Diritti garantiti ovunque e anche “Durante Noi”

«Non esiste solo il “Dopo di Noi” – scrive Rosa Mauro, replicando a un intervento di Carlo Hanau, componente del Comitato Scientifico dell’ANGSA (Associazione Nazionale Genitori Soggetti Autistici), pubblicato anch’esso su queste pagine – è il “Durante Noi” che preoccupa, per persone che hanno bisogno ovunque, e non solo in alcuni luoghi virtuosi, di sentirsi cittadini con pari diritti di vedere se stessi e i propri figli inseriti in una vita lunga, soddisfacente e rispettosa delle loro esigenze»

Oriella Orazi, "Libertà costretta"

Oriella Orazi, “Libertà costretta”

Volevo innanzitutto ringraziarla, gentile Signor Hanau, per il suo intervento in «Superando.it» [“Non mancano le iniziative per l’autismo in età adulta”, N.d.R]. È infatti certamente utile venire a conoscenza delle realtà virtuose. Come ha sottolineato lei, noi genitori non iscritti a un’Associazione, non abbiamo modo di conoscerle, e forse l’opera di diffusione dovrebbe essere più capillare.
Tuttavia, mi scusi, come avevo fatto presente su queste stesse pagine anche alla Presidente dell’ANGSA Lazio (Associazione Nazionale Genitori Soggetti Autistici) Stefania Stellino, mi permetto di evidenziare che non mi sembra corretto, da parte sua, continuare a sottolineare l’appartenenza o meno alla sua Associazione [Carlo Hanau fa parte del Comitato Scientifico dell’ANGSA, N.d.R.], e l’essere o non essere membro attivo della stessa. Come primo punto, perché la sua Associazione deve tutelare tutti, non solo i membri di essa, attivi o meno, e quindi il fatto che io ne faccia o meno parte è ininfluente ai fini del vostro lavoro. Di fatto, cioè, il lavoro dell’ANGSA dovrebbe svolgersi per la tutela dei diritti dei soggetti con autismo e delle loro famiglie, indipendentemente se ne conoscete i nomi attraverso una tessera sociale. Forse, una campagna di informazione meno autoreferenziale potrebbe far conoscere la vostra realtà anche a chi magari non la conosce affatto, e che voi scriviate di leggi e proposte sull’organo indirizzato solo agli iscritti, è un’informazione che non può trovare grande diffusione.
Non è un rimprovero, ma un suggerimento e vedrà che questo suo intervento su «Superando.it», e la diffusione di esso, aiuteranno a migliorare l’interazione. Di questo la ringrazio, come ringrazio Stefania Stellino: infatti, non può essere che positivo che queste informazioni giungano al maggior numero di persone possibile, che siano o meno genitori con autismo.
A questo proposito, dovreste battervi per una diffusione anche attraverso quotidiani e media di diffusione ancor più ampia.

Come secondo punto, non potendo voi conoscere il motivo per cui si fa o meno parte di un’Associazione e perché si combatte in una maniera o in un’altra, le dico il mio.
Sono affetta da due disabilità, una di tipo motorio e una di tipo sensoriale. In pratica, sono cieca parziale e mi muovo con lo scooter, ma grazie al mio peggioramento visivo attuale, non posso farlo da sola. O lo faccio con il buono taxi o con chi può accompagnarmi di volta in volta. Quindi la mia lotta deve per forza avvenire attraverso la scrittura, che eseguo con la sintesi vocale.
Di sicuro gli altri genitori, molti o pochi, che non fanno parte dell’ANGSA o non ne fanno parte attiva, hanno le loro motivazioni, ma io non vedo molto il motivo di mettere una distanza tra voi e loro. Come ripeto, la tutela che l’ANGSA e le altre Associazioni forniscono è per tutti o dovrebbe essere tale.

Una seconda riflessione mi salta alla mente, sollecitata anche dalla risposta data su queste stesse pagine da Gianfranco Vitale a quel suo intervento. Lei ha citato leggi che già ci sono, ma poi sottolinea che non sono attuate. Ma a cosa serve una legge se non è attuata? E chi deve controllare che sia fatto?
Mi ha citato realtà virtuose, e ne ho contate tre. Le Regioni, però, sono molte di più. Che ne è delle Regioni non virtuose e perché mai non dovremmo anche noi, non iscritti all’ANGSA, continuare a denunciarle, per ottenere che si adeguino a Rimini, alle Marche o a Milano? Nostro compito è mostrare – e insieme a voi vigilare – che la realtà non sia determinata da dove una persona con autismo si trova a vivere. Se a Montefiascone o a Viterbo non c’è un centro per l’autismo, dire infatti che ci si deve trasferire a Rimini non risolve il problema.
E per voi – mi scusi se insisto, ma per me è importante – il fatto che noi genitori o opinionisti sottolineiamo queste carenze, dovrebbe essere un aiuto per evidenziare le criticità e intervenire, non un motivo di rimprovero. Dove la tutela non c’è e ci sono magari casi drammatici – in passato ci sono stati addirittura casi di omicidi-suicidi – arriva la denuncia e devono arrivare le Associazioni.
Proporre le leggi, e sottovalutare la situazione critica che è già presente e colpisce una, due o mille famiglie in Italia, non si può fare, e siccome i vostri occhi non possono arrivano a tutto, prenda la mano della signora Rosa Mauro come una mano che può essere data affinché continuiate a vigilare. È una mano vostra anche se non la conoscete personalmente.
Le promesse dei politici sono note a tutti, e non basta sedersi a un tavolo ed essere rassicurati in quel momento, per rassicurare. È necessario che la mia amica a Montefiascone mi dica: «Guarda che ora a Viterbo hanno un centro», che un’altra persona mi segnali: «Guarda che ora a Crotone chi ha l’autismo viene diagnosticato correttamente», perché la Regione Calabria non è sovrana, lo sono i suoi abitanti.
Dire che le Regioni sono sovrane in leggi che devono tutelare le classi deboli, e non battersi ogni minuto, ogni secondo affinché questo cambi, è a mio parere nascondere la testa sotto un cumulo di sabbia. Indicare un cammino ancora da svolgere non è disconoscere ciò che è stato fatto, è pianificare ciò che c’è ancora da fare. E anche lei – come di sicuro le Federazioni di Associazioni FISH e FAND [rispettivamente Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap e Federazione tra le Associazioni Nazionali di Persone con Disabilità, N.d.R.] – non ignora che da fare ci sia ancora molto.
Fin quando i tirocini lavorativi per le persone con disabilità ci saranno a Rimini, ma non a Roma, fin quando le buone prassi saranno a Milano, ma non, che so, a Treviso o anche qui, il lavoro non sarà finito e si potrà gioire solo a metà.

Un ultimo appunto riguarda il mio riferimento al caso di quel giovane ricoverato in ospedale nello stesso reparto dov’ero anch’io che, come avevo raccontato, non aveva mai smesso di urlare per tre notti, senza che nessuno venisse ad aiutarlo, con le infermiere che ne parlavano con fastidio e irritazione.
Credo di non essermi spiegata al meglio. So bene, infatti, che in alcuni ospedali attuano una buona prassi, magari a Milano, che lei cita [nel suo intervento Carlo Hanau si era soffermato sul Progetto DAMA, Disabled Advanced Medical Assistance, ovvero “Assistenza medica avanzata per le persone con disabilità”, N.d.R.]. Ma non ci si ammala solo a Milano, ecco perché io cito le leggi, e certo, serve che chi deve seguirle sia informato e disponibile. Ma senza le leggi, chi non ha sensibilità ha un’arma in più, può discriminare o traumatizzare un ragazzo o la sua famiglia. E lei si rende certo conto cosa significhi un trauma su un ragazzo fragile e su famiglie come le nostre.
Le cito poi Milano perché comprenda che nemmeno nel capoluogo lombardo è dappertutto come ha detto. Mi sono infatti recata all’Istituto Besta per i miei problemi neurologici e mi è stato proposto un ricovero. Ho fatto presente di avere un figlio con autismo, e che non mi era possibile assentarmi per una settimana o addirittura due, lasciandolo da solo. Mi hanno risposto che loro non ci possono fare nulla e che gli esami che avrebbero dovuto farmi non potevano essere eseguiti in day hospital. Perché? Questione di soldi, naturalmente, e mio figlio e la sua incapacità di gestione in caso di ricovero? Non era un problema loro.
Evidentemente, però, non è un problema di nessuno, perché la stessa situazione la vivrei nel caso di un eventuale ricovero a Roma. E se il mio ricovero fosse imprescindibile? Avrei qualcuno cui rivolgermi, per aiuto e sostegno al resto della mia famiglia, dovunque io vivessi?
Ora mi chiedo: lo facciamo diventare un problema per qualcuno o citiamo una legge che, in questo caso, nemmeno esiste?

Non esiste solo il “Dopo di Noi”, è il “Durante Noi” che preoccupa, se non si vive, nello specifico di quanto da lei scritto, a Rimini o nelle Marche e – non mi stancherò di ripeterlo – finché non leggerò un impegno concreto a risolvere le situazioni dove esse sono un problema, e non dove non lo sono. Anche con mezzi drastici, anche essendo un poco più maleducati quando ci si trova seduti al tavolo di chi conta. Rovesciare quel tavolo a volte serve, come serve sempre ricordarsi che dietro a ogni numero ci sono delle persone che hanno bisogno di sentirsi cittadini con pari doveri sì, ma anche con pari diritti di vedere se stessi e i propri figli inseriti in una vita lunga, soddisfacente, e rispettosa delle loro esigenze. A Rimini, a Milano, a Vicenza, dovunque in Italia.

Un ultimo dubbio le voglio comunicare: è proprio sicuro che dove ci sono sulla carta le buone prassi, poi queste ultime siano buone davvero? Qui a Roma, ad esempio, ci sono le vacanze estive per i “ragazzi particolari”, ma quanto tempo abbiamo per conoscere l’operatore e quanto tempo ha nostro figlio per abituarsi a lui? Una riunione circa un mese prima della partenza, perché, secondo gli enti preposti, non ci sono soldi per farne altre. Il rapporto uno a uno? Non viene garantito, nemmeno in casi come quello di mio figlio, cioè di pluriminorazione.
Secondo le mere cifre, dunque, a Roma siamo fortunati perché questi soggiorni si fanno. Ma credo si debba andare oltre le cifre e vedere concretamente cosa c’è dietro ad esse.

Con la speranza che questa mia riflessione sia letta come un contributo al nostro comune progetto di una società più giusta e vivibile per noi e i nostri figli, la lascio salutandola con stima e con l’augurio di buon lavoro.

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