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ReaTech: come sedurre la “gente comune”?

Franco Bomprezzi e Antonio Giuseppe Malafarina a "ReaTech Italia 2013"

Franco Bomprezzi (a sinistra), direttore responsabile del nostro giornale, e Antonio Giuseppe Malafarina, a “ReaTech Italia 2013”

Arrivo davanti alla Fiera di Milano e mi perdo nella girandola dei cancelli dove entrare in macchina. Imbroccata la porta giusta per accedere a ReaTech Italia, raggiungo insieme a Franco Bomprezzi la postazione dove è in programma la pubblica chiacchierata tra me e lui sulla disabilità.
L’entrata è quella delle occasioni di lusso, con il banco per la registrazione da una parte, le hostess, qualche manifesto dell’iniziativa qua e là assai raffinato e uno steward a vidimare i biglietti. Il tempo di accreditarci, di superare l’elegante e virile baluardo e siamo dentro. Un ottimo lavoro, anche se non vedo il pienone delle manifestazioni più blasonate.

Entriamo, ci mettiamo comodi nello Spazio Agorà in ritardo sulla tabella di marcia (e si fa in fretta, le poltrone le abbiamo appresso…) e iniziamo a chiacchierare. Non c’è un canovaccio pronto, andiamo a braccio. Franco ci sa fare. La falsariga della mia storia è una buona traccia per parlare di carrozzine, dell’importanza dell’aspetto estetico, di barriere, di comunicazione, della rete, della discriminazione delle donne con disabilità, di motivazioni, di vita indipendente e via dicendo.
Mentre discutiamo, il pubblico si avvicenda e alla fine Franco nota che siamo andati in crescendo. Bene, vuol dire che non siamo stati patetici. A me, intanto, balugina un pensiero, ossia che “ai tempi nostri”, diciamo una ventina d’anni fa e più, una fiera così la volevamo così tanto da non riuscire neanche a immaginarla. Allora al massimo ci si incontrava in un’associazione e, diciamocelo, ci sentivamo tutti una bella manica di “handicappati”. Averne di ReaTech a quel tempo!
Oggi che ReaTech, alla seconda edizione, si sta affermando, cerco di capire come potrebbe essere migliorato. Qui, infatti, si sono viste, e fatte, moltissime cose, ci sono stati visitatori, ma io credo che ancora non siamo a un evento che seduca sia gli addetti ai lavori che la “gente comune”. Le frotte di gente comune.

Quando a Milano ci sono il BIT (Borsa Internazionale del Turismo), il MACEF (Salone Internazionale della Casa) o il Salone del Mobile te ne accorgi. C’è qualcosa di diverso nell’aria, è non è solo lo smog per l’aumento del traffico. Specialmente durante il Salone del Mobile, con la brillante idea di Fuorisalone, con tutte le sue iniziative sparse per la città.
Ecco, io sono convinto che questo debba essere il comune orizzonte. Non un evento dove si incontrano un’accozzaglia di saltimbanchi e di bancarelle con lo zucchero filato, ma un momento in cui persone con disabilità e non si mescolano in un unicum dove si sta insieme spontaneamente.
Io penso che se in generale, quando si parla di disabilità si debba cercare una modalità nuova per uscire da quella ghettizzazione dove troppo spesso agli eventi comunitari si incontrano le stesse persone – come i sempre più diffusi convegni sulla disabilità – ReaTech possa essere un’occasione per individuare questa nuova formula. Forse si dovrebbe attingere all’esempio del citato Fuorisalone o a quello delle Feste dell’Unità (ma esistono ancora?), dove con la scusa della politica ti facevi un giro per le bancarelle e ti bevevi una birra con gli amici.

Ampliare e decentrare quello che c’era a ReaTech? Può essere un’idea. Ambiziosa, ma siamo qui per migliorare, no? Mi piacerebbe sapere che cosa ne pensano gli altri. Cosa ne pensate, voi Lettori. I giovani, magari, con i loro graffiti, il loro hip-hop, il loro essere “scialli”. Anzi, io partirei proprio dal coinvolgere i giovani, affidando loro un’idea per reimmaginare la manifestazione. Non vedo il rischio di un enorme rave a cielo aperto.
Durante una fiera così, io immagino Milano come un luogo che cattura l’attenzione del pubblico di tutta Italia e oltre. Vedo la gente per le strade che cammina con brio verso la Fiera e tutti gli altri punti d’incontro, con il desiderio di conoscere, partecipare e divertirsi. E ci vedo, perché no, un giro d’affari attorno, con gli sponsor in fila per accaparrarsi la miglior visibilità. Se ci sono i soldi, di solito, è perché la cosa funziona.
Ci vedo insomma l’inclusione vera e forse sono un visionario. Intanto ribadisco l’indispensabilità di ReaTech e aspetto proposte da chiunque per nuove visioni.

Testo già apparso in “InVisibili”, blog del «Corriere della Sera.it» (con il titolo “Reatech: l’indispensabilità dell’attuale”). Viene qui ripreso, con alcuni riadattamenti al diverso contenitore, per gentile concessione.

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