ottimizzare i miei allenamenti. In media, però, due volte a settimana riesco a uscire e svagarmi».

Come definiresti la tua vista? Cosa e come vedi ciò che ti circonda?
«La mia malattia, la neuropatia ottica ereditaria di Leber, è genetica, quindi presente da sempre nel mio DNA ed è rimasta latente fino al mese di marzo 2010. Da quel momento è stato un continuo peggioramento. Negli ultimi mesi ho cominciato ad avere difficoltà nel riconoscere i colori. Tutto quello che ho attorno lo vedo sfuocato a causa della miopia dovuta all’avvicinare sempre troppo le cose agli occhi per vederle. Non riesco ad avere il senso della distanza e dello spazio. Io dico sempre che è come se il settanta per cento dello schermo del tuo televisore avesse i “pixel bruciati” ed è esattamene ciò che succede dietro ai miei occhi: riesco a vedere in tutta la zona periferica, ma non bene e invece quasi nulla nell’occhio destro».

Speri di tornare a vedere in futuro?
«Spero tantissimo di tornare a vedere, anche solo quanto basta per poter guidare e andare in giro da solo senza problemi, o magari leggere a malapena».

Avendo la vista, saresti una persona “più eccellente”? Non credi che tornare a vedere sarebbe come dimenticare i traguardi raggiunti anche grazie al tuo “non vedere”?
«Se tornassi a vedere sarei la stessa persona che sono diventato adesso, ma con due capacità in più e cioè l’esperienza che ho maturato durante il corso della mia malattia e tutti gli insegnamenti che ho tratto dalle situazioni affrontate grazie ad essa. La mia splendida vista mi permetterebbe di tornare a fare tutto quello che mi piaceva fare, in totale sicurezza e tranquillità».

I risultati sportivi finora raggiunti ti hanno soddisfatto?
«No, anche perché io non sono mai soddisfatto. L’atleta non si deve mai accontentare. Posso dire anche che le Paralimpiadi non sono mai state il mio sogno, non è mai stato quello che ho voluto. Io sono in questo mondo da due anni e prima mi ero sempre allenato, da quando avevo tre anni, per poter fare le Olimpiadi. Quelle sono e quelle saranno sempre il mio vero sogno irrealizzabile».

Cosa pensi di te stesso?
«Di me stesso … Non ho né molta fiducia né autostima, ma spero di poter arrivare a ottenere tutto ciò che sogno».

Cosa ami di più di oggi e cosa vorresti amare di più domani?
«Di oggi non amo i ricordi. Domani vorrei tornare ad amare».

La presente intervista è già apparsa nel blog creato da Marta Pellizzi “True Realities – Vere Realtà (di talento)”, con il titolo “Voler tornare a vedere non è da codardi, ma una verità” e viene qui ripreso – con alcuni riadattamenti al diverso contenitore – per gentile concessione.

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