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Emilio Favaretto

Emilio Favaretto al lavoro nel suo orto

Oggi raccontiamo la storia di un uomo normale, con una famiglia normale, che si ritrova investito in età matura da una malattia neuromuscolare. Ripresosi dalla sberla della vita che l’ha messo in carrozzina, ha trovato in sé l’energia per tornare attivo e trasmettere “voglia di vita”.
Raccontare di Emilio Favaretto e della sua passione è facile, per via della sua solare predisposizione al dialogo e alla conversazione. Uomo tutto d’un pezzo, muratore di lungo corso, in un quarto di secolo ha impastato montagne di sabbia e cemento, come mi racconta una sera intorno a un bicchiere di vino e a un piatto di pasta. Preparare il materiale era un impegno, mi racconta, e chi lavorava al suo fianco sapeva che poteva parlare e cantare, ma doveva sgambettare e non fargli perdere tempo.
Erano gli anni buoni per l’edilizia. La casa dove vive l’ha fatta quasi tutta con le sue mani. Finché un giorno, passata la cinquantina, avverte che le forze non sono più cristalline, cominciano le visite e, di lì a poco, ci saremmo incontrati, io e lui, alla UILDM di Padova (Unione Italiana Lotta alla Distrofia Muscolare) per la fisioterapia.

Emilio, ci conosciamo da molto tempo, mi racconti com’è stato il tuo impatto con la malattia?
«Molto traumatico, come per tutti, credo. Immagina una persona come me, abituata a dieci, dodici ore di lavoro giornaliero, che si ritrova in carrozzina, impossibilitata a fare ciò cui era abituata. Frequentando la fisioterapia alla UILDM, però, mi sono reso conto di essere stato fortunato rispetto a molti altri. Ho avuto il tempo di farmi una famiglia e di crescere tre splendidi figli che, con Gabriella mia moglie, sono stati fondamentali per farmi ritrovare la serenità. A volte uscivo di casa e andavo sul retro per piangere senza farmi notare da loro, che comunque percepivano bene le mie difficoltà. Guardavo con rimpianto il nostro orticello, pensando che non sarei riuscito più a prendermi cura nemmeno di quello».

Finché, un giorno, i tuoi ragazzi hanno avuto un’idea che ha risvegliato il muratore che è in te…
«È vero, mi hanno suggerito di pavimentare delle corsie a misura di carrozzina in modo che potessi fare qualche cosa e diventare un po’ più autonomo nell’arte che per prima ho appreso da mio padre: l’amorevole coltivazione delle piante. È stata una decisione veloce. Piastre in cemento lavato, fatte arrivare da chi già mi conosceva per lavoro. Ho chiesto la collaborazione di alcuni amici e abbiamo suddiviso lo spazio dedicato all’orto in modo che tra una corsia e l’altra ci stia un’area coltivabile a portata di carrozzina».

Da questo punto in poi, che cosa è successo?
«È ricominciata la sfida con me stesso. Volevo dimostrare che, finito il tempo di piangersi addosso, anche con la carrozzina sarei stato ancora capace di dare il meglio di me. Ho chiesto a un amico di costruirmi delle barriere di contenimento alte circa 20 centimetri in modo da alzare l’area di coltivazione. Questo mi ha consentito di raggiungerla più facilmente e inoltre, per adeguarmi al nuovo livello, di migliorare la qualità del terreno, aggiungendo sabbia e concime naturale. E ancora, mi sono personalizzato i piccoli attrezzi da giardino, aggiungendo dei robusti manici che facilitano la presa e mi consentono di gestire bene l’area di lavoro».

Cosa coltivi nel tuo orto?
«A parte l’area dedicata agli asparagi – che sono una pianta che richiede stabilità e permanenza – tutto il resto dipende dalla stagione. Ho diverse qualità di pomodori, dal gigante cuore di bue ai piccoli ciliegini, ma anche molte varietà di insalate e radicchio, senza tralasciare le melanzane. I finocchi, le carote e i rapanelli. Insomma, mi piace cambiare e sperimentare, mettere qualcosa di nuovo, ma anche migliorare di anno in anno ciò che mi sembra possa essere fatto meglio. L’unica cosa che non trova spazio sono i prodotti chimici. Mi piace infatti coltivare al naturale perché credo che dobbiamo rispettare la natura. A parte il classico fertilizzante naturale che vado a prendere personalmente da un contadino, non uso altri prodotti. I miei scarti di produzione finiscono in una concimaia che mi sono ricavato in un angolo, per poi essere nuovamente impastati nel terreno alla primavera successiva».

Mi sembra di capire che ottieni molto dal tuo lavoro…
«È la mia occupazione, mi piace, mi costa sacrificio, ma lo faccio volentieri. Non ho “tempo di ammalarmi” e sono contento quando vedo la gente che viene a trovarmi, meravigliata dai risultati che ottengo. Come puoi vedere tu stesso, è sempre tutto in ordine e non c’è un’erba fuori posto. Ci dedico mediamente dalle otto ma anche fino alle dodici ore in piena stagione, perché quando è caldo e le piante hanno sete non si può rimandare al giorno dopo».

Ma tutto quello che produci che impiego trova?
«Oltre all’uso familiare, mi piace portare della buona verdura alle nostre fisioterapiste e ho anche molti amici che mi fanno visita e mi piace regalare a ciascuno qualcosa di mia produzione. Ho imparato da mio padre che i prodotti migliori sono fatti per essere donati e ritengo sia una buona regola. Ti faccio un esempio. Lo scorso anno ho prodotto oltre 45 chili di asparagi e ho calcolato che in famiglia ne avremmo consumati 5. Tutto il resto è andato distribuito alle molte persone che sono venute a trovarmi».

E della collaborazione con l’ASL, che cosa ci racconti?
«Nella nostra ASL, all’interno delle proposte per il reinserimento alla vita di persone che hanno subìto un trauma o una qualche disavventura che li ha portati a convivere con la disabilità, c’è anche quella che io ritengo la più bella: la coltivazione delle piante. Mi hanno chiesto di collaborare per portare la mia esperienza sia come produttore sia come persona che ha superato la propria disabilità attraverso un impegno e una passione. Ho garantito la mia disponibilità purché non m’impegnino troppo tempo, perché per me il tempo è prezioso».

A conclusione di questa chiacchierata, cosa ti senti di dire?
«Vorrei che la mia esperienza potesse essere un esempio da imitare, per stare bene con se stessi e per imparare ad apprezzare la vita anche in mezzo alle difficoltà. Coltivare una piantina, anche in un piccolo vasetto, non è difficile e può farlo chiunque. È così che si comincia. Naturalmente chi avesse voglia di venirmi a trovare sarebbe sempre il benvenuto!».

Servizio già apparso nel n. 181 di «DM», periodico della UILDM (Unione Italiana Lotta alla Distrofia Muscolare), con il titolo “L’amorevole coltivazione delle piante” e qui ripreso, con minimi riadattamenti al diverso contesto, per gentile concessione.

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