Una scuola che ha scelto di esserci

Di fronte a genitori «che dovrebbero iniziare a porsi seriamente alcune domande – scrive Francesca Debernardi – c’è stata una scuola che, dopo l’ennesimo atto di bullismo, ha visto e ha scelto di esserci, sostenendo l’inclusione e la diversità, contro l’emarginazione e la violenza sociale. Un atto di grande coraggio e il segnale che finalmente qualcosa sta cambiando»

Ragazzo vittima di bullismo da parte dei compagni di scuola

Un ragazzo vittima di bullismo da parte dei compagni di scuola

A poche settimane dagli incresciosi fatti avvenuti all’Istituto Alberghiero Giulio Pastore di Varallo Sesia (Vercelli) , ecco comparire un nuovo tragico episodio di bullismo, avvenuto durante una gita scolastica di un Liceo della città di Cuneo: quattordici i ragazzi sospesi.
A mio avviso, due sono le tematiche da sottolineare in queste vicende: l’atteggiamento della scuola e quello dei genitori.

Noi, associazioni di genitori di figli con disabilità, ci saremmo aspettati dalla scuola valsesiana una presa di posizione forte. Una scuola in cui è stata picchiata, insultata, presa a calci e sputi, una ragazzina con disabilità ed extracomunitaria e, soprattutto, dove un’insegnante si è resa complice col suo non intervento nella vicenda. Una presa di posizione che dimostrasse il suo totale distacco e l’estraneità a una situazione tanto incresciosa. Che desse un esempio, punendo in modo esemplare i responsabili di tale inumanità. Che mostrasse solidarietà e rispetto per una famiglia che viveva un dolore per le violenze e l’umiliazione subite dalla propria figlia, una famiglia già molto più fragile di altre, perché costretta ogni giorno ad affrontare il grande dramma della disabilità.
E invece questo è arrivato dalla Preside di un Liceo cuneese, la quale ha finalmente dimostrato che esistono persone illuminate nel mondo dell’Istruzione, pronte a mandare il messaggio che certi atti di violenza non possono e non devono restare impuniti. E questo non per la punizione fine a se stessa, ma perché il nostro ruolo (genitori, insegnanti, educatori, individui) in questa società e la nostra responsabilità verso questi adolescenti è di trasmettere loro dei valori, un esempio che essi stessi dovranno interiorizzare e riconoscere.
C’è stata dunque una scuola che ha mandato un messaggio importantissimo: una scuola che ha visto e che ha scelto di esserci, a sostegno dell’inclusione e della diversità, e contro l’emarginazione e la violenza sociale. Un atto di grande coraggio e, a mio avviso, il segnale che finalmente qualcosa sta cambiando.

Non dobbiamo dimenticare che l’educazione è funzionale al cambiamento sociale, nel senso che i figli che vengono educati ora, andranno a costituire la società futura, la quale porterà le caratteristiche degli individui che la comporranno. Per questo motivo l’educazione risulta essere di fondamentale importanza per costruire una buona società, nella quale ogni individuo sia in grado di far tesoro del patrimonio ricevuto e attraverso questo sia in grado di vivere, di seguire una logica e non si lasci influenzare e plasmare in tutto e per tutto dalla cultura dominante.
Il genitore dovrebbe essere colui che si pone come punto di riferimento sotto l’aspetto della formazione e della crescita del piccolo essere umano, dovrebbe riuscire ad essere sia giudice delle azioni del “figlio”, sia capace di trasmettere amore e sicurezza. Un’immagine non dispotica, ma nemmeno caratterizzata da una volontà fragile e incline all’assecondare il figlio in tutto e per tutto.
E questi «genitori deboli», come li definisce lo psichiatra Gustavo Pietropolli Charmet, in genere vedono nel figlio solamente un oggetto utile all’appagamento del proprio desiderio, che consiste nel placare la propria ansia nei confronti del figlio stesso e a soddisfarne ogni minimo capriccio. Non è più il figlio che deve adattarsi alle norme simboliche che regolano la vita di una famiglia, ma sono le famiglie che adottano una legge stabilita dal capriccio del proprio figlio. Sono genitori che assumono tale comportamento unicamente per ricevere l’approvazione da parte dei figli e per colmare la loro ansia, prodotta dal timore di non essere accettati. Adulti come questi finiscono per allevare figli che resteranno intrappolati in una versione del mondo errata, viziata, opposta a quella reale, una versione in cui penseranno che tutto sia loro dovuto. E questi sono i risultati!
Quale genitore, infatti, di fronte a brutalità come quelle avvenute durante la gita del Liceo di Cuneo può difendere ancora il proprio figlio (nella circostanza le madri hanno dichiarato: «Macché bullismo. Macché violenze. È stato uno scherzo. Forse pesante, ma uno scherzo. Lo sbaglio è una punizione tanto severa»), invece di porlo di fronte alle responsabilità di un gesto così grave? Essere un buon genitore non significa forse incorrere anche nella rabbia e nel disprezzo del figlio, ma dargli una lezione di vita, col proprio esempio, che lo aiuti a crescere e ad essere una persona migliore? O ciò che conta è sempre la logica del “qui e ora”? Perdere l’anno scolastico è più o meno importante del fatto che lui non diventi un adulto violento e privo di rispetto per la dignità umana?
Sarebbe ora, credo, che certi genitori iniziassero a porsi seriamente queste domande.

Vicepresidente dell’ANGSA Novara-Vercelli (Associazione Nazionale Genitori Soggetti Autistici).

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