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Estrema voglia di vivere e di realizzare un sogno

Nicola Dutto

Nicola Dutto in sella alla sua moto modificata

Cosa spinge una persona a praticare sport estremi? Non mi sono mai posto il problema fino a quando non ho incontrato due persone speciali, Nicola Dutto e Laura Rampini [se ne legga in questo giornale rispettivamente un’ampia intervista e un approfondimento, N.d.R.]. Il primo pilota di moto, la seconda paracadutista per passione. Nulla di strano, se non fosse che entrambi hanno una lesione spinale che li fa vivere su una sedia a rotelle. Sì, sono entrambi paraplegici, come me. E certo gli sport che praticano, nel sentir comune, non sono proprio i primi a cui si pensa immaginando persone in carrozzina.

Voglia di protagonismo, quasi fossero ironman (e ironwoman) della disabilità? La necessità di una rivincita sul destino? Certo li conosco poco, ma qualcosa mi dice che non è così. E nel mio ragionamento parto da Dutto, il centauro piemontese che nel 2010, durante la gara dell’Italian Baja che aveva vinto nei due anni precedenti, ebbe l’incidente che gli lesionò la spina dorsale.
La lunga convalescenza, una breve esperienza sulle quattro ruote e poi il ritorno, con una moto modificata, alle due ruote. Oggi Dutto corre con i normodotati ed è stato il primo a farlo nel mondo delle due ruote: la prima gara fu la Baja Aragon nel 2012 in cui giunse ventiquattresimo. Inizio da lui perché mi è più semplice comprendere la passione che ha guidato la sua scelta.
Capisco cosa possa significare la moto: facendo la debite differenze, lui era ed è un pilota professionista, io un ex centauro “della domenica”. Diventano così comprensibili e pregne di significato le prime battute del pilota cuneese al termine dell’Italian Baja di quest’anno (la stessa gara in cui si fece male tre anni fa): «Quando sono in moto mi sento libero e provo sensazioni meravigliose». «In questi anni ho imparato a convivere con il ricordo dell’incidente, non provo rabbia o rimpianto per quello che accadde nel 2010».
Ecco quindi che a bordo della sua KTM 500, moto modificata con i comandi al manubrio e un rollbar-sellino che lo “accoglie come una culla”, ha vinto la paura della sua “pista maledetta”. Ha vissuto a pieno le emozioni della gara e quelle dall’abbraccio dei tanti fan che lo hanno accolto e incoraggiato lungo tutto il percorso. E tra questi anche l’infermiera che lo soccorse tre anni fa e che ha voluto festeggiare la vittoria di Dutto sul destino.

Laura Rampini

Laura Rampini pronta a lanciarsi con il paracadute

E se qualcosa di estremo bisogna proprio trovare è l’estrema voglia di vivere, di recuperare la propria vita, senza che una limitazione fisica, più o meno invalidante possa cambiare le proprie ambizioni. Una voglia che ho ritrovato anche nella chiacchierata con Laura Rampini che il 6 Aprile scorso a Ravenna (la sua città natale), ha presentato le iniziative che occuperanno per intero le sue giornate nei prossimi due anni: un libro autobiografico (in stesura), un film dal titolo Un tuffo nel cielo (un lungometraggio le cui riprese dovrebbero iniziare a settembre, che narra della sua storia personale) e un documentario sul suo Progetto Liberamondo, un’iniziativa che la porta all’interno dei Centri di Riabilitazione d’Italia, per mostrare – a chi ha subito da poco una lesione – che ricostruirsi una vita è possibile.
E lei lo ha dimostrato partendo del quello che era il suo grande sogno: il paracadutismo, appunto. Rampini ebbe un incidente stradale a 22 anni (era il 1995) – allora il suo primo figlio aveva solo un anno – che le causò una lesione alla spina dorsale. «Ma il volo era il mio sogno – racconta – e fino a prima dell’incidente non avevo ancora volato, dopo sì. Strano, vero?».
Nel 2004 inizia con un ultraleggero e il parapendio. Nel 2005 passa al paracadute, «ed è stato subito amore, le emozioni che mi ha donato sono incredibili», chiosa Rampini. A chi le chiede se la scelta è stata dettata dalla voglia di rivincita, risponde sicura: «Se fosse stata rivincita sulla vita, avrei cercato di proseguire una strada intrapresa e interrotta dall’incidente. Invece era un sogno nel cassetto che non avevo ancora avuto il tempo di realizzare. L’ho semplicemente tirato fuori dall’angolino della mia mente e ho lavorato per farlo diventare realtà».

Il presente testo, qui riproposto con alcuni riadattamenti al diverso contenitore, è stato pubblicato da “InVisibili”, blog del «Corriere della Sera.it», con il titolo “Quell’estrema voglia di realizzare un sogno”. Viene qui ripreso per gentile concessione dell’Autore e del blog.

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