Avventure al supermercato di quotidianità disabile

Ne aveva scritto qualche giorno fa, su queste stesse pagine, Franco Bomprezzi, raccontando come alla cassa di un supermercato sin troppo spesso scatti il corto circuito del pregiudizio e della stigma. Ma di storie simili e di comportamenti all’insegna della discriminazione, c’è da raccontare ancora a lungo. «Che si creda a quei telegiornali – scrive Rosa Mauro – secondo i quali esistono solo “falsi invalidi”?»

Realizzazione grafica con carrozzina vuota e carrello di supermercatoScrivo dopo avere letto l’“avventura” raccontata su queste stesse pagine da Franco Bomprezzi al discount [“E alla cassa del discount scatta il pregiudizio”, N.d.R.]. Scrivo perché mi è successo di peggio e per giunta nel supermercato in cui vado da sempre. Non farò il nome della celebre catena, limitandomi a raccontare i fatti, anch’essi avvenuti a una cassa del supermercato.

Siamo in coda da un po’, io, mio marito e Giovanni, mio figlio. Per un ragazzo come lui, ex grave prematuro con disabilità psicosensoriale, è decisamente già troppo il tempo trascorso, cosicché comincia a urlacchiare e a identificare, a detta di mio marito, alcune “vittime” con cui sfogare la sua frustrazione.
A questo punto, come abbiamo già fatto altre volte, l’unica cosa da fare è che io esca con Giovanni dalla coda e mi metta a sedere su una panchina del centro, distraendolo con la sua musica preferita, sempre presente sul mio smartphone accessibile.
Problema: l’uscita senza acquisti è esattamente dall’altra parte del supermercato e oltre che per i miei problemi di deambulazione, è difficile anche per la mia scarsissima vista farmi strada lungo le casse per arrivarci. Per fortuna, però, c’è una cassa vuota subito alla mia destra e mio marito chiede alla cassiera di farmi passare di lì. «Non si può!», dice lei, ineffabile, mentre continua a battere sulla cassa, «è chiusa!». Mio marito le mostra il mio doppio bastone – in quel periodo avevo anche la stampella, mentre ora cerco, anche se non dovrei, di farne a meno – e cortesemente le chiede di fare un’eccezione, ricordando la mia difficoltà ad attraversare il supermercato insieme anche a mio figlio, che è ipovedente a sua volta, anche se decimista. Secco diniego, quasi seccato: «Non si può o ci vado di mezzo io!». Gente che guarda male e che comincia perfino a mormorare: «Ma la faccia passare! Cosa vuole che sia!». Altri invece sono dalla parte della “sacra legge” che io voglio violare… La cassiera non demorde: «Ci vado di mezzo io e poi mi sgridano!». Il tono è petulante, probabilmente è nuova e ha davvero paura. Ma la schiena e l’anca mi fanno male da morire e non mi sento solidale…
A quel punto, “colpo di genio” di Giovanni che comincia ad urlare a più non posso. Intero supermercato che si gira verso di noi, parole del marito, per fortuna io non ci vedo così bene, mormorii che cominciano a crescere. Mio marito, al massimo della sopportazione: «Chiamiamo il suo supervisore per saperlo?». Non sappiamo cosa ne avrebbe pensato il supervisore perché Giovanni si mette letteralmente a saltare e a dondolare sul posto, tenendosi le mani. E finalmente solo a quel punto la cassiera apre…

Come vedi, caro Bomprezzi, ti è andata ancora piuttosto bene! Il dubbio amletico sulla preparazione dei supermercati, outlet e via discorrendo mi è venuto più di una volta.
Oltre a questo evento, poi, ineffabile è la faccenda delle casse prioritarie, casse posizionate dietro le altre, che per arrivarci devi praticamente scavalcare la cassa normale, superando persone brontolanti, quando non apertamente ostili, arrivando di fronte alla cassiera cui dici: «Devo pagare questo, sono disabile…». Premessa: hai la stampella e il bastone per ciechi a dimostrarlo, ma lei – parole del marito – ti squadra sospettosa. Non potendo vedere lo sguardo, io noto solo un imbarazzante e lungo silenzio, al che, con voce angelica se sono di buon umore, con tono “coccodrillesco” se ho avuto una giornataccia, le dico: «Vuol vedere i documenti?». Lei non dice niente, sbuffa, ma prende le compere e le passa. Povere commesse o commessi, forse credono ancora ai telegiornali e pensano che i disabili non esistano!

E tuttavia il “peggio del peggio” è altro ancora! Ma questa è una lunga storia e ne parlerò in una prossima puntata, riservata a ristoranti & co!

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