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Una rete per l’inclusione, che fa rinascere la tiflologia

Ragazzo con disabilità visiva insieme a una tiflologa

Un ragazzo con disabilità visiva insieme a una tiflologa

Nell’acceso dibattito attualmente in corso sulla figura del tiflologo [la tiflologia è la scienza che studia le condizioni e le problematiche delle persone con disabilità visiva, al fine di indicare soluzioni per attuare la loro piena integrazione sociale e culturale, N.d.R.], la confusione sul suo ruolo e sulla sua funzione regna ancora sovrana. Infatti, dopo il declino dell’Istituto Romagnoli di Roma – unica scuola nazionale di metodo per gli educatori dei ciechi e degli ipovedenti – e la mancata attuazione della Legge 69/00 [“Interventi finanziari per il potenziamento e la qualificazione dell’offerta di integrazione scolastica degli alunni con handicap”, N.d.R.], che ne avrebbe finanziato la riapertura e rinascita, vi è un assoluto bisogno di definire il profilo professionale e il percorso formativo dei tiflologi italiani. Paghiamo cioè lo scotto della mancanza di una vera e propria “generazione” di esperti in tiflologia, cui occorre porre necessariamente rimedio.
La soluzione può e deve consistere solo nell’“istituzionalizzazione” di una nuova figura professionale che, salvaguardando e sanando le conoscenze e competenze acquisite in questi anni dagli operatori degli Istituti dei Ciechi e dei Centri di Consulenza Tiflodidattica della Federazione Nazionale delle Istituzioni Pro Ciechi e della Biblioteca per i Ciechi Regina Margherita di Monza, possa essere maggiormente al passo con i tempi e possedere una formazione più adeguata e idonea a promuovere il processo di inclusione degli alunni/studenti con disabilità visiva del Terzo Millennio. Perché ciò avvenga, però, il problema della funzione del tiflologo – strettamente legato alla tematica dell’inclusione scolastica dei ragazzi ciechi – non deve essere considerato, come spesso sento in giro, una questione “oziosa” o un “gioco” di pochi pedagogisti sfaccendati, collocati fuori dalla realtà quotidiana e dalla storia. La tiflologia, infatti, non è una scienza per pochi eletti, è invece un capitolo importante della più vasta pedagogia.
Ecco perché, oggi, il tema dell’integrazione scolastica degli allievi minorati della vista non appartiene più, come avveniva nel passato, solo a chi non vede e alle loro famiglie, ma richiede al contrario interventi oculati e accorti da parte dell’intera collettività.
Per tutte queste ragioni, dunque, sono assolutamente convinto della possibilità del rilancio della tiflologia. Le prospettive di rinvigorimento e rinverdimento di essa, a mio modesto avviso, sussistono, dal punto di vista pedagogico, per almeno due ordini di riflessioni.

Innanzitutto, perché dalla didattica “speciale” e dalla tiflopedagogia non si può prescindere neppure da quando con la Legge 517/77 l’educazione dei disabili visivi si svolge nelle scuole “di tutti”. Un imperdonabile errore di una parte della pedagogia moderna sta proprio nel pensare che l’inclusione e l’educazione “speciale” si elidano reciprocamente piuttosto che integrarsi tra loro.
In secondo luogo, ritengo che i Centri di Consulenza Tiflodidattica e gli Istituti dei Ciechi, riorganizzandosi, possano costituire dei “fondamentali” centri di risorse per l’erogazione dei servizi tiflodidattici e tiflopedagogici in favore delle persone con disabilità visiva.
Dunque, il “vero” problema del sostegno degli alunni minorati della vista italiani non è tanto da ricercarsi nella mancanza di centri di “supporto” al loro processo di inclusione, che già esistono, quanto piuttosto nell’assoluta assenza di una loro visione d’insieme e di un loro sinergico e fattivo collegamento, indispensabili invece al successo formativo dei ragazzi non vedenti.
Consapevole di ciò, nel gennaio scorso il presidente nazionale dell’UICI (Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti) Mario Barbuto, nella riunione del Coordinamento degli Enti collegati all’UICI stessa, ha fortemente voluto la costituzione del cosiddetto “Network per l’Inclusione Scolastica” (d’ora in poi NIS), cui è stata affidata la responsabilità di coordinare e integrare tutti i servizi tiflodidattici e tiflopedagogici degli Enti collegati all’UICI, di definirne le Linee Guida (già pronte) e gli indicatori di qualità (in dirittura d’arrivo), e, soprattutto, di sciogliere il “rebus” dell’inquadramento professionale del tiflologo.
È un nobile compito, quest’ultimo, ma alquanto arduo, poiché il profilo del tiflologo è difficilmente definibile, in quanto egli possiede competenze certamente e principalmente pedagogiche, ma anche psicologiche, sociologiche, educative e informatiche.
Le proposte del NIC avviato dall’UICI dovranno essere quindi sostenibili nella realtà, necessariamente di qualità e rispondenti al requisito dell’urgenza, al fine di garantire comunque al più presto strumenti e supporti idonei agli studenti con disabilità visiva, alle loro famiglie e alle scuole.

Per l’individuazione dei luoghi del sostegno dei minorati della vista, il NIS ha proceduto alla definizione di una struttura a tre livelli, costituita in primis dai CTS (Centri Territoriali di Supporto), deputati a fornire le informazioni su dove trovare e reperire le risorse del sostegno, in seconda battuta dai Centri di Consulenza Tiflodidattica della Federazione Nazionale delle Istituzioni Pro Ciechi e della Biblioteca Regina Margherita di Monza, che hanno il compito di fornire le indicazioni di base sugli strumenti, sui sussidi e sugli ausili tiflodidattici e infine dagli Istituti dei Ciechi, ai quali deve essere destinata la presa in carico globale delle persone con disabilità visiva di tutte le età (bambino, ragazzo, adulto, anziano), avendo cura di progettare, realizzare e monitorare l’intero loro progetto di vita.
Per quanto poi concerne la definizione del profilo professionale e del percorso formativo degli “operatori” del sostegno degli alunni/studenti con disabilità visiva, il Network ha ipotizzato un modello formativo che si articola su due differenti gradi di livelli successivi.
La figura professionale di primo livello è rappresentata dall’“educatore alla comunicazione” dei disabili sensoriali (alias “assistente alla comunicazione”, di cui all’articolo 13, comma 3, della Legge 104/92 e la cui definizione è prevista dalla Legge 107/15 della Buona Scuola).
Si tratta di un operatore con un ruolo e una funzione tecnico-strumentale, che possiede conoscenze di base di tiflopedagogia e di didattica inclusiva. Tale titolo viene rilasciato in seguito alla frequenza di un master universitario di primo livello di 1.500 ore, al quale potranno accedere tutti coloro che sono in possesso di una laurea triennale di qualunque tipo. Dal canto suo, l’IRIFOR (Istituto per la Ricerca, la Formazione e la Riabilitazione) dell’UICI è in frenetiche trattative con lo IUSVE (Istituto Universitario Salesiano di Venezia), per stipulare un’apposita convenzione e avviare un’offerta formativa volta alla preparazione di tale operatore di primo livello, che sia davvero efficace e di qualità. Infatti, gli attuali “assistenti alla comunicazione” – come da citato articolo 13, comma 3 della Legge 104/92 – che già operano nel settore, a causa di una preparazione e formazione spesso lacunosa e carente, non si sono ancora radicati su tutto il territorio nazionale come “operatori” del sostegno dei disabili sensoriali, e inoltre, la mancata definizione del loro ruolo (nonostante la recente Legge 107/15) fa sì che gli Enti Locali e le Cooperative, che dovrebbero assumerli e aggiornarli, sovente non lo facciano e, se lo fanno, li impieghino in condizioni di precarietà “funzionale” e economica.
La figura professionale di secondo livello è invece più “specifica” ed è costituita dal “pedagogista esperto in scienze tiflologiche”. Quest’ultimo operatore di secondo livello del sostegno dei ragazzi minorati della vista, a differenza dell’“educatore alla comunicazione”, realizza e monitora l’intero progetto di vita dei disabili visivi, anche con disabilità aggiuntive, di tutte le età.
Il titolo di “pedagogista esperto in scienze tiflologiche” viene conseguito dopo la frequenza di un master universitario di secondo livello di 1.500 ore, di cui almeno 300 teorico-laboratoriali in presenza e circa un centinaio in modalità FAD “sincrona” (chat room o “classe virtuale”).
A tale master potranno accedere gli “educatori alla comunicazione” di cui sopra, i laureati in scienze dell’educazione e scienze della formazione, gli educatori professionali, gli insegnanti curricolari e di sostegno, e soprattutto, a loro scelta, gli operatori tiflologici degli Istituti dei Ciechi e dei Centri di Consulenza Tiflodidattica, che in tal modo avrebbero un’importante e imperdibile opportunità di aggiornamento professionale. In particolar modo, per questi ultimi professionisti, l’accesso a tale master di secondo livello garantirebbe la validazione della loro esperienza lavorativa pregressa, con il riconoscimento dei relativi crediti formativi da parte del Centro Territoriale di Supporto del corso.

Fatte queste dovute precisazioni formative, per sgombrare il campo da possibili equivoci e malintesi sul reale operato del “Network”, seguono alcune mie considerazioni sull’eventuale spendibilità dei due titoli professionali sopramenzionati.
La potenzialità di occupazione dell’“educatore alla comunicazione” è sicuramente abbastanza alta, valutabile e stimabile in almeno 9.000 unità, tanti quanti sono gli allievi con disabilità sensoriali (4.000 non vedenti e 5.000 non udenti), frequentanti i 10.000 plessi delle oltre 8.000 istituzioni scolastiche italiane.
Invece, per quanto attiene l’occupabilità del “pedagogista esperto in scienze tiflologiche”, possiamo realisticamente prevedere una presenza di almeno un tempo pieno per Provincia nei vari Centri Territoriali di Supporto (al cui interno sarebbe auspicabile l’apertura di uno sportello tiflologico), di una unità negli Istituti dei Ciechi e nei Centri di Consulenza Tiflodidattica della Federazione Nazionale delle Istituzioni Pro Ciechi e della Biblioteca Regina Margherita, dove continuerebbero a lavorare gli operatori tiflologici ivi attualmente impiegati, con il valore aggiunto dell’aggiornamento professionale, grazie alla frequenza del master, e infine, in numero variabile e flessibile, nelle scuole che – avendo rafforzato la propria autonomia ai sensi della Legge 107/15 – potrebbero dotarsi all’occorrenza anche di esperti in scienze tiflologiche, quali figure di supporto ai vari Organi Collegiali (Collegio dei Docenti e Consiglio di Classe), nella progettazione e nello svolgimento di attività curricolari ed extracurricolari veramente inclusive e funzionali ai reali bisogni educativi speciali degli alunni con disabilità visiva.

Ma ciò non basta. Occorre infatti che le due figure da noi individuate siano riconosciute ufficialmente dal “sistema” e che diventino appetibili e attraenti sul piano della successiva occupabilità. Diversamente, la nostra proposta formativa potrebbe andare deserta, costringendoci a ridimensionarne la qualità, ad aprirla ad ogni laurea in ingresso e a ridurne il numero di ore in presenza, a scapito cioè della sua efficacia didattica.
Fortunatamente, alcuni recenti eventi favorevoli sembrano avvicinare l’ambizioso obiettivo del NIS e rendere l’inclusione scolastica dei ragazzi non vedenti e ipovedenti un po’ meno “idea platonica” e un po’ più realtà concreta e a portata di mano.
In primo luogo mi riferisco all’attivazione dell’innovativo master in Typhlology Skilled Educator (“Esperto in scienze tiflologiche”), autorizzato dal presidente dell’UICI Barbuto, patrocinato dall’IRIFOR e organizzato in convenzione con l’Università del Molise di Campobasso [se ne legga già approfonditamente anche nel nostro giornale, N.d.R.]. La speranza è che tale iniziativa formativa, da esperienza pilota nel Molise, possa diventare il modello di riferimento per tutti gli Atenei italiani.
Altrettanto “epocale e rivoluzionaria” ci sembra l’assegnazione della prima cattedra universitaria di Tiflologia presso la stessa Università del Molise a Marco Condidorio, coordinatore della Commissione Istruzione dell’UICI, avvenuta nelle scorse settimane.
E infine, ultimamente, come non citare la presentazione al Senato da parte degli esperti del Network di un emendamento alla Proposta di Legge C 2656, approvata nel giugno scorso alla Camera, che ha istituito ufficialmente le figure dell’educatore socio pedagogico e del pedagogista? Le modifiche presentate al Senato, infatti, vanno nella direzione di armonizzare e incardinare le proposte formative del Network all’interno della Legge di cui sopra.

Il sogno del NIS dell’UICI è quello di sottoscrivere quanto prima una convenzione con il Ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca, per godere finalmente di una certa autorevolezza nel mondo scientifico e universitario, essere riconosciuto ufficialmente anche dal sistema di istruzione italiano e accreditarsi con quello stesso Ministero come organismo di riferimento per la formazione degli operatori del sostegno degli studenti minorati della vista.
Solo così il NIS potrà “muoversi” e adoperarsi con la Conferenza Unificata Stato-Regioni, perché “imponga” alle Regioni – competenti in materia di assistenza scolastica e postscolastica, ai sensi dell’articolo 1, comma 947 della Legge 208/15 – l’assunzione all’interno delle cooperative che gestiscono tale servizio dell’“educatore alla comunicazione” e del “pedagogista esperto in scienze tiflologiche”, quali figure professionali necessarie per il sostegno e l’inclusione degli allievi ciechi e ipovedenti.

In definitiva, con queste mie riflessioni, ho voluto “testimoniare” l’importanza della nascita del Network per l’Inclusione Scolastica dell’UICI, quale strumento “strategico” per fugare tentativi anacronistici di ritorno al passato e alle scuole “speciali”, per garantire un concreto e proficuo processo di inclusione agli alunni/studenti con disabilità visiva e, soprattutto, per far risplendere la “luce” della tiflologia in Italia.

Direttore scientifico dell’IRIFOR (Istituto per la Ricerca, la Formazione e la Riabilitazione) dell’UICI (Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti).

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