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La vera discriminazione sta nell’inaccessibilità

Studio di un medico di famiglia

Lo studio di un medico di famiglia

Che cosa ha risposto l’Ordine dei Medici della Provincia di Torino alla CPD (Consulta per le Persone in Difficoltà), di fronte al progetto di quest’ultima denominato Una vita accessibile, ovvero alla richiesta di poter mappare, tramite un questionario, l’accessibilità degli studi dei medici di base del capoluogo piemontese? Che non sarebbe stato possibile diffondere tale questionario, perché un censimento del genere avrebbe portato a una «discriminazione tra i medici». Molto meglio, invece, è andata con le farmacie, il 70% delle quali hanno risposto al questionario.
A questo punto, dunque, come si è mossa la CPD? Si è rivolta ai Direttori di Distretto delle due ASL torinesi, incassando l’adesione dell’ASL TO2, con la compilazione del questionario da parte di 86 medici su 400, mentre invece nessuna adesione è pervenuta dall’ASL TO1.

«Crediamo – commentano con amarezza dalla stessa CPD – che la realizzazione di una mappatura degli studi medici non sia discriminatoria nei confronti dei medici, ma che sia invece uno strumento utile per favorire la piena autonomia delle persone con disabilità. La mancanza di risposta non può essere vista se non come un’ulteriore discriminazione nei confronti dei cittadini con disabilità, che oltre a non poter usufruire appieno dei servizi, non riescono ad avere delle informazioni precise e indispensabili per indirizzare le loro scelte e costruire una piena autonomia».

Soffermiamoci ora sulle dichiarazioni di Roberto Venesia, segretario per la Provincia di Torino della FIMMG (Federazione Italiana Medici di Medicina Generale), riferite dall’Ufficio Stampa della CPD: «L’ASL TO1 – secondo Venesia – non ha svolto tale diffusione, in quanto gli studi sono privati, pur essendo presìdi delle ASL, e non esiste nessuna normativa che garantisca alle persone con disabilità la possibilità di un accesso agevolato, infatti, i professionisti hanno avuto l’autorizzazione ad aprire senza dover garantire nessun tipo di accessibilità. Se il cittadino con disabilità ha necessità, il medico di famiglia va a fare la visita a casa, ma questo servizio è garantito solo per le emergenze o in caso di malattia».
Ebbene, a questo punto non resta che rammentare quanto sottolineato lo scorso anno da Claudio Ferrante, presidente dell’Associazione Carrozzine Determinate Abruzzo e protagonista a propria volta di una dura protesta contro gli studi medici inaccessibili alle persone con disabilità: «C’è una Sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale (TAR) della Sicilia (Sede di Palermo) – aveva scritto Ferrante – la n. 9199 del 5 agosto 2010, che stabilisce un concetto chiaro specificato anche dalle normative vigenti, vale a dire che gli studi medici di medicina generale, “poiché destinati allo svolgimento di un servizio pubblico”, vanno considerati come locali “aperti al pubblico” e sottoposti dunque all’obbligo di eliminazione delle barriere architettoniche e quindi al rispetto delle Leggi Nazionali 13/89 e 104/92, oltreché dei Decreti del Presidente della Repubblica (DPR) 236/89 e 503/96, che tra l’altro riguardano anche gli edifici privati».
E non basta. «Qualora infatti medici e pediatri non abbiano gli studi accessibili – aveva aggiunto Ferrante – essi potranno essere denunciati per discriminazione, ai sensi della Legge 67/06 che tutela appunto le persone con disabilità da ogni discriminazione. Né ha valore la possibilità, da parte del medico, di effettuare la prestazione (visita) al domicilio del paziente”».
E quindi, altroché studi privati e altroché «discriminazione tra i medici»! Dove sta invece la vera discriminazione, se non nell’inaccessibilità? (S.B.)

Per ulteriori informazioni e approfondimenti sul progetto promosso a Torino dalla CPD (Consulta per le Persone in Difficoltà): uffstampa@cpdconsulta.it.

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