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Cultura della disabilità: avviato un nuovo corso?

Simboli della Corte di CassazioneSono parole durissime, quelle con cui la Corte di Cassazione, a Sezioni Unite, ha pronunciato una Sentenza, depositata il 22 dicembre scorso, che ha negato il risarcimento del danno a una ragazza nata disabile, dopo che la sua sindrome non era stata diagnosticata in fase prenatale, impedendo alla madre di scegliere se portare avanti la gravidanza o meno. A favore della madre è stato deciso il rinvio alla Corte d’Appello competente per un nuovo giudizio. Ma su quest’ultimo punto non ci soffermeremo. Ci interessa invece la posizione della figlia.

Finalmente, si cambia linea. Segno che probabilmente sul tema della disabilità circolano idee più mature, frutto di una crescita sociale e di un affinamento degli strumenti sensibili, che hanno reso possibile questa evoluzione sul piano del diritto.
Poco più di tre anni fa, ad esempio, la stessa Corte di Cassazione si era espressa al contrario, ovvero a favore del risarcimento sia dei genitori che della figlia nata con la sindrome di Down non diagnosticata, nonostante i controlli effettuati. Una Sentenza che aveva suscitato scalpore, per avere considerato l’anomalia genetica come un “danno da risarcire”. In un milione di euro era stato quantificato il valore del danno di quella “vita da scarto”.
«Sono certo – aveva scritto allora su queste stesse pagine il compianto Franco Bomprezzi [in “Quel retrogusto di carattere eugenetico”, N.d.R.] – che moltissime persone riterranno questo ragionamento del tutto corretto, anzi ineccepibile, giusto. Diranno: “Finalmente!”. Io sinceramente sono invece terrorizzato dall’idea che passa attraverso questa Sentenza. In Italia, da oggi in poi, è sancito che nascere con una disabilità è un disastro. È una vita persa in partenza. Non è un ragionamento legato all’eterna e mai risolta diatriba attorno all’aborto, si badi bene. È qualcosa di più sottile e di più inquietante. Si stabilisce che un bimbo con sindrome di Down vale un milione di euro (di danni). Se c’è un modo per quantificare lo stigma attorno alla disabilità, questo è uno dei più sottili e convincenti, proprio perché si traduce in denaro, ossia in risorse fornite alla ragazza con sindrome di Down, per “rifarsi una vita”, visto che la sua – poveretta – è “di seconda scelta”, di scarsa qualità, definitivamente compromessa».

Anche Antonio Giuseppe Malafarina aveva proposto una sua ottima riflessione dedicata allo stesso tema [in “Risarcimento ai nascituri disabili: una riflessione”, N.d.R.], ammettendo, fra le altre cose, che la vita di una persona con disabilità in Italia, «per come vanno le cose», può essere «un disastro» e non negando, tra le righe, che il risarcimento potesse essere «funzionale all’autonomia» della persona nata disabile.
L’alternativa a queste nascite, tuttavia, è l’interruzione di gravidanza, ammessa in Italia solo se la diagnosi di gravi malformazioni del feto grava sulla vita della gestante al punto da metterla seriamente in pericolo (articolo 4 della Legge 194/78) ed è su questa base che più spesso i genitori propongono il ricorso, per non aver potuto scegliere di interrompere la gravidanza ed evitare così il grave nocumento alla salute e alla vita della gestante. Nella prassi, in realtà, la scelta dell’interruzione di gravidanza è giustificata dalla paura della disabilità e non da un effettivo danno alla salute della madre.
Malafarina stesso aveva lasciato aperto un inquietante interrogativo: «Ma se è solo la salute della madre a dover essere tutelata, perché quando il bambino nasce disabile gli deve essere concesso un risarcimento? Non sarà un espediente degli avvocati per ottenere risarcimenti più onerosi per le famiglie assistite, nelle controversie con gli ospedali che non hanno informato correttamente le madri?».

La Sentenza prodotta ora dalla Corte di Cassazione mette nero su bianco ciò che sosteneva Bomprezzi e risponde a Malafarina. Dice infatti il provvedimento che, non essendo contemplato in Italia il diritto alla «non nascita se non sano», il bambino con anomalie genetiche ha il diritto di nascere con le sue imperfezioni e non dev’essere risarcito come se la sua nascita fosse un’anomalia essa stessa, un danno, appunto. Né importa che il danno si possa «valutare sotto il profilo dell’inserimento del nato in un ambiente familiare nella migliore delle ipotesi non preparato ad accoglierlo».
«Si rivela peraltro – dice ancora la Sentenza – un mimetismo verbale del cd. [cosiddetto, N.d.R.] diritto a non nascere se non sani; e va quindi incontro alla medesima obiezione dell’incomparabilità della sofferenza, anche da mancanza di amore familiare, con l’unica alternativa ipotizzabile, rappresentata dall’interruzione della gravidanza».
Alle pagine 25 e 26, inoltre, si specifica che l’errore del medico che non ha «evitato la nascita indesiderata» non può essere messo sullo stesso piano dell’errore del medico che ha cagionato la malformazione, come sostiene parte della giurisprudenza. Che quindi finisce con l’assegnare al risarcimento del danno «una impropria funzione vicariale, suppletiva di misure di previdenza e assistenza sociale. […] Non senza soppesare altresì il rischio di una reificazione dell’uomo [grassetto nostro, N.d.R.], la cui vita verrebbe ad essere apprezzabile in ragione dell’integrità psico-fisica: deriva eugenica, certamente lontanissima dalla teorizzazione del cd. diritto di non nascere, ma che pure ha animato, ad es. il diritto oltralpe [sia in Germania che in Francia il risarcimento al bambino nato disabile è negato perché la sua nascita non è un danno N.d.A]».

La Sentenza, ricca e articolata, merita di essere letta e soppesata parola per parola. Qui, oltre ad accennare a qualche passaggio di essa significativo ma non esaustivo dell’argomento e del testo, possiamo poco. Per questo passiamo la parola anche ai Lettori, per valutare insieme se, grazie a questo provvedimento, l’inizio del 2016 possa coincidere con un nuovo corso riguardo alla cultura della disabilità.

Il presente testo è già apparso in “InVisibili”, blog del «Corriere della Sera.it», con il titolo “Nascere con disabilità? Non è un danno da risarcire”. Viene qui ripreso, con alcuni riadattamenti al diverso contenitore, per gentile concessione.

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