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Le nuove frontiere nella gestione dell’ictus

Persona colpita da ictus con un medico

L’obiettivo principale di un’Associazione come ALICE è il recupero dell’autonomia e del benessere della persona colpita da ictus

Conoscere l’ictus, ma soprattutto come prevenirlo e curarlo: è con questo breve, ma sostanziale messaggio che iniziamo un approfondimento dedicato a tale evento patologico, per il quale prendiamo spunto dalle iniziative organizzate alcuni mesi in Friuli Venezia Giulia dalla Sezione locale dell’Associazione ALICE FVG (ove appunto ALICE sta per Associazione per la Lotta all’Ictus Cerebrale), a partire dal convegno di Udine intitolato Ictus: Up-To-Date.
Un po’ di cifre: si valuta che attualmente vi siano in Italia circa 200.000 casi di ictus ogni anno (l’80% di nuovi episodi e il 20% di recidive). Si tratta della terza causa di morte (o la seconda, come riportano altre stime) – dopo le malattie cardiovascolari e i tumori (il 10-12% di tutti i decessi per anno si verifica dopo un ictus). Rappresenta invece la principale causa d’invalidità.
Nel nostro Paese, il numero di persone che hanno avuto un ictus e sono sopravvissute, con esiti più o meno invalidanti, è oggi pari a circa 913.000, ma il fenomeno è in costante crescita, a causa dell’invecchiamento della popolazione, fenomeno particolarmente accentuato proprio in Friuli Venezia Giulia, che i dati collocano al secondo posto tra le Regioni più longeve.
Per quanto poi riguarda il costo medio dell’assistenza, per i primi tre mesi dopo un ictus si parla di circa 6.000 euro per ogni caso (la fonte è lo studio europeo EC/STROKE PROJECT), che arriva a 10.000 euro dopo i sei mesi, secondo quanto riportato dallo Studio Eclipse. Tali stime non tengono conto, naturalmente, né delle spese successive ai periodi indicati né tantomeno dei costi relativi all’assistenza e al supporto.
Va infine ricordato che durante un altro recente convegno di Udine, centrato in particolare sull’ictus nelle donne, è stato presentato uno studio realizzato per dieci anni dal Karolinska Institute di Stoccolma, su ben 32.000 donne (60 anni l’età media), dal quale è emerso che rispettando cinque precise “regole di vita” (“non fumare”, “bere alcol con moderazione”, “mantenere il giusto peso corporeo”, “avere una corretta alimentazione” e “fare costantemente attività fisica”), il rischio di ictus viene ridotto del 54%.

Dei fattori responsabili dell’ictus, della prevenzione, ma anche dell’assistenza basata sul cosiddetto Co-Housing e di altro ancora, abbiamo parlato con Paolo Di Benedetto, specialista in Medicina Fisica e Riabilitazione e in Neurologia, oltreché presidente di ALICE Udine e con Francesco Sicolo, segretario dell’Associazione.

Come è nata la vostra Associazione e qual è lo scopo principale della vostra attività?
Sicolo: «La Federazione ALICE Italia, di cui facciamo parte, è una ONLUS nata nel 2004, con lo scopo principale di promuovere l’assistenza al paziente e ai suoi familiari, sia nella prevenzione che nell’aiuto e nel sostegno, seguendo tutte le fasi della malattia dopo le dimissioni ospedaliere. Più in generale ci rivolgiamo a tutti coloro che sono interessati a migliorare la qualità della vita di questi pazienti, per una piena integrazione nel contesto sociale».

Ma quando si parla di ictus celebrale, a che cosa esattamente ci si riferisce?
Di Benedetto: «A un evento acuto che può essere di natura vascolare di tipo ischemico o di tipo emorragico, che colpisce una parte del cervello, tanto è vero che si chiama ictus a focolaio e con una lesione che può essere transitoria, reversibile o irreversibile.
Ci sono in realtà due tipi di ictus: quello causato da un embolo, meglio noto come ictus ischemico e quello provocato dalla rottura di un vaso arterioso, più comunemente chiamato emorragia cerebrale. Gli emboli o i trombi bloccano il flusso sanguigno e impediscono all’ossigeno trasportato di arrivare al cervello; ne consegue una sofferenza che porta alla perdita totale o parziale delle funzioni neurologiche».

Logo di ALICE Friuli Venezia GiuliaÈ noto che uno dei fattori che può condurre all’ictus è l’ipertensione, che colpisce più di 15 milioni di persone nel nostro Paese, una parte delle quali inconsapevoli, perché i sintomi non sono sempre facilmente identificabili. Ma come possiamo individuare i principali fattori di rischio?
Di Benedetto: «Alcuni fattori non sono modificabili, come l’età, l’ereditarietà e il genere (l’ictus colpisce infatti il 57% degli uomini e il 43% delle donne, anche se il 61% dei decessi per ictus riguarda proprio il genere femminile, con un’incidenza doppia, ad esempio, rispetto al tumore al seno). Per altri, invece (ipertensione, diabete, colesterolo), è necessario attuare una prevenzione primaria, adottando cioè uno stile di vita adeguato, svolgendo attività fisica e alimentandosi bene, ciò che aiuta appunto a ridurre tali fattori di rischio. Purtroppo una delle cose che manca nel nosrtro Paese è proprio una prevenzione pubblica che promuova programmi basati su una corretta attività fisica per tutti».

Quali sono i dati relativi alle persone colpite da ictus in Friuli Venezia Giulia e come interviene la Sanità Regionale in materia di gestione e di assistenza al malato?
Sicolo: «Nell’anno 2013 sono stati osservati 3.000 nuovi casi. Del resto, guardando all’intero territorio italiano, una persona su 60 è colpita da ictus, tenendo conto anche dei cosiddetti TIA o AIT (attacchi ischemici transitori)».
Di Benedetto: «Uno dei principali errori finora commessi, credo sia quello di avere spesso sottovalutato la patologia. Essendo invece una malattia assai frequente, anche la nostra Regione si è ora fatta carico dell’epidemiologia, con una specifica Delibera, volta a uniformare l’assistenza in tutta l’area, con l’obiettivo di arrivare a una Rete Regionale per la gestione del paziente con ictus. Infatti, pur essendo il sistema sanitario regionale complessivamente in grado di assicurare interventi di buon livello, esso potrebbe essere migliorato avviando appunto una rete che individuasse e chiarisse il ruolo dei diversi nodi della rete stessa, favorendo l’elaborazione di percorsi condivisi, validi per tutto il territorio, onde evitare inutili e dannose perdite di tempo nel percorso di diagnosi e cura. Attendo, pertanto, di vedere se ci sarà spazio per tutte le figure coinvolte nel processo di recupero della disabilità secondaria a ictus cerebrale. Perché un conto è una Legge o una Delibera, un altro è l’attuazione delle stesse (ahimè, spesso dimenticate)! Mi riferisco, in particolare, a figure quali i neuropsicologi, i logopedisti e i terapisti occupazionali che sono carenti (o addirittura assenti) in alcune aree della nostra Regione e che permetterebbero una continuità riabilitativa e assistenziale a 360 gradi tra i servizi di emergenza e cura ospedaliera e le strutture territoriali. I fondi ci sarebbero: basterebbe risparmiare laddove possibile, avendo il coraggio di agire, di innovare e di essere attenti alle nuove esigenze in àmbito sanitario».

Altre criticità da voi riscontrate?
Sicolo: «Il problema maggiore sta forse nella tempistica. Noi, ad esempio, di progetti ne inviamo eccome, sia alla Regione che alla Provincia, ma di risposte ne arrivano ben poche. Senza dimenticare il fatto che i fondi alle Associazioni sono stati tagliati di oltre metà in questi ultimi quattro anni.
Per la Regione – e per i nostri Soci – sarebbe per altro un grosso risparmio formare dei gruppi con dei pazienti che condividessero ad esempio l’ora di logopedia. Come Associazione facciamo del nostro meglio per intervenire a supporto delle famiglie. Da molto tempo, per dirne una, abbiamo avviato un corso di informatica (due ore a settimana), grazie ai computer forniti dal Gruppo Danieli di Buttrio (Udine). Si tratta di un progetto realizzato insieme alla Farfalla di Gorizia (Associazione Isontina Malati di Parkinson) della dottoressa Alessandra Martinelli. Abbiamo inoltre promosso un’iniziativa di alfabetizzazione a casa, tramite skipe, per i pazienti allettati e l’organizzazione di un percorso di assistenza all’accompagnamento, alla lettura. Per non lasciare soli i pazienti, infine, abbiamo sviluppato il Progetto No alla solit’Udine, grazie al contributo dei volontari. Ma per tutto ciò avremmo ovviamente bisogno di un maggiore sostegno da parte delle Istituzioni».

Paolo Di Benedetto

Paolo Di Benedetto, presidente dell’Associazione ALICE di Udine

Durante il recente convegno da voi organizzato, intitolato Ictus: Up-To-Date, oltre ad avere evidenziato gli aspetti medici e le caratteristiche della malattia, avete parlato dei trattamenti riabilitativi, ma anche di un progetto di Co-Housing come proposta alternativa all’istituzionalizzazione. In che cosa consiste?
Di Benedetto: «L’idea è nata da un’esperienza fatta a Basaldella (Udine) su due persone affette da demenza, per le quali i familiari hanno attuato appunto questo metodo di assistenza, cercando di condividerne la gestione. Dove cioè ci sono tre o quattro persone che necessitano di assistenza, potrebbero essere sufficienti due caregiver anziché uno per ciascuna persona.
Credo che questo progetto potrebbe essere utilizzato maggiormente, perché l’idea di essere seguiti in case di riposo piuttosto che in strutture del genere non è certo sempre gradita o gradevole, senza contare l’autonomia che si potrebbe ottenere coabitando in una stessa casa, oltre al fatto che si potrebbe risparmiare moltissimo dividendo le spese.
Il progetto di Co-Housing (letteralmente “abitare assieme”) viene condotto dalla psicologa Donatella Basso, che tiene alcune attività all’interno della nostra Associazione ed è stato condiviso anche da altre Associazioni. A ciò si connette anche il concetto di nuove architetture, costruite con tutti i crismi, ovvero di residenze autonome, studiate apposta per l’accessibilità».

Avete altri progetti per il futuro?
Di Benedetto: «Avrei un sogno nel cassetto: vorrei organizzare un convegno nazionale dal titolo Sport, arte e mestieri nella disabilità. Questo, infatti, è il traguardo verso l’autonomia dopo una buona riabilitazione, perché oltre a riprendere a camminare, arrivare ad eccellere nello sport, distinguersi nell’arte o avviare una propria attività sarebbe realmente un bel messaggio, che mostrerebbe il “lato positivo”, rispettando il proverbio secondo cui “non c’è mai un male che non sia un bene”! In questo senso vogliamo continuare il nostro lavoro, guardando a nuovi obiettivi e sempre tenendo come riferimento l’obiettivo principale, che è naturalmente il recupero dell’autonomia e del benessere della persona».

Per ulteriori informazioni e approfondimenti: segreteria@aliceudine.it.

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