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Famiglie con disabilità: buon combattimento!

Particolare dell'immagine di copertina di "Vestita di nuvole" di Simona Bellini

Particolare dell’immagine di copertina di “Vestita di nuvole” di Simona Bellini

La disabilità è “femmina”. Oltre che nel genere del sostantivo anche nella realtà. Le donne portano il peso di tutte le disabilità, anche di quelle al maschile, perché sono la struttura portante della famiglia con disabilità. Lo portano da madri, da mogli, da figlie. E naturalmente portano anche le disabilità loro.
Iniziamo dunque questa nuova rubrica, con un’intervista a due donne, Simona Bellini, vera “pasionaria” dell’eterna battaglia per il prepensionamento dei genitori di persone con disabilità grave o gravissima e Chiara Bonanno, curatrice del blog La Cura Invisibile che ha raccolto l’adesione di più di mille caregiver familiari.

Se non sbaglio, Simona, sono diciotto anni che combatti per il prepensionamento dei genitori di persone con disabilità grave o gravissima. Dove hai trovato tanta energia e perseveranza?
«Confesso che ho avuto diversi e profondi momenti di sconforto, ma la “forza del gruppo” ha sempre avuto la meglio. Gli appelli accorati di tanti familiari, storie di stanchezza e di dedizione assoluta e soprattutto la speranza di tante persone che hanno visto in questa battaglia un barlume di attenzione nei confronti delle famiglie con disabilità, condannate a quell’invisibilità assoluta che le Istituzioni e certo associazionismo favoriscono, invece di combattere. L’incontro con Chiara [Bonanno, N.d.R.] è stato poi fondamentale perché il suo apporto a 360 gradi, la sua visione più globale del problema e la sua preparazione hanno dato un contributo determinante, oltre a garantire quel ricambio reciproco nell’incredibile mole di lavoro necessaria a portare avanti le istanze delle famiglie.
E tuttavia anche un altro aspetto ha rappresentato per me un grandissimo sostegno, la presenza nella mia vita del mio compagno di vita e di mia figlia, entrambi disabili. Salvatore richiede attenzioni e tempo, ma quando c’è da sostenermi, non si risparmia in nessun modo ed è sempre in prima linea accanto a me. E poi c’è mia figlia Letizia che non comunica verbalmente, ma i suoi occhi sono stati e saranno sempre lo specchio della mia coscienza. Fino a che ci sarà lei una cosa è certa, non mollerò! [la storia di Simona è anche nel libro “Vestita di nuvole”, Milano, Sperling & Kupfer, 1996, N.d.R.]».

In tutti questi anni trascorsi “senza portare il risultato a casa”, pur essendovi andata più volte assai vicina, non ti sei sentita un po’ presa in giro dai politici ?
«In realtà nel corso del tempo ho maturato convinzioni diverse. All’inizio era come dovere sfondare un muro dietro l’altro: l’ignoranza assoluta del problema, il lassismo imperante, altre priorità… In seguito è subentrato il dubbio di non essere abbastanza forti e numerosi per rispondere agli “appetiti” di una politica disattenta e assai diversamente orientata. Ora sto maturando la certezza che dietro a questo rifiuto istituzionale del riconoscimento di un ruolo – fondamentale sia dal punto di vista etico che sociale – ci sia un vero e proprio disegno che vuole le persone con disabilità – e le famiglie che di loro si curano – il più possibile divise e in conflitto, allo scopo di distrarre risorse e progettualità dal welfare al business.
Stiamo pagando, come tutti del resto, ma con più gravi e profonde conseguenze, l’annullamento del valore della famiglia come risorsa, il livellamento ai minimi termini di una cultura sociale parziale, ma comunque duramente conquistata, la negazione delle fragilità, quelle fragilità che cozzano troppo con una società, distratta e assorbita dall’apparire, che vogliono a tutti i costi farci sentire come nostra».

Moltissime persone ti stimano per la tua battaglia. C’è però qualcuno che ti imputa di avere troppo insistito sul prepensionamento – escludendo altri possibili obiettivi – anche quando era già tramontata la stagione politica ed economica che avrebbe potuto e dovuto renderlo possibile…
«Credo che sia ancora poco chiaro il vero motivo del mio accanimento, soprattutto per chi non vive la quotidianità di un lavoratore impegnato ventiquattr’ore al giorno. Sembra incredibile, ma il diritto al riposo, alla vita sociale, alla salute sono diritti umani fondamentali, ormai universalmente riconosciuti in tutto il mondo civile, mentre vengono negati – quotidianamente e da sempre in Italia – a tutta una categoria di persone che annullano interamente la propria esistenza, rifiutandosi di vivere a totale carico della società e producendo quindi reddito, nonostante l’impegno incredibile cui fanno fronte in sostituzione di uno Stato assente, quello dell’assistenza globale a un familiare gravemente disabile. L’ingiustizia formale e sostanziale di queste situazioni è più che sufficiente a far gridare vendetta nei confronti di uno Stato che non può e non deve nascondersi dietro le contingenze storiche ed economiche. Se non siamo più in grado di riconoscere le assolute priorità dei diritti più elementari che una nazione dovrebbe garantire, possiamo anche smettere di considerarci “civili”, da subito!».

Dal “prepensionamento” al riconoscimento della figura del caregiver familiare. Qual è stata la molla del cambiamento di strategia ?
«Senza dubbio l’incontro con Chiara Bonanno. Erano anni che percepivo la necessità di allargare la battaglia a tutti coloro che si fanno carico dell’assistenza di un familiare gravemente disabile, ma non avevo una preparazione sufficiente a farmi intravedere la soluzione. La storia dell’amicizia con Chiara è abbastanza burrascosa – e lo è ancora, visto che non riusciamo a stare più di qualche giorno senza discutere animatamente – ma ha prodotto, e produce tuttora, un fermento di idee e di strategie che riesce a stupirmi ogni giorno di più. E una cosa è certa, in questo percorso ci stiamo mettendo tanto cervello (prevalentemente il suo), un pizzico di buon senso (il mio?), ma soprattutto tanto cuore! E dato che di quest’ultimo ne abbiamo da vendere entrambe, questa battaglia, per noi e per tutti quelli come noi, la vinceremo!».

Logo del blog "La Cura Invisibile"

Il simpatico e “battagliero” logo scelto per il blog “La Cura Invisibile”

Con le ultime elezioni, il quadro politico è profondamente cambiato. Pur nell’incertezza del momento, quali pensi possano essere i riferimenti “tra gli eletti”? In altre parole, nel nuovo Parlamento siedono anche dei caregiver familiari?
«Dalle notizie che abbiamo, questo è il Parlamento con il maggior numero di caregiver familiari della storia della Repubblica. Tuttavia sono convinta che tutti i Parlamentari e il mondo politico nella sua globalità dovrebbero farsi carico del problema, anche se finora non lo hanno fatto, se non a parole. Credo comunque che i tempi siano maturi e che la consapevolezza della necessità di un cambio di rotta possa favorire non solo la soluzione al problema dei caregiver familiari, ma anche una fondamentale presa di coscienza: quella che risollevare dagli strati più bassi del diritto le fasce fragili della popolazione offrirebbe opportunità di crescita a tutto il Paese. I Cittadini sono pronti, lo hanno dimostrato con la loro voglia di riscatto e di protesta, ma il mondo politico viaggia alla stessa velocità? Ne è cosciente? Spero con tutto il cuore di sì e mi auguro che presto ce lo dimostrerà».

Chiara, dove e come è iniziato il tuo sodalizio con Simona?
«Con Simona ci conosciamo da anni e malgrado le differenti vedute sul reciproco impegno per la salvaguardia dei diritti legati alla disabilità, siamo state spesso sulla stessa barricata. Alcuni mesi fa, da un confronto su un gruppo di discussione di internet, si è cominciato a lavorare insieme sul ricorso giuridico collettivo per il riconoscimento del familiare caregiver. Come ci succede spesso… l’idea ci è venuta… discutendo».

Sei considerata un po’ come l’anima del blog che riunisce i caregiver familiari e che in pochi mesi ha raggiunto più di mille adesioni. Immagino sia stato un lavoro faticosissimo! Ma come è nata l’idea del blog?
«Avevo bisogno di raccogliere e diffondere l’enorme quantità di materiale accumulato su questo argomento ed ero indecisa se scrivere un libro o metterlo online. Quando è partita l’idea del ricorso collettivo, non ho avuto dubbi e ho cominciato a mettere parte della documentazione sul web. In realtà questo impegno rappresenta per me quel momento di relax ritagliato dal mio lavoro di cura, che è prioritario, incalzante e, purtroppo, raramente tranquillo».

Sul blog ho letto la bella e documentatissima comparazione tra la situazione dei caregiver italiani e quelli del resto d’Europa. Come sei pervenuta a tutti quei dati?
«La mia curiosità sulla legislazione sociale straniera nasce – oltre che dal mio impegno professionale – anche da un soggiorno con mio figlio in Danimarca, dove ho avuto l’occasione di confrontarmi con familiari provenienti da diverse nazioni europee. Abituata all’“invisibilità” delle famiglie italiane, mi stupì molto l’attenzione e la tutela della famiglia attivata all’estero».

Recentemente la FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap) ha recepito in un suo documento l’essenza delle rivendicazioni dei caregiver familiari. Quali sono stati e sono tutt’oggi i rapporti tra i caregiver e il mondo delle associazioni delle persone con disabilità?
«Assurdamente conflittuali. In generale, infatti, a livello associativo c’è la diffusa e falsata idea che qualsiasi investimento sulla famiglia riduca l’attenzione sui diritti della persona con disabilità. Questo concetto ha una precisa origine storica nella cultura associativa italiana, che nasce e si sviluppa in un contesto orientato all’istituzionalizzazione come risposta prioritaria ai bisogni delle persone con disabilità e che, quindi, risente ancora del peso di quella modalità di approccio alla condizione di disabilità. In realtà, escludendo il “volontario eremitaggio” o l’istituzionalizzazione, qualsiasi essere umano è invece immerso in un reticolato di relazioni sociali in cui la famiglia è il nucleo propulsivo. Ed è quindi ovvio che ogni intervento debba partire proprio dal supporto e dal potenziamento di questo fulcro, per garantire sul serio l’integrazione sociale dell’intera struttura che ha un membro con disabilità.
Purtroppo questa concezione antiquata della disabilità, anche a livello associazionistico, fa il paio con gli interventi sociali tipicamente residuali presenti in Italia, che vengono attivati e garantiti solo in presenza di corposi cedimenti del nucleo familiare di supporto, con soluzioni – soprattutto nel caso di gravi disabilità – per lo più istituzionalizzanti. L’aspetto singolare è la contrapposizione tra l’ideologia inclusiva ribadita dalla nostra legislazione e il vincolo al bilancio: la legislazione tedesca, ad esempio, molto meno idealista e propositiva, afferma chiaramente che è economicamente più vantaggioso investire nel  supporto dei Cittadini affetti da gravi patologie e gravi handicap nel proprio domicilio».

Naturalmente Simona e Chiara sono anch’esse caregiver familiari (mamme rispettivamente di Letizia e di Simone) e combattono tutti i giorni e su tutti i fronti la battaglia che riguarda la tutela dei diritti delle famiglie con disabilità.
Buon combattimento e “vincano le migliori!”.

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