Perché mi piaci

«L’idillio che inevitabilmente nasce quando una persona non disabile incontra lo straordinario “disabile perfetto”, tale, però, di nome, ma non di fatto…»: di questo parla Gianni Minasso nel suo nuovo contributo, con il quale arricchisce ulteriormente – sempre all’insegna della più caustica ironia – la rubrica “A 32 denti (Sorridere è lecito, approvare è cortesia)”, fatta di “incursioni” nel grottesco e nella comicità più o meno involontaria che, come tutte le altre faccende umane, riguarda anche il mondo della disabilità

Particolare di un giovane con una maglietta e la scritta "I love handy" (love rappresentato da un cuore)Inaugurata ormai da un po’ di tempo, con un titolo quanto mai significativo – A 32 denti (Sorridere è lecito, approvare è cortesia) – questa rubrica, di cui sono elencate qui a fianco le varie “puntate”, non possiede una specifica cadenza ed è dedicata alla comicità più o meno involontaria di cui, come tutte le altre faccende umane, è impregnato anche il mondo della disabilità.
Proveremo quindi a sorridere (ripeto: “sorridere”) insieme, anche sulle situazioni più scabrose. Da “disabile professionista”, mi verrebbe da chiosare: «Tutto su di noi, con noi»! (G.M.)

I rapporti fra persone disabili e no possono assumere molteplici sfumature, più o meno gradevoli. Infatti sono parecchi i rischi di attrito, ma sono altrettanto numerose le occasioni di proficuo contatto. Dipende da uno, dipende dall’altro.
Questa volta, nell’annosa questione, entriamo a gamba tesa, prospettando l’idillio che inevitabilmente nasce quando s’incontra lui. Proprio lui, in carne, ossa e metallo della carrozzina: lo straordinario “disabile perfetto”!
Naturalmente, dietro le sperticate dichiarazioni amorose del testo, non si proietta alcuna ombra di interesse sessuale. C’è solo l’immensa gratitudine per un eccezionale portatore di handicap che è tale esclusivamente di nome ma non di fatto. Una vera rarità. Un’agognata manna…

Ti amo, persona disabile.
Amo la fierezza del tuo sguardo e la nobiltà del tuo pur acciaccato corpo.
Ti amo perché non mi racconti mai nulla sulla causa della tua disabilità, né piagnucoli sulla mia spalla le stazioni della tua via crucis esistenziale.
Amo la cancellazione totale della parola “rivalsa” dal tuo personale vocabolario.
Ti amo perché non vanti la saggezza conseguita malgrado la malattia che ti ha centrato in pieno.
Amo la tua ferma intenzione di non voler scrivere una noiosa autobiografia o uno stucchevole libro di poesie.
Amo il tuo rifuggire dalle trite locuzioni tipiche del contesto dell’handicap, come “azione sul territorio”, “inclusione sociale”, “abbattimento delle barriere”, “qualità della vita” e via via sproloquiando.
Amo la gratitudine con la quale accogli le possibilità offerte dall’odierna tecnologia, non macerandoti (e non macerandomi) su cosa non riesci a fare e cosa ti manca.
Ti amo in quanto non richiedi all’ASL nuovi e costosi ausili, senza averne alcun bisogno, soltanto perché «Mi spettano e basta!».
Amo il tuo implacabile e corretto tirare in ballo i doveri (ripeto: i “doveri”, non i diritti) delle persone disabili.
Amo l’incamerare la pensione di invalidità e l’accompagnamento non oziando per i cavoli tuoi, bensì l’impegnarti nel volontariato restituendo alla comunità ciò che ricevi dal welfare.
Amo l’orgoglio col quale respingi alcuni risarcimenti sociali e così stupisci tutti pagando il biglietto ai concerti e allo stadio.
Amo il non pretendere a pieni polmoni l’ascensore sulla torre di Pisa o il montascale sulle Piramidi d’Egitto.
Ti amo perché non presti mai il tuo permesso di transito nella Zona a Traffico Limitato (ZTL) a parenti e amici normodotati.
Amo l’intenzione di non farmi avvertire nemmeno un milligrammo del peso della tua disabilità.
Amo il non volermi incolpare dei tuoi guai.
Amo il fatto che, nonostante tutto, tu sia ancora capacissimo di sacrificarti per il prossimo.
Amo la saggezza priva di qualsiasi sarcasmo con la quale guidi i rapporti con gli altri.
Amo la tua capacità di sdrammatizzare, seppellendo con una battuta il mio imbarazzo per il filino di bava che ti può scivolare dalla bocca.
Amo l’educazione da te adoperata nel trattare con gente comune, medici, burocrati, “colleghi” disabili… insomma, con tutti.
Amo il serafico sorriso col quale accogli le mie maldestre locuzioni come «Sei in gamba!», «Andiamo a far due passi?» o «Ti seguo a ruota».
Amo svisceratamente il rispetto che dimostri per le code (magari formate, come ben sai, da gente anziana che deve stare in piedi per ore), mettendoti in fila nonostante i privilegi di cui potresti godere.
Amo quando non t’incavoli come un riccio se ho parcheggiato per un minuto l’auto davanti allo scivolo del marciapiede per andare a comprare le sigarette.
Amo la tua sottigliezza nel non occupare mai parcheggi liberi, sottraendo così un raro posto a chi non ha il contrassegno.
Ti amo mentre nella calca chiedi educatamente permesso e non prendi subito a sportellate con la carrozzina chi, di spalle, non ti ha visto arrivare.
Ti amo perché, se oso parlarti senza piegarmi all’altezza della tua carrozzina, non peggiori la mia scoliosi abbaiando per farmi chinare.
Ti amo se nevica sulla città già ghiacciata e tu, arrendendoti docilmente alle intemperie, decidi di non aumentare il caos restandotene a casa.
Amo il tuo scrupolo nel seguire le norme del codice di circolazione con la tua carrozzina: non ti cementi di traverso nei corridoi ostacolando il passaggio di chiunque, non ti fiondi in mezzo alla strada col semaforo rosso agitando lo spettro di un’ingiusta immunità, non zigzaghi sui marciapiedi a 15 chilometri all’ora e se per caso mi pesti il piede con una ruota, non imprechi perché dovevo scansarmi, ma addirittura mi chiedi scusa.
Ti amo quando arrivo con le borse della spesa e tu con la carrozzina blocchi la porta tenendomela aperta.
Amo la tua sagacia nel non voler attirare l’attenzione e di conseguenza, seppur in sedia a rotelle, ignori gli sport estremi.
Amo lo scrupolo col quale non ti metti mai in pericolo transitando con la cigolante carrozzina vicino ai bordi dei moli, dietro alle auto in fase di parcheggio, sui nastri trasportatori a te vietati, lungo i ripidi sentierini di montagna eccetera.
Ti amo allorché consideri badanti e volontari come esseri umani, con loro precise esigenze, rispettabilità e diritti.
Amo la tua precisione nelle indicazioni di aiuto, perché non mi dai mai due ordini diversi simultaneamente, sei conciso e soprattutto non mi confondi con l’uso dei pronomi dimostrativi “questo” o “quello” e gli avverbi “lì” o “là”.
Amo il non stufarmi con le notizie sul tuo presunto rapporto privilegiato con Dio.
Ti amo perché non scambi mai per passione folle (con tutti gli inconvenienti del caso) gli occhioni dolci che ti fa solo per gentilezza un’esponente dell’altro sesso.
Amo il tuo spogliarti dal ruolo di “maschio alfa”, rifiutandoti di condurre a tutti i costi i discorsi con le altre persone.
Amo il tuo ferreo autocontrollo che strangola nella culla le sanguinose collere per i torti subiti.
Ti amo poiché, per lo stesso motivo, non scateni subito le inferocite mute della stampa e di Striscia la notizia.
Ti amo mentre non evochi sdegnato il pietismo, ma mi consoli se mi commuovo al solo vederti.
Amo la tua perspicacia nel capire quanto per me sia facile, sebbene involontario, oltrepassare i limiti della tua sensibilità, diventata iper a causa dell’handicap.
Amo il tollerare con bonarietà il mio sguardo curioso su di te, individuo così diverso da me.
Amo il tuo non rivolgere gli occhi al cielo se mi sfugge un lamento perché è lunedì mattina.
Amo le pazienti e circostanziate risposte alle mie banali domande sull’autonomia e sulla velocità della tua carrozzina elettrica.
Infine ti amo quando non mi fai notare che ho dimenticato il termine “persona” davanti a “disabile” o, peggio ancora, mi scappa di chiamarti “diversamente abile”.
Per tutto ciò ti amo, davvero profondamente, cara persona disabile.

Norm O’Dotato

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