Come le altre, anche nei casi di violenza

Sono importanti i temi che affrontiamo con Laura Raffaeli, donna con una duplice disabilità sensoriale, presidente dell’Associazione Blindsight Project, blogger e scrittrice impegnata su tanti fronti. Con lei, infatti, parliamo di violenza sulle donne, e in particolare su quelle con disabilità sensoriale, e di quanto si potrebbe fare, ma ancora non si fa, per semplificarne i problemi, a partire proprio dal considerarle come le altre donne, anche quando sono vittime di violenze

Oriella Orazi, "Stati d'animo" (particolare)

Oriella Orazi, “Stati d’animo” (particolare)

Non è la prima volta che incontriamo Laura Raffaeli, della quale già qualche anno fa abbiamo provato a raccontare l’impegno su tanti, diversi fronti. Oggi Laura è una donna di 53 anni che quando ne aveva 42, in seguito a un incidente stradale, riportò due disabilità sensoriali, diventando completamente cieca e perdendo metà dell’udito.
Questa nuova condizione l’ha indotta, come accennato, a impegnarsi su molti fronti: è attiva sui temi della sicurezza e della prevenzione degli incidenti stradali, ma soprattutto ha fondato la ONLUS Blindsight Project, con la quale porta avanti varie rivendicazioni (dall’abbattimento delle barriere sensoriali a diverse campagne informative: sul cane guida, per i passaggi pedonali liberi, per l’audiodescrizione delle opere cinematografiche e teatrali e altre ancora) e gestisce insieme ad altre donne il gruppo Pink Blindsight (spazio web particolarmente attento alle donne con disabilità visive e uditive, spesso dimenticate anche dalle altre persone con disabilità). Da ultimo, ma non ultimo, scrive anche libri. In tal senso, Laura ha dovuto imparare di nuovo, e al buio, a digitare su una tastiera con uno screen reader (ausilio informatico con sintesi vocale che permette alle persone disabili visive di leggere, scrivere, navigare, ecc.), e dai suoi scritti, nel 2011, è stato tratto lo spettacolo teatrale Laura per tutti – che aveva fornito l’occasione per quel nostro primo incontro di cui si diceva -, nel quale, tra le altre cose, racconta con grande coraggio dello stupro subito dopo essere diventata cieca e ipoudente.
Laura sembra una donna forte e tuttavia ho un po’ di pudore a chiederle se se la sente di aiutarmi a buttar giù un elenco di suggerimenti per rendere accessibili i Servizi Antiviolenza anche alle donne con disabilità sensoriali. Chiederglielo, infatti, vuol dire portarla a ripensare a cose sgradevoli e dolorose, e io non so se lei in questo momento se la senta. Il fatto che in passato si sia esposta pubblicamente, non mi autorizza a sottovalutare quanto dev’esserle costata quella scelta, né, ancor meno, mi autorizza a pensare che abbia ancora voglia di farlo. Eppure il tema è troppo importante. Quindi, “in punta di piedi”, sondo la sua disponibilità. Lei accetta di collaborare e la sua apertura al prossimo mi restituisce una donna che ha imparato ad essere più grande del proprio dolore. (S.L.)

Cara Laura, il tema della violenza nei confronti delle donne con disabilità è poco noto anche a coloro che sarebbero chiamati a dare risposte a questo fenomeno (Pronto Soccorso, Centri Antiviolenza, Forze dell’Ordine, Consultori ecc.). Attraverso quali iniziative pensi che si potrebbe aumentare la conoscenza e l’attenzione a questo tema? Non solo tra gli operatori, ma in generale?
«Certo che si può aumentare la conoscenza e l’attenzione su questo tema, basta decidere di farlo, ma sul serio, e una volta per tutte! Non serve più il seminario, il convegno, l’articolo ecc., perché ormai lo sappiamo tutti che è in atto un vero massacro di donne, sia dentro che fuori casa, e quasi sempre per i più futili motivi, perché in realtà non esiste un motivo per violentare, abusare o stuprare qualcuno.
Servono fatti, carissima Simona, e cioè bisogna che tutti coloro che hai citato diventino consapevoli del fatto che tra le donne che si rivolgono a loro (almeno quando lo fanno), esistono anche le donne disabili. Che tra queste donne ci siano anche quelle che camminano, capiscono tutto, muovono tutto, ma non vedono o non sentono nulla, o davvero poco, per potersi difendere e, soprattutto, farsi comprendere! Quindi la mia proposta è mettere un punto, investire tutto il denaro destinato in spot e altre iniziative, direi inutili (visti i risultati), in formazione. Una formazione che anche la nostra Associazione Blindsight Project potrebbe offrire, considerando, tra l’altro, che già dal 2006 svolge tale attività, gratuitamente.
Mi preme dire infatti che da anni Blindsight Project, in collaborazione con l’Associazione CulturAbile, ha presentato un progetto di questo tipo al Ministero degli Interni, proponendo corsi di LIS [Lingua Italiana dei Segni, N.d.R.], di comportamento con le persone disabili sensoriali, dell’uso di sottotitoli e audiodescrizioni per ogni video pubblicato da loro (in genere si tratta di video su temi importanti, come, ad esempio, l’antifrode, la sicurezza stradale, e anche la violenza), ma, per cominciare, stiamo aspettando la loro autorizzazione, che ancora non è arrivata, nonostante l’interesse dimostrato e la voglia di realizzare quanto da noi proposto fosse davvero importante.
Ecco, basterebbe cominciare dalle Forze dell’Ordine. Infatti, una volta informate queste, dovrebbe essere facile diffondere il messaggio a tutti gli altri servizi, o almeno spero. Al momento si può dire che solo uno su un milione sappia cosa fare di fronte a una donna sorda o cieca in difficoltà e lo stesso vale per tutti gli altri disabili sensoriali».

Pensi che le donne con disabilità sensoriale siano sufficientemente informate e sensibilizzate a questo tema?
«Penso proprio di si, ciò che manca a noi donne con disabilità sensoriale non è la consapevolezza del pericolo o del cosa fare in caso di violenza. Ciò di cui avremmo bisogno è – come dicevo prima – essere considerate come le altre anche quando andiamo a denunciare, o ci rivolgiamo a un Centro Antiviolenza, spesso inadeguato, ad esempio, ad accogliere una donna sorda, o impreparato sul comportamento da tenere con una persona cieca.
Vorrei che non fossimo come tutte le altre solo per ricevere le violenze, che nel nostro caso difficilmente vengono denunciate, soprattutto per i motivi a cui ho accennato. A volte per noi è già difficile affrontare una giornata normale in mezzo a tanti vedenti ignari, figurati quante volte è necessario pensarci prima di decidere di “sottoporsi” alla Polizia o a un Pronto Soccorso!».

A tuo giudizio, quali sono le maggiori difficoltà che incontra una donna con disabilità sensoriale nel momento in cui decide di chiedere aiuto a qualcuno?
«L’inaccessibilità e l’ignoranza, intesa come ignorare completamente le esigenze di chi non vede o non sente. Uno dei tanti esempi che posso portarti riguardo a chi è sorda è il problema della lingua. Nel nostro Paese la LIS, così come a Malta, non è ancora riconosciuta quale lingua ufficiale per le persone sorde; ne consegue che questa donna, se volesse rivolgersi a qualcuno, dovrebbe pagarsi pure l’interprete, e sai quante volte bisogna ripetere la stessa cosa, a vari personaggi, quando si decide di denunciare?

Laura Raffaeli

Laura Raffaeli

Per chi è cieca, poi, c’è il problema dell’identificazione, nel caso di uno sconosciuto e, dicendola tutta, con chi non vede o non vede quasi niente, anche se l’aggressore non è sconosciuto, spesso non si dichiara, e rimane comunque una testimonianza basata su percezioni tattili e olfattive (a volte, per altro, più importanti di quelle visive, ma non tutti lo sanno, o lo capiscono). Soprattutto una donna cieca che ha subito violenza è più disorientata di una donna che vede, cosicché andrebbero usati modi e maniere tali da poterla riportare, per quanto possibile, in un luogo diverso; bisognerebbe quindi dirle subito dove si trova, cosa c’è e chi ha intorno, chi sono le persone lì presenti e quale sia il loro ruolo; insomma, con calma, lei dovrebbe per prima cosa localizzarsi in un altro posto, diverso da quello impresso nella mente, e che non dimenticherà più.
Le cose da fare sono varie, basta saperle, basta informarsi, non è giusto che le donne italiane con disabilità sensoriali del terzo millennio debbano ricordare che esistono e chi sono!».

A cosa è necessario prestare attenzione quando si vuole progettare un ambiente o un servizio (ad esempio i Centri Antiviolenza, i Pronto Soccorso, i Consultori, le Stazioni di Polizia…), per persone con disabilità sensoriali?
«Credo basterebbe attenersi alle regole della Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità, ratificata in Italia ormai da un bel po’ d’anni [con la Legge 18/09, N.d.R.] (perché credo sia inutile ratificare la Convenzione di Istanbul sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica [del 2011, N.d.R.], se ci si scorda di quella che include tutte le donne disabili), e aggiungo che non sono documenti privati, sono testi che chi opera in questi settori dovrebbe conoscere, in modo scontato, dovrebbero far parte del loro bagaglio di conoscenza, del loro curriculum, altrimenti sarebbe come dover ricordare alla Polizia Stradale che esiste il Codice della Strada!
Quindi è necessario procedere con l’abbattimento delle barriere sensoriali e con brevi corsi di formazione al personale addetto, mirati sulle disabilità sensoriali e rivolti a tutti, dalle Forze dell’Ordine ai medici, dagli assistenti sociali agli psicologi.
Una barriera sensoriale sconosciuta, ad esempio, è rappresentata dai vetri degli sportelli: infatti, se non sono chiari e ampi, impediscono la lettura del labiale a una persona sorda (che anche se segnante comunque legge, se si scandiscono bene le parole, pure sottovoce). Un’altra barriera sensoriale è data poi dai numeri verdi o di soccorso che non consentono di chattare (anche se da poco è stata lanciata un’applicazione per le persone sorde, ma dovrei approfondire). Rimane comunque il problema che chi non ha uno smartphone ed è sorda dovrebbe poter chattare da un computer. E ancora, in un ambiente è sempre meglio mettere delle guide tattili a terra, ma mi rendo conto che sono troppi i Centri Antiviolenza che hanno subìto tagli e non ricevono i fondi necessari al loro importante compito, quindi, in questo caso, riguardo alle disabilità visive, basterà avere il comportamento giusto, ma anche un sito web realmente accessibile, ciò che vale anche per un’eventuale applicazione.
Ne approfitto per ricordare a tutti che le persone cieche o ipovedenti possono firmare, una cosa, questa, che solo per ignoranza della legge, crea imbarazzi, disagi e panico tra chi richiede una firma, e rabbia da parte di chi dovrebbe apporla [Legge 18/75, N.d.R.].
Vorrei concludere con un altro degli innumerevoli esempi che potrei portare: i documenti devono essere accessibili per Legge, e mi riferisco ai moduli da compilare, da leggere, da firmare, ed è anacronistico l’uso del fax e del cartaceo, quando non strettamente necessario o espressamente richiesto.
Da ultimo, ma non certo ultimo, vorrei infine segnalare la totale inaccessibilità informatica, dai siti web alle rare applicazioni finora create, alcune davvero di grande utilità, ma inaccessibili anche agli smartphone più sofisticati, sia per le persone cieche che per quelle sorde. Basterebbe ricordarsi anche in questo caso sia della già citata Convenzione ONU, sia, soprattutto, della cosiddetta “Legge Stanca” [Legge 4/04, “Disposizioni per favorire l’accesso dei soggetti disabili agli strumenti informatici”, N.d.R.]. Se si considera che il 99% delle persone con disabilità sensoriale usa uno smartphone principalmente come ausilio, è facile capire che quando prima dicevo che “basta volerlo” non mi sbagliavo: abbiamo leggi e accordi straordinari, perché tutti li ignorano?».

Nel caso specifico di un Servizio Antiviolenza, cosa pensi che una donna con disabilità sensoriale si aspetti di trovare, qualora decidesse di contattarlo?
«L’accessibilità, inutile ripeterlo, e sai perché? Perché per noi donne con disabilità sensoriale significa autonomia, quella che serve in questi casi estremi in cui hai ancora più bisogno di ogni altra di sentirti… “normale”! E anche la conoscenza, come dicevo prima, sul comportamento da usare: sai quante volte ho sentito urlare in italiano dialettale a persone sorde? E quante mani addosso a una persona cieca senza averglielo prima segnalato?».

Uno dei momenti salienti della relazione d’aiuto è il colloquio tra l’operatrice (parlo al femminile perché nel caso della violenza basata sul genere, è importante che chi presta soccorso appartenga allo stesso genere di chi chiede aiuto) e la donna che ha subito o è a rischio di violenza. Quali accorgimenti di comunicazione, di ascolto e ambientali è necessario porre in essere, quando ci si relaziona a una donna con disabilità visiva (cecità o ipovisione)? E quali nei casi in cui quest’ultima abbia una disabilità uditiva (sordità o ipoacusia)?
«Questo del chi presta aiuto e del genere è un bell’argomento: non sempre, infatti, le cose vanno come dovrebbero. Come già accennavo, a volte bisogna ripetere la stessa cosa a più persone, e non è bello farlo, né in quel momento, né mai. Per questo è importante, secondo me, che ci sia una persona che segua il caso, la stessa che provvederà semmai a ripetere le informazioni acquisite agli altri operatori, risparmiando quella che io ritengo una violenza sulla violenza [rispetto a questo tema, si segnala il filmato intitolato Non farmelo ripetere, realizzato dal Gruppo infermieristico del Policlinico Tor Vergata di Roma contro la violenza sulle donne, che raccomanda una continuità nell’assistenza che non costringa le donne a ripetere a tanti/e operatori/trici diversi il proprio vissuto di dolore, N.d.R.].

Tiziano, "Ritratto di giovane donna", 1515 circa

Tiziano, “Ritratto di giovane donna”, gessetto su carta bruna, 1515 circa, Gabinetto dei Disegni e delle Stampe, Firenze

Riguardo agli accorgimenti utili da usare, come già detto, è importante per una donna con disabilità visiva avere sùbito un’àncora per tornare alla realtà. Le nostre disabilità sensoriali, infatti, ci privano della realtà (anche se grazie alle nostre percezioni e ai nostri ausili a volte la conosciamo meglio di altri), ma in caso di violenza o in un altro caso simile, la nostra disabilità si sente tutta. Localizzarla (spiegarle dove si trova) o aiutarla a farlo ecc. ecc., fino a non mettere mai in dubbio qualcosa che la donna ha percepito, solo perché non vede o non sente.
Poi ci sono le chat, le videochiamate, che per essere accessibili alle donne segnanti dovrebbero consentire di comunicare con qualcuno che conosce la LIS; e le applicazioni accessibili dovrebbero permettere – premendo un semplice pulsante di soccorso – di localizzare immediatamente la donna che chiede aiuto; in tal senso, l’applicazione da usare in caso di pericolo dovrebbe dirmi Soccorso anziché Pulsante, perché altrimenti vuol dire che chi l’ha sviluppata vive ancora in un altro millennio, ed è rimasto, come tanti altri “pseudosviluppatori”, ad Arpanet.
Per chi è ipovedente o ipoudente le cose cambiano un po’, ma non di tanto, anzi, quella via di mezzo tra due dimensioni spesso rende la persona più fragile».

Pensi che le Associazioni che si occupano di disabilità possano avere un ruolo nella prevenzione e nel contrasto alla violenza nei confronti delle donne con disabilità?
«Penso che tutti abbiamo la possibilità di avere questo ruolo, anzi dovremmo quasi imporcelo, ma tra le Associazioni di categoria, quello che ovviamente si può fare è unire le forze, per avere ciò che dovrebbe già esistere. E molto di ciò che dovrebbe già esistere lo abbiamo già detto qui.
Naturalmente il tema della violenza non colpisce solo la nostra nazione, va detto però che qui da noi siamo così indietro con le azioni utili, che ancora dobbiamo ricordare che non tutte le donne sono uguali e già questo non è un bel segno, anche se la voglia di cambiare e di fare ce l’abbiamo in tante (e sottolineo il femminile, visto che finora non siamo mai state Presidenti della Repubblica o del Consiglio).
Andrebbe quindi dimenticato questo strano modo di fare volontariato del tutto italiano. Riferendomi ad esempio alle Associazioni, vorrei dir loro che non esiste “il più bravo”, forse esiste solo chi prende più soldi di altri, ma questo non importa, ciò che importa è che si sia uniti davvero, per risolvere almeno il problema dell’inaccessibilità, oltre a quello dell’ignoranza nei confronti delle disabilità sensoriali».

Manifesti, volantini, filmati, spot, iniziative via web e nei social… Se decidessimo di realizzare una campagna per sensibilizzare al tema della violenza nei confronti delle donne con disabilità, e volessimo che questa fosse accessibile anche alle donne con disabilità sensoriali, quali sarebbero i formati e i supporti più adatti a veicolare il nostro messaggio?
«Documenti accessibili, come vuole la citata “Legge Stanca”, e pertanto fruibili anche da chi usa uno screen reader. Audiovisivi di qualsiasi formato, ma necessariamente con sottotitoli, audiodescrizione e trascrizione in testo accessibile, come vuole la Convenzione ONU. Infine, eventuali siti web costruiti anch’essi in conformità alla “Legge Stanca”, ciò che dovrebbe valere anche per le applicazioni e per tutto ciò che riguarda l’informatica, lo spettacolo e il web».

Nella tua esperienza di blogger e scrittrice, là dove hai affrontato il tema della violenza, hai avuto dei contatti, sostegno, interesse da parte delle Associazioni o dei Gruppi femministi e femminili?
«No, nessun contatto da nessuna Associazione o Gruppi. Non a caso ho dato vita a Pink Blindsight, proprio perché avevo capito che – anche se è assurdo – bisogna ricordare che esistiamo anche noi donne cieche o sorde tra le donne che subiscono gli stupri, e che forse tra noi sono addirittura più frequenti, sebbene non siano quasi mai denunciati.
La cosa che proprio non capisco è che dobbiamo ricordarlo anche alle altre donne. Con Pink Blindsight ho cercato di fare una rete, qualcuna ha cominciato a parlarne, e a quel punto tutte si sono mostrate interessate e contente di sapere, eppure fino a quel momento non era emerso niente. Del resto, ho rotto un silenzio, non ti nascondo che l’ho fatto con grande dolore, ma forse per istinto materno ho pensato a quante adolescenti, a quante giovani donne come me passano gli stessi momenti, spesso dentro casa, e mi sono sentita una stupida a non aver detto prima a tutti… quante volte si può morire!».

In conclusione, hai qualche tua considerazione da aggiungere?
«Si, vorrei che si prendesse in considerazione la differenza tra chi è nata disabile e chi lo è diventata, anche se da bambina, perché sono mondi simili, ma molto diversi. Poi vorrei che tutti gli addetti al soccorso e al recupero contattassero Blindsight Project, o me stessa direttamente, prima di spendere soldi in un locale, o per qualche attrezzatura che qualcuno spaccia per “abbattimento di barriere”, ma soprattutto per sapere come comportarsi e cosa fare in caso di sordità o cecità. Infine, mi piacerebbe che le donne si conoscessero tutte tra loro, una volta per tutte e senza tanti raduni o convegni. Nel web ci siamo tutte, basta fare rete. Grazie!».

La presente intervista è già apparsa nel sito del Gruppo Donne UILDM (Unione Italiana Lotta alla Distrofia Muscolare), con il titolo “Il bisogno di essere considerate come le altre anche nei casi di violenza”, e viene qui ripresa, con alcuni riadattamenti al diverso contesto, per gentile concessione.

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