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Solo così si può salvare il Servizio Sanitario Nazionale

Salvagente con la scritta "Salviamo il nostro SSN"

Realizzazione grafica curata dalla Fondazione GIMBE

«Salvare il Servizio Sanitario Nazionale è una “missione possibile” solo a patto che ciascuno faccia la sua parte sino in fondo, ed è per questo che abbiamo voluto a gran voce richiamare tutti gli attori del sistema alle loro responsabilità con precise richieste»: a dirlo – durante l’Undicesima Conferenza Nazionale di Bologna della Fondazione GIMBE, organizzazione costituita dall’Associazione Gruppo Italiano per la Medicina Basata sulle Evidenze, che qualche anno fa ha lanciato anche il Progetto Salviamo il nostro Servizio Sanitario Nazionale (SSN) è stato il presidente della Fondazione stessa Nino Cartabellotta.
A Bologna, infatti, GIMBE ha presentato un documento, volto, come si legge in una nota, «a guidare Regioni, aziende e professionisti nel recupero di preziose risorse, con strumenti e azioni che agiscono sulle tre determinanti del sovra e sottoutilizzo: (ri)programmazione sanitaria, al fine di riallineare l’offerta di servizi e prestazioni ai reali bisogni di salute della popolazione; migliore trasferimento delle evidenze alle decisioni professionali; informazione e coinvolgimento attivo di cittadini e pazienti, al fine di ridurre aspettative irrealistiche e domanda inappropriata».

«Le evidenze sul definanziamento della Sanità Pubblica – afferma in tal senso Cartabellotta – sono incontrovertibili: nel nostro Paese la percentuale del Prodotto Interno Lordo (PIL) destinato alla spesa sanitaria è inferiore alla media OCSE [l’OCSE è l’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico, N.d.R.] e tra i paesi del G7 siamo ultimi per spesa pubblica e spesa totale, ma secondi solo agli Stati Uniti per la cosiddetta “spesa out-of-pocket”, ovvero al di fuori del servizio pubblico, a inequivocabile testimonianza che la politica si è progressivamente sbarazzata di una consistente quota di spesa pubblica, scaricandola sui cittadini. Ci stiamo avvicinando a una soglia di definanziamento che, oltre a compromettere la qualità dell’assistenza, riduce anche l’aspettativa di vita, mentre l’avanzamento strisciante dell’intermediazione assicurativa mina silenziosamente il modello di un servizio sanitario pubblico».

«In Sanità – viene dunque sottolineato da GIMBE – si investe sempre di meno, ma si continuano a sprecare preziose risorse: una voragine da 25 miliardi di euro che ogni anno viene assorbita da sovra- e sotto-utilizzo di prestazioni sanitarie, corruzione, acquisti a costi eccessivi, complessità amministrative e inadeguato coordinamento dell’assistenza».
«Considerato che attualmente manca una strategia di sistema per ridurre gli sprechi e aumentare il value [“rendimento”, N.d.R.] dell’assistenza – conclude Cartabellotta – una quota consistente della spesa sanitaria non produce alcun ritorno di salute. Per alcune categorie di sprechi, le Istituzioni stanno andando nella giusta direzione, almeno a livello normativo: anticorruzione, criteri di selezione dei direttori generali, acquisti centralizzati, patto per la sanità digitale. E tuttavia, siamo ancora in alto mare sulla riorganizzazione integrata tra ospedale e cure primarie, dove la palla passa alle Regioni, e soprattutto sul contributo attivo e deciso dei professionisti nel definire in maniera condivisa servizi e prestazioni sanitarie da cui disinvestire. Su questo, oltre alla programmazione sanitaria, pesa l’estrema frammentazione delle categorie professionali e lo sfrenato “consumismo sanitario”, ovvero l’uso di prestazioni sanitarie senza chiare indicazioni, fenomeni, questi, ormai integrati nel DNA del nostro Servizio Sanitario Nazionale». (S.B.)

Per ulteriori informazioni e approfondimenti: ufficio.stampa@gimbe.org.

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