Sono disabile da un quarto secolo e ogni tanto certi temi si ripropongono. Come i peperoni o la bagna cauda. Restano non digeriti. L’insieme non li assimila. La sessualità delle persone disabili è fra questi.
Maximiliano Ulivieri è una persona impegnata da anni nel tentativo di far conoscere l’amore e la sessualità delle persone con disabilità al grande pubblico e già da tempo porta avanti la lotta per il riconoscimento anche in Italia della figura dell’assistente sessuale.
Si tratta di una figura professionale che esiste in molti Paesi esteri con il fine di aiutare le persone disabili a vivere liberamente la propria sessualità. Una difficoltà, questa, sentita soprattutto – ma non esclusivamente – da chi ha problemi motòri e, quindi, può non riuscire a rapportarsi bene con la gestualità di questo àmbito, e da chi ha problemi a livello psichico-cognitivo, ovvero da chi non riesce ad incanalare la propria libìdo, generando problematiche che incidono sull’autostima e sulla capacità relazionale e che a loro volta possono scaturire in comportamenti aggressivi.
Ebbene, è dei giorni scorsi la notizia che la proposta di Ulivieri, riguardante un Disegno di Legge sull’assistenza sessuale ai disabili, ha visto quest’ultimo arrivare nell’aula del Senato, con molte firme a sostegno, e a me viene spontaneo spendere due parole. Infatti, dacché la cosa si deve riproporre, che non ci “resti sullo stomaco”!
Il testo, un solo articolo con cinque commi, si fonda sulla Sentenza 561/87 con cui la Corte Costituzionale, spiega Ulivieri, ha precisato che «essendo la sessualità uno degli essenziali modi di espressione della persona umana, il diritto di disporne liberamente é senza dubbio un diritto soggettivo assoluto, che va ricompreso tra le posizioni soggettive direttamente tutelate dalla Costituzione ed inquadrato tra i diritti inviolabili della persona umana che l’art. 2 della Costituzione impone di garantire».
Da questo, secondo il senatore Sergio Lo Giudice, primo firmatario del Disegno di Legge, consegue che sia nella disponibilità di tutti, disabili e non, di «compiere scelte informate e responsabili riguardo alla propria salute sessuale e di disporre di opportunità e di mezzi adeguati a compiere tali scelte». Sesso libero? Non proprio, piuttosto – si legge nella presentazione – istituire «la figura dell’assistente per la sana sessualità e il benessere psico-fisico delle persone disabili o assistente sessuale. Tale operatore, a seguito di un percorso di formazione di tipo psicologico, sessuologico e medico, dovrà essere in grado di aiutare le persone con disabilità fisico-motoria e/o psichico/cognitiva a vivere un’esperienza erotica, sensuale o sessuale e a indirizzare al meglio le proprie energie interne spesso scaricate in modo disfunzionale in sentimenti di rabbia e aggressività».
Il Disegno di Legge, dunque, si sintetizza principalmente nella richiesta di produrre Linee Guida adeguate, ovvero di istituire «presso ogni Regione e presso le Province di Trento e Bolzano di un elenco di assistenti per la sana sessualità e il benessere psico-fisico delle persone con disabilità o assistenti sessuali».
Ora, si può essere d’accordo? Sì, però… che non passi il concetto che per raggiungere il benessere psicofisico si debba per forza far sesso. Primo, si può star bene con se stessi anche senza; secondo, la discriminante che è un bene avere un buon rapporto con la propria sfera sessuale non deve giustificare nell’opinione pubblica la pretesa di fare sesso. Una donna, un uomo, con cui farlo non si possono pretendere a prescindere. Non si possono pretendere affatto. Essere aiutati a conoscersi e viversi sì, pretendere sesso come diritto no.
L’assistente sessuale, altro aspetto che della proposta mi lascia perplesso, non deve essere pensato solo per «le persone con disabilità fisico-motoria e/o psichico/cognitiva», perché se la disabilità è questione di salute, come stabilisce l’Organizzazione Mondiale della Sanità, tutte le persone con disabilità possono avere disagi di salute e stare a specificare esattamente le categorie abilitate – per quanto onnicomprensive – può essere discriminante.
Sempre nel testo proposto, poi, sembra che molte persone con disabilità non possano avere buone relazioni sotto il profilo psicoaffettivo ed emotivo per la ridotta autosufficienza o capacità motoria e ciò viene assunto fra le motivazioni che giustificherebbero il ricorso all’assistenza sessuale. Io spero si tratti di un abbaglio. Non posso credere, infatti, che si pensi di delegare, anche parzialmente, a una figura professionale la soluzione della questione. Il problema, infatti, non è assistere la persona ad affermarsi nella società, bensì il contrario: assistere la società ad accogliere la persona disabile con i suoi sentimenti e la sua sessualità. In questo senso, semmai, ci vorrebbe un assistente sessuale per ogni cittadino per accompagnarlo alla conoscenza della disabilità.
Riepilogando, secondo me l’assistente sessuale può essere utile, ma non risolve i problemi di inclusione delle persone con disabilità, tanto meno sotto il profilo affettivo o sessuale. Ancor meno sotto quello amoroso. Istanza, quella dell’amore, che emerge come problematica ancor più frequentemente di quella della sessualità, secondo la mia esperienza.
Allora, le cose, se dobbiamo farle, facciamole bene. Presentiamole bene. Sennò si ripropongono. Come i peperoni e la bagna cauda. Finché non finiscono nella cloaca.
Ricordiamo che all’indirizzo del testo da noi pubblicato nei giorni scorsi, a firma di Andrea Pancaldi e con il titolo La sessualità e le parole che danzano “in punta di piedi”, è disponibile l’ampio elenco dei numerosi contributi proposti in questi anni dal nostro giornale, sull’argomento trattato nella presente “Opinione”.