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Sordità e comunicazione oggi

Onde sonore e orecchio di un giovaneDa anni l’Unità Operativa che dirigo [presso l’Azienda Ospedaliero Universitaria di Pisa, N.d.R.] si occupa del problema della sordità del bambino e dell’adulto, sia della diagnosi che del trattamento protesico riabilitativo, con protesi acustiche o impianto cocleare. Sono stato promotore del programma di screening audiologico neonatale nella Regione Toscana e sempre in Toscana coordinatore della stesura delle linee guida dello screening stesso, guidando recentemente un progetto HTA* sugli impianti cocleari per la Regione, coordinato dall’AGENAS (Agenzia Nazionale per i Servizi Sanitari), in collaborazione con i principali centri italiani di impianti cocleari.
Vorrei qui soffermarmi sull’attuale situazione relativa alla sordità e alle modalità di affrontarne le conseguenze di comunicazione di chi ne è affetto, facendo presente che la posizione illustrata è ampiamente condivisa da tutte le Società Scientifiche che in Italia si occupano di sordità (SIO-Società Italiana di Otorinolaringoiatria, SIAF-Società Italiana di Audiologia e Foniatria e SIFEL-Società Italiana di Foniatria e Logopedia).

L’approccio attuale alla sordità infantile è nettamente diverso da quello utilizzato solo fino agli Anni Novanta: grazie infatti allo screening audiologico neonatale (obbligatorio in Toscana dal 2007 su tutti i nati), è possibile individuare subito i bambini con sospetta ipoacusia e mettere in atto entro i 3-4 mesi di vita le prime tappe del programma terapeutico-riabilitativo, tramite conferma della diagnosi, protesizzazione precoce e counselling logopedico.
In Italia – diversamente che in altri Paesi come gli Stati Uniti – già dagli Anni Sessanta si predilige un approccio oralista alla sordità infantile, basato cioè sull’utilizzo delle protesi acustiche e della lettura labiale, con l’obiettivo di abilitare il bambino sordo al linguaggio verbale, in quanto codice di comunicazione condiviso e quindi in grado di garantire una reale integrazione. Di conseguenza, la maggior parte delle persone sorde adulte, durante il loro percorso riabilitativo, hanno imparato ad esprimersi attraverso il linguaggio orale.
Naturalmente, non essendo a disposizione i moderni mezzi diagnostici e i sussidi uditivi attualmente presenti (protesi acustiche digitali e impianti cocleari), il percorso di apprendimento del linguaggio da parte del bambino spesso aveva un inizio tardivo e procedeva con fatica. Attualmente, però, queste difficoltà sono state superate ed è realmente possibile, per un gran numero di bambini con sordità congenita, sentire e parlare a un livello paragonabile o poco inferiore ai coetanei udenti.
L’Italia, su questo aspetto, è stata ed è attualmente all’avanguardia a livello europeo e mondiale, con iniziative e provvedimenti di legge idonei a favorire la diagnosi e il trattamento precoce della sordità infantile e quello della sordità dell’adulto, allo scopo di ottimizzare lo sviluppo del linguaggio orale e l’integrazione scolastica, lavorativa e sociale del bambino e dell’adulto affetti da ipoacusia. E a tal proposito, dovrebbe essere approvato a breve lo screening uditivo neonatale obbligatorio a livello nazionale.

Purtroppo questa situazione non è ancora nota alla maggior parte delle persone comuni o che comunque non lavorano specificamente nel settore, le quali continuano a pensare che la persona sorda non sia in grado di sentire e di parlare, e che possa e debba esprimersi solo attraverso la LIS (Lingua Italiana dei Segni). Inoltre, l’immagine della persona sorda che viene diffusa dai mezzi di comunicazione non aiuta a una reale conoscenza del problema e delle soluzioni: basti pensare al numero di telegiornali in LIS, presenti in molte emittenti, che sembrano evidenziare per tutti i sordi la necessità di tali supporti.
Ci sono tuttavia casi di bambini ipoacusici con persistenti difficoltà nell’apprendimento del linguaggio orale, dovuti a particolari cause di sordità che impediscono l’utilizzo efficace di protesi e impianto cocleare (ad esempio l’assenza del nervo acustico), oppure alla presenza di handicap associati di tipo cognitivo, psichico o motorio, nonché di ritardi importanti nell’età della diagnosi (ad esempio per gli immigrati non nati in Italia). In tali casi è opportuno favorire nel bambino la capacità di esprimersi, utilizzando tutte le forme di comunicazione aumentativa alternativa, compresa la LIS.

Per quanto poi riguarda la reale diffusione della LIS nella popolazione degli ipoacusici, i dati reperibili sono modesti, ma per lo meno nell’àmbito della nostra esperienza, essa sembra molto limitata. Relativamente infatti alla casistica di bambini e adulti con sordità che afferiscono alla nostra Unità Operativa – che per la sua specificità dovrebbe rappresentare un punto di raccolta per i soggetti affetti da sordità – la percentuale di persone sorde che conoscono la LIS e non riescono a comunicare con altri canali è molto limitata e a nostra memoria non è mai stato necessario, negli anni, chiamare un interprete LIS per comunicare con un nostro paziente. Solo in qualche raro caso (inferiore all’1%) sono pervenute persone sorde che per comunicare si avvalevano dell’aiuto di un familiare o accompagnatore che usasse la LIS.
Abbiamo altresì numerosi pazienti sordi adulti oralisti che affermano di non conoscere la LIS e di non avere mai avuto interesse ad apprenderla e ad usarla, nonostante si tratti di adulti che hanno appreso il linguaggio orale in periodi in cui non c’erano ancora diagnosi precoce e ausili uditivi efficaci e che quindi si trovano in una situazione svantaggiata rispetto a quella in cui si troveranno i bambini attuali in età adulta, che presumibilmente avranno anche meno difficoltà comunicative.
Non riusciamo, in ogni caso, ad avere dati certi sul reale numero di persone che utilizzano la LIS come canale comunicativo – e che quindi ne hanno una buona padronanza – né di quelle che hanno una competenza comunicativa con la LIS nettamente migliore di quella orale o scritta.
Forse, con dati oggettivi, sarebbe possibile valutare l’esistenza o meno di una reale necessità di realizzare sforzi economici e organizzativi per fornire servizi LIS diffusi e capillari o addirittura per diffondere la LIS fra gli udenti, con l’obiettivo di favorire l’integrazione delle persone sorde.

Per quello che riusciamo a osservare, riteniamo che sarebbe sufficiente garantire un interprete LIS con le stesse modalità con cui si eroga il servizio di mediazione linguistica agli stranieri (negli ospedali, uffici, scuole ecc., situazioni, cioè, in cui viene chiamato l’interprete solo se è presente la persona in difficoltà). In tal modo si garantirebbe il servizio alla singola persona che ne ha reale necessità, con un costo limitato.
Per migliorare le abilità comunicative del soggetto sordo e fornirgli un codice efficace e condiviso, utile a portare a una reale integrazione, dovrebbero essere piuttosto potenziati gli sforzi economici per favorire nel bambino sordo l’apprendimento del linguaggio orale e scritto, rafforzando i servizi riabilitativi territoriali o, banalmente, garantendo un’efficace assistenza protesica, con l’aggiornamento del Nomenclatore Tariffario degli Ausili e delle Protesi, in cui dovrebbero essere incluse anche le pile per i sussidi uditivi.
Oltre a ciò dovrebbe essere migliorata la quantità di ore disponibili e la preparazione degli insegnanti di sostegno in àmbito scolastico (entrambi gli àmbiti, invece – scuola e servizi riabilitativi – negli ultimi anni sono stati pesantemente penalizzati dal punto di vista delle risorse).
Infine, facciamo presente che molti adulti e anziani ipoacusici – e parliamo di milioni di persone – dichiarano che preferirebbero ad esempio la sottotitolazione dei telegiornali o dei programmi televisivi, in alternativa alla versione in LIS, come pure che avrebbero un beneficio dalla diffusione di tecniche di sottotitolazione in diretta degli eventi pubblici (respeaking).
Auspichiamo, pertanto, che la situazione venga valutata oggettivamente e non sotto la spinta di Associazioni che promuovono approcci unilaterali, che non rispecchiano la realtà italiana attuale e non identificano adeguatamente le future prospettive, fermo restando, naturalmente, che per i soggetti che attualmente utilizzano la LIS come unico mezzo di comunicazione, è auspicabile che siano mantenuti gli attuali livelli di possibilità comunicative.

*L’Health Technology Assessment (HTA) è un approccio multidimensionale e multidisciplinare per l’analisi delle implicazioni medico-cliniche, sociali, organizzative, economiche, etiche e legali di una tecnologia, attraverso la valutazione di più dimensioni, quali l’efficacia, la sicurezza, i costi, l’impatto sociale e organizzativo. L’obiettivo è quello di valutare gli effetti reali e/o potenziali della tecnologia, sia a priori che durante l’intero ciclo di vita, nonché le conseguenze che l’introduzione o l’esclusione di un intervento ha per il sistema sanitario, l’economia e la società.

Professore ordinario di Otorinolaringoiatria e direttore dell’Unità Operativa di Otorinolaringoiatria, Audiologia e Foniatria Universitaria dell’Azienda Ospedaliero Universitaria di Pisa.

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