Si chiama famiglia, la ricetta contro gli “ospizi-lager”

L’assoluta inefficacia del sistema di accreditamento, il fatto che si continuino a privilegiare le strutture di ricovero sulla permanenza in famiglia e anche il mancato controllo e ascolto da parte delle associazioni: sono queste, secondo Giorgio Genta, le «direttrici di perversione» che portano a scoprire periodicamente nuovi “ospizi-lager”, come quello di Meta di Sorrento (Napoli), di cui si parla in questi giorni

Uomo con le mani sul volto ed espressione di disperazioneAncora una volta, i recenti fatti di Meta di Sorrento (Napoli) – ove trentasette persone con disabilità erano sottoposte a maltrattamenti e angherie in una struttura dalle caratteristiche inqualificabili -, è stato sollevato il coperchio del “calderone infernale”, ove soffrono pene del tutto immeritate i veri “dannati della terra”: le persone con disabilità, ospiti degli efferati “ospizi-lager”.
E una volta ancora vengono portate sotto gli occhi di tutti strutture inadeguate e fatiscenti, metodi di contenzione “torquemadeschi”, personale sadico, insufficiente e impreparato, medicinali scaduti, sovraffollamento da vagone piombato, condizioni igieniche terribili.
Per l’ennesima volta, poi, il Ministro della Salute di turno – nella fattispecie Beatrice Lorenzin – si indigna (e speriamo che all’indignazione “politica” seguano davvero ferree direttive alle ASL sulla necessità di controlli realmente efficaci, frequenti e inaspettati), mentre i politici locali, come da copione, gridano allo scandalo e si ergono istrionescamente a paladini dei diritti di tutti i cittadini, anche di quelli con disabilità.

Noi famiglie con disabilità, parte moralmente lesa, individuiamo due direttrici di perversione. Da una parte l’assoluta inefficacia del sistema di accreditamento, ma soprattutto di controllo da parte delle Regioni e delle ASL di competenza, ove esistono non di rado infiltrazioni pseudomafiose o comunque criminali, che permettono talvolta a persone sino a ieri dedite ad altre attività di intraprendere lucrosissime carriere di imprenditori sociosanitari. Dall’altra parte il fatto che si continuino a privilegiare politicamente e nei fatti – per negarle solo nei riti di circostanza – le strutture di ricovero sulla permanenza in famiglia, tranne rare virtuose eccezioni, e questo malgrado tutti i dati seriamente disponibili indichino l’enorme risparmio, la superiore qualità della vita e il forte possibile incremento dell’occupazione, insiti nel “restiamo a casa, torniamo a casa” (suggeriamo, a tal proposito, su queste stesse pagine, la lettura dei recenti contributi di Marco Espa e Chiara Bonanno).

Veramente ci sarebbe un terzo punto, una sorta di fastidioso “mea culpa” che le Associazioni – almeno quelle più forti – potrebbero forse recitare, non contribuendo efficacemente a un’azione di capillare controllo e ascolto, pur avendo la capacità giuridica di agire in difesa dei diritti delle persone che rappresentano.
E bene sarebbe se sulla base del Niente su di Noi senza di Noi e le Nostre Famiglie, molto si facesse affinché famiglie e associazioni potessero costituire veri e proprio “comitati di controllo”, con capacità di monitorare la qualità dell’assistenza nelle strutture, potendo visitarle senza preavviso e senza orari stabiliti.
E che si insistesse, infine, affinché ogni struttura di ricovero fosse dotata di telecamere di sorveglianza in ogni locale, riservando naturalmente la visione dei filmati a un intervento della magistratura. Sarebbe certamente un ottimo deterrente contro inadempienze, abusi e violenze.

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