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Un’occasione da cogliere, non certo da demonizzare

Max Tresoldi e la madre Ezia

Max Tresoldi con la madre Ezia

«Quella non è vita». E chi lo stabilisce? Alda D’Eusanio, giornalista e conduttrice televisiva. Lo sentenzia a La vita in diretta, programma del pomeriggio di Raiuno, in faccia a Max Tresoldi, persona che dopo dieci anni di stato vegetativo – non si muoveva ma capiva tutto senza poterlo comunicare – ha ripreso a esprimersi.
La giornalista, ospite in studio che assiste al collegamento in diretta con la casa di Max nella puntata di lunedì 4 novembre, lo declama in faccia a lui e a qualche milione di telespettatori. Il giudizio verte sul fatto che «tornare in vita senza poter più essere libero, indipendente, soffrire e avere quello sguardo vuoto…» no, non ha senso. Questo non lo dice, ma lo lascia intendere con ampi cenni del capo di disapprovazione.
Nell’imbarazzo generale, specie perché l’argomento della puntata riguardava i risvegli dal coma e mirava a dare una connotazione positiva del risveglio, la giornalista continua: «Quando Dio chiama, l’uomo deve andare». Di fronte alle critiche, risponde che sono stati gli uomini, non Dio, a tenerlo in terra. Qui si chiude l’intervento che si era aperto con l’invocazione: «Rivolgo un appello pubblico a mia madre: mamma, se dovesse accadermi quello che è accaduto a Max ti prego, non fare come la mamma di Max, quella non è vita».
Su questo punto, proprio in chiusura di collegamento, mamma Ezia ha appena il tempo di commentare che il figlio non l’ha portato in vita lei, ma «è sempre stato in vita e la sua vita è bella così com’è». I conduttori, Franco Di Mare e Paola Perego, esprimono solidarietà a Max e famiglia e completano la presa di distanza dalla D’Eusanio. C’è un particolare sfuggente quanto significativo che si nota quando le telecamere sfumano sulla casa di Max: la sua mano mostra il pollice verso. La sua risposta alla giornalista.

Alda, Alda… perché? Ma che è successo? Chi può contestare che quella che una persona accetta pienamente non sia vita? Io credo che quello di Max, e della sua famiglia, sia un buon esempio di come si possa vivere e stare in pace con se stessi anche in condizioni ritenute estreme dalla società. La sua è un’occasione da cogliere, non da demonizzare.
Perché, poi, uscirsene con quelle parole? Di fronte a una madre, e a tutta una famiglia, pronta a tutto per il proprio caro, non viene in mente che certi atteggiamenti possano essere offensivi? Si può essere d’accordo o meno su una questione, ma se di fronte a una persona che tenacemente vive ogni giorno si esprime un parere negativo, la si offende. E meno male che Max e compagnia non sono persone da sconfortarsi perché certe affermazioni possono fare male.
Penso infatti a quanti si trovano in condizioni simili e, magari, fanno un po’ più di fatica. Ecco, sentirsi dire che il loro sforzo quotidiano non è vita può essere avvilente. Può portarle a mollare. Attenta, cara Alda, a quello che dici, perché può avere conseguenze catastrofiche. Anche la perdita di vitalità di una sola persona può essere catastrofica. Certi pensieri, prima di essere espressi, andrebbero ponderati bene. Soprattutto se manifestati sui canali delle reti pubbliche, da cui ci si aspetta un atteggiamento didattico e non allarmante.

Il fatto è che quella non era la trasmissione giusta per dire certe cose. In un dibattito sulla disponibilità del proprio corpo – altri direbbero sul fine vita – poteva starci, lì no. E poi, adesso come la mettiamo col punto di vista cattolico?
No, non parlo del fatto che certe affermazioni possano farti giocare una carriera in seno all’area cattolica, ma voglio dire che quel «quando Dio chiama, l’uomo deve andare», non può essere interpretato come dici tu. Da cattolico ti dico che la chiamata è quella all’accettazione del progetto di Dio su di noi, come Cristo ha fatto. E che gli uomini abbiano contribuito a “tenere in terra Max”, come dici tu, non è una forzatura nei confronti del Padreterno, ma un fatto storico che il cristiano è chiamato a interpretare, abbandonandosi nelle braccia del Padre. Sia fatta la tua volontà, quindi. Se la chiamata è quella a vivere, si viva, senza obiezioni.

Detto questo, concludo. E perdonami se ti ho dato del tu, ma mi sembrava giusto farlo in quanto siamo colleghi. Io sono anche disposto ad esserti amico, tetraplegico, come Max.

Testo già apparso in “InVisibili”, blog del «Corriere della Sera.it» (con il titolo “Alda D’Eusanio e la ‘non vita’”). Viene qui ripreso, con alcuni riadattamenti al diverso contenitore, per gentile concessione.

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