È lo Stato che mi deve liberare!

È quanto meno paradossale che fosse la “manovalanza dello spaccio” a consentire ad Angela – donna con disabilità di Secondigliano di Napoli – ad essere “liberata” dalla casa di cui è “prigioniera”, per un ascensore che non funziona. Cosicché ora, dopo una serie di arresti nella zona, la può aiutare solo la madre e le è capitato di cadere dalle scale. «Non voglio l’aiuto dell’antistato – dice – sono le Istituzioni che devono aiutarmi, è un mio diritto»

Angela Faraco

«Credo nello Stato – dice Angela Faraco – voglio che mi aiuti, è un mio diritto»

Sono anni che chiede aiuto, che chiede di essere liberata dalla casa in cui è prigioniera. Angela Faraco è una ragazza disabile, vive al quarto piano di uno degli edifici delle “Case Celesti” a Secondigliano di Napoli, una delle più redditizie piazze di spaccio italiane, capace fino a poche settimane fa, di fruttare alle casse della camorra anche fino a 15 milioni di euro al mese. Un assedio che paradossalmente garantiva ad Angela la possibilità di uscire di casa per andare a fare fisioterapia, perché spacciatori, vedette, pusher e la varia manovalanza del “sistema” erano sempre pronti a trasportare lei e la sua carrozzina su e giù dal quarto piano.
Dopo quindi che l’azione delle Forze dell’Ordine e della Direzione Distrettuale Antimafia ha finalmente fermato l’attività di spaccio, Angela – seppur felice di vivere in un posto che non è più un “supermarket di morte” -, ha perso la possibilità di muoversi liberamente perché i “ragazzi” dello spaccio non ci sono più e deve contare solo sulle braccia di sua madre.
E così, qualche giorno fa, il fisico della madre Antonietta non ha retto il peso di Angela e della carrozzina e la ragazza è precipitata dalle scale, rompendosi tre denti e spaccandosi le labbra. Le è anche andata bene: avrebbe potuto rompersi le ossa o battere la testa.

Da quel giorno Angela non vuole più sentir parlare della sua carrozzina, con la conseguenza che ormai non esce più e non va a fare le terapie. La depressione si è fatta avanti e la ragazza – ridotta così in seguito a una gestosi e a un’emorragia celebrale mentre dava alla luce suo figlio -, passa ore e ore davanti alla TV o al computer. «Non so come fare», si dispera la madre che vive per lei. «Siamo prigioniere, ostaggi… eppure basterebbe che mettessero in funzione l’ascensore. Sono ventiquattro anni che siamo qui e non è mai stato fatto il collaudo, perché all’epoca tutti noi occupammo queste case popolari, anche se poi sono ormai più di quindici anni che pago affitto e utenze normalmente. L’ASL dice che non può mettere il montascale né altri dispositivi perché c’è l’ascensore… anche se non funziona».
Insomma, un cane che si morde la coda e a farne le spese è chi soffre. «Quando c’era la piazza di spaccio, devo dire che c’era sempre qualcuno pronto a darci una mano. Noi siamo persone per bene e non è giusto che dobbiamo confidare in quell’aiuto dell’antistato. Lo Stato, le Istituzioni dovrebbero aiutarci a uscire da questa situazione».
Angela si fa coraggio e si aggrappa al girello: vuole mostrarci come è difficile muoversi in casa. Ad ogni faticoso passo arriva un ostacolo, un urto e serve un nuovo sforzo. Il corridoio è stretto, non ci sono balconi, il pavimento è storto, le stanze sono piccole.
A darle una mano, questa volta, è Massimo Giarraffa, combettivo papà di un ragazzo disabile che tempo fa aveva saputo della storia di Angela e si era precipitato nelle “Case Celesti”: «Ricordo – dice – che la piazza di spaccio era in piena attività, fui circondato, ma appena seppero che ero lì per Angela, mi indicarono subito la strada. Ci sono tornato perché volevo portarla a fare vela con mio figlio, ma l’ho trovata spaventatissima dopo la caduta e non vuole fare più nulla. Allora ho scritto al Comune di Napoli perché è bello che ci abbiano restituito il lungomare liberato, ma ora devono capire che la rivoluzione si fa dal basso, liberando persone come Angela da situazioni come queste, che sono “da campo di concentramento”».

Solo a sentire queste parole di incoraggiamento e di riscatto, Angela ritrova vigore: «Non voglio dover rivolgermi ai ragazzi che stavano qua sotto anziché parlare alle Istituzioni. Io credo nello Stato e voglio che mi aiuti, è un mio diritto». Poi guarda la tenda che svolazza sulla finestra: «Ho voglia di vivere».

Articolo già apparso in «Corriere della Sera.it», con il titolo “La ragazza disabile prigioniera in casa” e qui ripreso, per gentile concessione dell’Autrice e della testata, con minimi riadattamenti al diverso contenitore.

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