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Centri Territoriali di Supporto: un patrimonio da non disperdere

Il vero viaggio di scoperta non consiste nel trovare nuovi territori,
ma nel possedere altri occhi, vedere l’universo attraverso gli occhi
di un altro, di centinaia d’altri: di osservare il centinaio di universi
che ciascuno di loro osserva, che ciascuno di loro è.
(Marcel Proust)

Questa immagine - fornita dagli Autori della presente nota - riassume visivamente quanto da loro stessi esposto e permette di visualizzare come, grazie ai CTS (Centri Territoriali di Supporto) e strutture connesse, sarebbe possibile offrire una risposta articolata e complessa necessaria per l’universo dei Bisogni Educativi Speciali

Questa immagine – fornita dagli Autori della presente nota – riassume visivamente quanto da loro stessi esposto e permette di visualizzare come, grazie ai CTS (Centri Territoriali di Supporto) e strutture connesse, sarebbe possibile offrire una risposta articolata e complessa necessaria per l’universo dei Bisogni Educativi Speciali

Nel nostro Paese, purtroppo, in molti campi, e soprattutto in quello della scuola, non è mai stato avviato un serio processo per la valutazione dei progetti, degli investimenti, delle prassi, né si sono mai specificati analiticamente luoghi e modalità, e chi sia il soggetto attivo a ciascun livello di questa valutazione. Molti sono stati i progetti e le “buone prassi” che, pur dando risultati positivi, sono poi finiti nel nulla; un esempio per tutti: il Progetto I CARE.
Cosa possiamo dunque ipotizzare affinché le esperienze non siano scollegate, non vadano perse, ripartendo ogni volta da zero, vanificando l’intero percorso che la scuola italiana è stata capace di realizzare in tutti questi anni nell’àmbito dell’inclusione?
La risposta è semplice: non dobbiamo far cadere nel vuoto anche il Progetto Nazionale Nuove Tecnologie e Disabilità con i suoi frutti, i Centri Territoriali di Supporto (d’ora in poi CTS). Facciamo un po’ di storia.

Quel progetto del Ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca, cofinanziato dal Dipartimento per l’Innovazione Tecnologica della Presidenza del Consiglio, è nato nel 2006, con la finalità di integrare la didattica inclusiva con le risorse delle nuove tecnologie: progetto complesso, che si articolava in sette azioni, tra le quali la 4 e 5 che hanno dato l’avvio ai citati CTS, organismi deputati a fornire informazioni, consulenza e formazione per supportare le scuole nell’inclusione degli alunni con disabilità mediante l’utilizzo della tecnologia. L’Azione 5, in particolare, ha previsto una formazione complessa e approfondita degli operatori CTS attraverso laboratori pratici e incontri frontali con esperti delle diverse disabilità e delle tecnologie assistive.
Nel corso dei primi anni, i suddetti Centri hanno ricevuto un apposito finanziamento da utilizzare per l’acquisto di software e hardware e per attivare proposte formative. Nel tempo, quindi, i compiti dei CTS sono aumentati, ma non i fondi per il loro funzionamento, che sono rimasti non solo esigui, ma soprattutto incerti e sporadici nella loro erogazione.
Nel 2010, a seguito dell’entrata in vigore della Legge 170/10 [“Nuove norme in materia di disturbi specifici di apprendimento in ambito scolastico”, N.d.R.], il Ministero ha riconosciuto i CTS quali partner strategici per rispondere alla sfida pedagogica dei DSA (disturbi specifici di apprendimento).
Successivamente, nel Protocollo d’Intesa del 12 luglio 2012 per la Tutela del diritto alla salute e del diritto allo studio degli alunni con disabilità, il Ministero si è impegnato a potenziare e mettere in rete i CTS, promuovendone il coordinamento con le Aziende Sanitarie.
E ancora, dopo la Direttiva Ministeriale del 27 dicembre 2012 e la successiva Circolare 8/13, i CTS non sono più stati Centri di formazione/informazione solo sulle tecnologie per la disabilità, ma Centri di Supporto alle scuole per tutti gli alunni con Bisogni Educativi Speciali (BES): in quella fase il Ministero ha deciso di dare un nuovo impulso alla via italiana per l’inclusione, puntando strategicamente sulla riorganizzazione dei CTS, anche al fine di utilizzarli come interfaccia tra l’Amministrazione e le scuole.
Con questi ultimi provvedimenti normativi, dunque, si sono aggiunte nuove funzioni: l’informazione, la formazione, la consulenza e la ricerca estesa a tutti gli àmbiti legati all’inclusione, sottolineando anche la necessità di coordinamento con i GLIP e i GLIR (Gruppi di lavoro Interistituzionale Provinciali e Regionali), i Servizi Sanitari e gli Enti Locali.
In tempi più recenti, tramite le Linee Guida di orientamento per azioni di contrasto al bullismo e al cyberbullismo, anche questo ulteriore compito è stato affidato ai CTS (poi confermato con la Nota Protocollo n. 16367 del 2 dicembre 2015).
Nell’anno scolastico 2015-2016, infine, è stata affidata alla rete dei CTS Italiani l’apertura di sportelli di consulenza alle scuole per l’autismo.

Questi Centri, dunque, sono divenuti nel tempo lo snodo principale di tutte le azioni del Ministero per l’inclusione: ma i compiti si sono moltiplicati, gli operatori e i fondi no. Eccettuati infatti i fondi specifici per l’apertura degli Sportelli Autismo, i finanziamenti per la sopravvivenza dei CTS si possono ricavare solo attraverso la partecipazione a Bandi Ministeriali che apparentemente dovrebbero favorire le progettualità delle scuole e dei CTS stessi, ma dove “vincere” è un po’ come partecipare a una lotteria: poca chiarezza e trasparenza sui criteri di attribuzione e di merito, tanto che molti CTS anche in rete restano esclusi, pur presentando progetti eccellenti con la partecipazione del CNR. Tutto ciò senza poter capire come migliorare le loro modalità di elaborazione e comunicazione dei progetti stessi.
Oltre poi all’esiguità dei fondi, i CTS hanno il problema delle risorse umane: gli operatori “storici”, benché fedeli al loro mandato iniziale, si sono trovati – e tuttora continuano – a barcamenarsi con grande fatica tra la propria attività di docente e le diverse azioni previste dal CTS, compreso l’aggiornamento/autoaggiornamento, con notevoli sforzi personali e spesso a titolo di volontariato. Grazie alla loro dedizione e forte motivazione, essi hanno acquisito in questi dieci anni molte competenze e costituiscono una vera risorsa per tutte le scuole, ma sono i CTS stessi a rischiare l’estinzione.
In pratica, gli operatori provinciali si trovano a svolgere due lavori che richiedono ben più di 36 ore settimanali, senza calcolare le riunioni ordinarie e il tempo dedicato a casa per entrambi gli impegni: insegnare e organizzare, rispondere alle richieste, proporre e attuare corsi, aggiornare e aggiornarsi, mantenere i contatti di rete… solo per citarne alcuni! Tutto questo senza un distacco dall’insegnamento, ma solo in tempi aggiuntivi difficilmente quantificabili, dettati più dal senso di responsabilità degli operatori che da un effettivo e ponderato mandato operativo dell’Amministrazione, che preveda tempi e carichi di lavoro. Quasi tutto, insomma, è demandato allo spontaneismo, senza un’omogenea impostazione sul territorio nazionale.

A questo punto abbiamo la sensazione che il Ministero, pur lungimirante nell’avviare il progetto per la nascita dei CTS, non abbia fatto seguire nel tempo concreti atti di riconoscimento e valorizzazione delle azioni di essi nel sistema scolastico. Gli operatori dei Centri non possono reggere a lungo questi ritmi di lavoro senza correre il rischio di un burn-out [esito patologico di un “processo stressogeno”, N.d.R.] o, quanto meno, di subire una progressiva demotivazione e conseguente abbandono, con il pericolo di veder vanificate competenze e professionalità non facilmente sostituibili. Sembra che il Ministero non si renda conto di quale tesoro ha tra le mani e quali opportunità siano i CTS per la scuola italiana!
Ma quali sarebbero le potenzialità della rete CTS, se maggiormente supportata dal Ministero con fondi adeguati ed eventuali semiesoneri degli operatori? Proviamo ad inquadrare il contesto all’interno del quale questi Centri agirebbero, esaminando i vari livelli del sistema scuola.

A livello di scuola
Riteniamo che finché in una scuola ogni insegnante di sostegno è sostanzialmente da solo nella sua progettazione didattica (eventualità molto frequente!), non sia possibile fare una valutazione adeguata del processo inclusivo.
Per noi un processo inclusivo scientificamente validato, con risvolti positivi che ricadano su tutti gli alunni, è possibile solo se in ogni scuola esiste un Gruppo di Lavoro degli Insegnanti Specializzati (GLIS), ben strutturato e che supporta il GLI (Gruppo di Lavoro per l’Inclusione).
Approfondiremo questo aspetto in una successiva riflessione, ma il principio fondamentale è che i docenti di sostegno non devono essere lasciati soli, bensì supportati con una rete professionale di formazione in servizio e coordinamento.

A livello locale
I coordinatori dei GLI – meglio ancora insieme a quelli dei GLIS – si dovrebbero periodicamente riunire presso i CTI (Centri Territoriali per l’Inclusione), formando il Gruppo di lavoro Interscolastico per l’Inclusione Territoriale (GLIIT), che dovrebbe esaminare le problematiche del territorio e farsi promotore di coordinare i referenti del sostegno e quelli per l’inclusione per i percorsi scolastici degli alunni con problematiche particolarmente difficili, promuovendo “progetti” interistituzionali, interscolastici, reti fra scuole e la valorizzazione delle migliori competenze di alcuni docenti sulle specifiche disabilità, al fine di favorire l’integrazione, la continuità scolastica e l’accoglienza nei vari gradi di istruzione. Tali incontri risulterebbero a costo zero, in quanto normalmente il coordinatore degli insegnanti di sostegno è figura di sistema e altrettanto lo è il coordinatore del GLI che si occupa degli altri alunni con Bisogni Educativi Speciali.
Due aspetti dovrebbero caratterizzare l’attività di questo gruppo, formato da persone più motivate e preparate, con il sostegno del CTS: il monitoraggio dei dati raccolti nelle singole scuole e l’organizzazione di programmi di formazione e auto-formazione (prioritariamente sul saper lavorare in gruppo e sulla didattica inclusiva), secondo i bisogni emersi dal territorio. Le nuove acquisizioni dovrebbero poi venir condivise “a cascata” dai componenti del gruppo interscolastico con i GLIS e i GLI all’interno delle singole scuole. I coordinatori (uno rappresentando i GLIS e uno i GLI di ciascun GLIIT), insieme ai relativi referenti dei CTI, si dovrebbero a loro volta riunire, presso il CTS, formando il Gruppo di Lavoro per l’Inclusione Interscolastico Provinciale (GLIIP) che, supportato dal CTS, elaborerebbe i dati provenienti dai GLIIT, tenendo conto dei quali, dovrebbe approntare soluzioni per le difficoltà individuate e suggerimenti per implementare le buone prassi, creando gruppi di lavoro formati da docenti con competenze su disabilità specifiche, supportando in tal modo l’inclusione degli alunni con disabilità più complesse da integrare.
Talvolta potrebbe essere più opportuno indire riunioni per ordine e grado. Alla fine dell’anno scolastico, quindi, dovrebbero essere programmati incontri per Ambiti Territoriali con le relative scuole, per la discussione dei dati emersi. Se esistono inoltre altre realtà locali che si occupano di inclusione oltre al CTS, quest’ultimo potrebbe fare da coordinatore/collegamento tra queste e le scuole.
Il CTS, in questo ruolo, avrebbe il vantaggio/onere di conoscere tutte le realtà e quindi una visione d’insieme, per poter predisporre un piano di intervento (formazione/acquisti) sempre più rispondente alle esigenze del territorio, in collaborazione, eventualmente, con altre risorse dislocate in modo più capillare.
Questa rete che i CTS coordinerebbero permetterebbe la circolazione delle competenze e il supporto degli insegnanti di sostegno e curricolari nei loro luoghi, facendoli sentire meno soli ad affrontare casi e disabilità che magari non conoscono, grazie a colleghi di altre scuole o del CTS stesso, i quali avrebbero le professionalità per poterli aiutare. È del tutto evidente, infatti, che il mondo della disabilità è vastissimo e pur essendo un insegnante specializzato, non è detto che sia preparato per tutte le disabilità che va ad affrontare. Ecco dunque che se si sentisse parte di una rete, se presso il CTS trovasse il luogo di consulenza e supporto professionale, le famiglie e gli alunni troverebbero meno tempi morti e progettazioni didattiche più accurate.
I CTS pertanto potrebbero diventare il luogo centrale per la condivisione e la crescita a livello provinciale delle professionalità, per ogni alunno con Bisogni Educativi Speciali cui si richiedesse consulenza, previa specifica formazione sulle diverse tematiche, così come è stato fatto sull’autismo.

A livello regionale
I dati (verificati e analizzati) e le riflessioni emerse dovrebbero/potrebbero essere presentati al GLIR (Gruppo di Lavoro Interistituzionale Regionale), del quale dovrebbe far parte di diritto un operatore per ciascun CTS, con la possibilità di presentare i piani di intervento e di formazione territoriali da coordinare con quelli previsti dall’Ufficio Scolastico Regionale e dagli Enti Locali.
Sarebbe utile predisporre azioni formative integrate per i docenti, gli operatori sanitari, il personale ATA [Ausiliare, Tecnico e Amministrativo, N.d.R.], ad esempio sull’uso dell’ICF [la Classificazione Internazionale del Funzionamento, della Disabilità e della Salute, fissata dal’Organizzazione Mondiale della Sanità, N.d.R.] o altre tematiche di volta in volta individuate.

A livello nazionale
L’elaborazione delle riflessioni emerse ai singoli livelli dovrebbe essere inviata e presentata alla Direzione Generale per lo Studente, l’Integrazione e la Partecipazione del Ministero, dove dovrebbe funzionare un Ufficio che, oltre ai funzionari in organico, potesse contare su una squadra all’interno della quale fossero presenti operatori dei CTS (ad esempio il Pool degli esperti, il Comitato Tecnico Scientifico, Commissioni e Sottocommissioni), con competenze specifiche sulle singole tipologie di Bisogni Educativi Speciali e sugli specifici strumenti tecnologici, in modo tale che in un quadro di integrazione generale (che potrebbe rischiare di diventare generico) non si perdessero di vista le esigenze particolari di alcune tipologie di disabilità (sordità, cecità, autismo ecc.) e le potenzialità di particolari ausili informatici.
L’obiettivo sarebbe quello di fare arrivare nella stanza dei bottoni dati e contesti reali sul mondo scuola e sull’efficacia dei percorsi di inclusione, oltreché di diffondere risorse, modelli positivi e competenze, evidenziando necessità e promuovendo collaborazioni. Si arriverebbe così a poter disporre di un sistema capace di elaborare i dati in modo analitico e di offrire una visione d’insieme che permetterebbe di gestire la complessità, ottimizzando le risorse
Un’altra azione strategica dovrebbe passare attraverso il settore della formazione e il conseguente riconoscimento che in molte Province italiane, in questi dieci anni, i CTS sono divenuti l’agenzia formativa più attiva per quanto attiene le tematiche dell’inclusione e l’utilizzo delle nuove tecnologie. Proprio ai CTS, quindi, potrebbe essere affidato il compito di organizzare in maniera organica piani di formazione, anche in vista di un’obbligatorietà da parte del personale della scuola di seguire percorsi di formazione nel corso dell’intera carriera scolastica.

In un modello del genere, i CTS in rete, ben curati e valorizzati, potrebbero assumere una funzione strategica, divenire realmente l’architrave su cui costruire un nuovo modello d’integrazione, più efficace ed efficiente.
Come cambierebbero infatti le prospettive, vedendo l’universo dell’inclusione attraverso gli occhi (l’osservatorio) di un CTS? Si potrebbe osservare il centinaio di universi che ciascuno di essi osserva e mettere tutto in rete. Quindi, con la resilienza e la creatività che solo una rete – e quale rete – può dare, rispondere ai bisogni di ciascun alunno e ciascun insegnante! Finalmente si arriverebbe a quella visione d’insieme che permetterebbe di evitare doppioni, sovrapposizioni parziali ecc. e creerebbe combinazioni o sinergie molto produttive, partendo da risorse essenziali e in gran parte già esistenti.
Non è difficile immaginare, in quest’ottica innovativa, di ottenere risultati che migliorerebbero di gran lunga la qualità dell’inclusione in base al feedback del monitoraggio a trecentosessanta gradi e in base alle capacità che una simile rete potrebbe dare. Ma è del tutto evidente che l’investimento sulla rete dei CTS passa attraverso la messa in campo di personale dedicato, che non può né deve occuparsi dei CTS come passatempo o nei ritagli di tempo: i CTS, infatti, hanno bisogno di stabilità di personale e di personale esonerato dall’insegnamento, almeno parzialmente.
Vogliamo pertanto suggerire al Ministero – grazie alla Legge Delega sull’inclusione cui sta lavorando – di sanare questa situazione che dura ormai da dieci anni e di raccomandare, con l’istituzione degli Ambiti Territoriali, di non assimilare i CTS ai CTI, perché sarebbe un gravissimo errore. In primo luogo, a quasi quattro anni dalla citata Direttiva Ministeriale del 27 dicembre 2012, i Centri Territoriali per l’Inclusione (i CTI, appunto) non sono ancora stati istituiti in alcune Regioni. Si rischierebbe quindi, ancora una volta, come accennato all’inizio di questa nostra nota, di dissipare un’esperienza consolidata e importantissima, facendo venire a mancare la funzione strategica, insostituibile e necessaria di interfaccia tra gli Uffici Scolastici Regionali e le scuole, che possono svolgere ormai soltanto i CTS.

Vogliamo pertanto terminare con l’augurio che, nel celebrare il decennale dei CTS, il Ministero apra un momento di seria riflessione sulle potenzialità di questa rete, sulle risorse umane e materiali necessarie al funzionamento di essa, affrontando finalmente la questione in modo omogeneo e strutturale su tutto il territorio nazionale, non più fondato sullo spontaneismo e sulle risorse che i territori vogliono ritagliarsi, ma su un organico ben consolidato, che garantisca supporto allo stesso modo sia all’alunno o all’insegnante di Reggio Calabria sia a quello di Udine.

Docenti specializzati e formatori. Gli Autori ringraziano gli operatori CTS Stefania Vannucchi (Prato), Anna Lucia Perrupato (Cosenza), Maria Antonietta Di Fonzo (Ferrara), Elisabetta Lombardi (Falconara) e in particolare Paolo D’Incecco (Pescara) e la dottoressa Valentina Salerno.

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