Sono gli studenti con disabilità, ad essere “in serie B”!

La FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap) replica a un’ampia analisi di Adriano Sofri, pubblicata da «la Repubblica», centrata sul ruolo e le competenze degli insegnanti di sostegno. Difendendo quindi la Proposta di Legge sul miglioramento dell’inclusione scolastica, da essa stessa sostenuta, la Federazione conclude di guardare con favore «a ogni tentativo di garantire agli alunni con disabilità una prospettiva diversa da quella del parcheggio in corridoio assieme al bidello!»

Ragazzo con disabilità dentro a una scuola«In quell’analisi di Adriano Sofri vi è più di un’imprecisione. Innanzitutto quella delega va riempita di contenuti e di indicazioni operative. E tuttavia, non è un mistero che l’intento sia di rifarsi alla specifica Proposta di Legge C-2444 (“Norme per migliorare la qualità dell’inclusione scolastica degli alunni con disabilità e con altri bisogni educativi speciali”), promossa dalle Federazioni delle associazioni delle persone con disabilità e dei loro familiari (FISH e FAND) e frutto di un lungo confronto con il Ministero. Quindi l’esigenza di una riforma del ruolo e delle competenze dell’insegnante di sostegno parte proprio “dal basso”, dai primi portatori di interessi, dall’intenzione di garantire innanzitutto il miglior diritto allo studio delle persone con disabilità».
Lo si legge in una nota della FISH, la Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap, che replica così a un ampio approfondimento di Adriano Sofri, pubblicato da «la Repubblica» con il titolo I professori di serie B, ove intervenendo su un aspetto particolare della riforma della scuola, si entra nel merito della delega al Governo, per la revisione del ruolo e delle competenze degli insegnanti di sostegno.

La nota della FISH riporta alcuni dati («nell’Anno Scolastico 2014/2015 gli studenti in Italia sono 7 milioni 900 mila con 728.325 insegnanti e gli insegnanti di sostegno sono 101.000 circa, per una popolazione di studenti con disabilità di circa 207.000, in un rapporto di 1 a 2, mentre il rapporto tra docenti di sostegni e docenti curricolari è di 1 a 7»), per sottolineare che «l’organico di sostegno non può essere considerato in sofferenza, a meno che non si interpreti quell’insegnante come assistente personale. Ma non è quello il ruolo: per quel ruolo sono previsti gli assistenti educativi e alla comunicazione e gli assistenti materiali. Il ruolo dell’insegnante di sostegno dev’essere invece quello del facilitatore, um “ponte” fra l’alunno con disabilità, il docente, il gruppo classe. E questo ruolo impone alcuni presupposti, il primo dei quali è una specifica formazione in pedagogia speciale. Il sostegno adeguato, infatti, lo si garantisce non con le inclinazioni personali o con un’innata sensibilità, ma con specifiche competenze. Va quindi riconosciuta e rimarcata, all’interno del corpo docente, la funzione educativa dell’azione di sostegno, non certo sostitutiva di specifiche figure assistenziali, che devono essere garantite su tutto il territorio nazionale in modo omogeneo, ma che invece non lo sono, per le note vicende relative a fondi e frammentazioni delle competenze. È proprio in queste sacche di disomogeneità che l’insegnante di sostegno finisce per assumere ruoli di assistenza materiale, se non riabilitativa».

La conclusione è conseguente: «Il sostegno ha un ruolo, una mansione, delle competenze precise. Non si comprende, quindi, perché qualunque disciplina non sia intercambiabile, il sostegno sì. Ecco la discriminazione: la marginalità. Tutte le discipline sono intoccabili, ma tutti, al contempo, possono – nel regime attuale – gestire il sostegno. Nella realtà dei fatti, poi, la situazione assume connotazioni assai gravi di rinnovata marginalizzazione e confinamento, primo fra tutti il fenomeno crescente delle cosiddette “classi di sostegno” (da 5 a 7 alunni con disabilità con 1 – 2 insegnanti di sostegno): un ghetto illegale! E ancora: insegnanti di sostegno senza alcuna formazione che usano quel ruolo per maturare punteggio nella propria classe di concorso (cosa consentita solo in questo caso), col risultato di dare scarse risposte all’alunno con disabilità e di praticare concorrenza sleale ad altri insegnanti precari che non scelgono questa scorciatoia. Avere il coraggio di denunciare questo fenomeno – lo sapevamo – infastidisce interessi consolidati e visioni corporative che hanno poco a che vedere con il diritto allo studio e la qualità dell’educazione».

«Per questi motivi – dichiarano dalla FISH – riteniamo che siano benvenuti i tentativi di sanare queste distorsioni, garantendo ai nostri figli con disabilità una prospettiva diversa da quella del parcheggio in corridoio assieme al bidello!». (S.B.)

Per ulteriori informazioni e approfondimenti: ufficiostampa@fishonlus.it.

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