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Serve un’esplosione di consapevolezza

Disegno di Andrea Valente in esclusiva per «DM», giornale della UILDM - Unione Italiana Lotta alla Distrofia Muscolare (per gentile concessione)

Disegno di Andrea Valente in esclusiva per «DM», giornale della UILDM – Unione Italiana Lotta alla Distrofia Muscolare. Per gentile concessione

«È possibile – si è chiesta qualche settimana fa Gianna Fregonara, responsabile con Orsola Riva del «Corriere della Sera – Scuola e Università» – che quando si parla di studenti disabili e di studenti ripetenti, scatti automaticamente l’emergenza, il codice rosso: problema irrisolvibile senza crearne altri? Lo sanno bene i genitori dei bimbi disabili, che proprio in questi giorni sono costretti a tenerli a casa in attesa che arrivino gli insegnanti di sostegno, di solito gli ultimi ad essere designati per le cattedre. Succede anche che vengano invitati dagli stessi presidi a fare ricorso al Tar per ottenere quello che sulla carta è un diritto e che nella realtà viene regolarmente calpestato. In alcune regioni, tra le quali la Sicilia e la Sardegna, le cattedre di sostegno sono state usate per permettere agli insegnanti di restare vicini a casa anche se non hanno la specializzazione».
In un articolo essenziale e colmo di partecipazione, dunque, Fregonara ha dato voce a tutti coloro che vorrebbero realizzare la scuola degli alunni, e non quella delle assunzioni. Ha parlato di diversità e disabilità con una lucidità rara a trovarsi, fuori dai canali dedicati. E lo ha fatto dando voce a tutti gli alunni, soprattutto ai «compagni che hanno il diritto di essere aiutati ad accogliere e integrare un loro compagno in difficoltà», individuando come punto dolente non la diversità delle persone, bensì l’intero contesto scolastico.
La scuola di tutti, infatti, che supera il concetto di inclusione, dovrebbe essere patrimonio comune difeso da tutti insieme. Anche dai docenti curricolari, anche dai genitori degli alunni senza disabilità.

Accade invece che insieme alla contrapposizione tra alunni con e senza disabilità, insista ancora la più profonda ignoranza sulla realtà dei docenti con disabilità. Ne trattammo sul blog InVisibili del «Corriere della Sera.it», grazie a un’interessantissima raccolta di testimonianze a cura del Gruppo Donne UILDM (Unione Italiana Lotta alla Distrofia Muscolare). A cui si è aggiunta la cronaca, che ha parlato di docenti come Mariaclaudia Cantoro i quali non hanno potuto usufruire dei benefìci della Legge 104/92 perché non erano di ruolo, e per questo hanno affrontato disagi di ogni tipo. Oppure docenti come Gennaro Iorio, che hanno sostenuto un concorso non a norma, riguardo all’accessibilità per i candidati ciechi.
Voci forti, importanti, che pure non hanno peso, che sembrano non esistere. E sempre per la stessa ragione: si guarda la disabilità e non le capacità e la cultura del docente. Che è stato prima un alunno. Ma una scuola che contemporaneamente istruisce e diseduca, è mostruosa.

Nella disabilità, il patto scuola-famiglia, quel luogo riservato agli adulti che sembra scomparso dalla coscienza civica di troppi genitori e diversi insegnanti, è la base di tutto. Ancora di più quando un alunno non è in grado di rappresentare se stesso. Ma la precarietà del contesto generale, l’insormontabilità di certe condizioni neutralizza la forza delle buone leggi e delle buone prassi. Perché non vi è dubbio che molte cose sono state fatte (penso ad esempio agli Sportelli per l’Autismo, cui possono rivolgersi le scuole), ma tutto cade nel vuoto se poi la scuola è concepita e trattata come un ufficio di collocamento.
«Salvo poi commuoverci per le storie belle e coraggiose di chi i problemi li ha superati con una medaglia alle Paralimpiadi – ha concluso Fregonara – sfidando tutto e tutti. Sarebbe forse più utile se ci chiedessimo quanto sudore, quanta fatica e forza di volontà ci sono dietro queste vittorie. E anche quante lacrime».

Non volevo parlare di scuola, per egoismo, per godermi sino alla fine il piccolo “paradiso” di un liceo scientifico di Reggio Calabria intitolato ad Alessandro Volta, che fino al mese di luglio del 2018 conterrà la vita di mio figlio. Volevo stare in apnea, immersa nella concentrazione che richiede la preparazione dei bagagli, perché tutto ciò che è stato non vada disperso. La scuola è il suo unico patrimonio di vita sociale. C’è bisogno di portare via tutto, anche il superfluo, anche ogni lacrima: di rabbia, poche volte; d’angoscia, all’inizio. Ma soprattutto di trasporto, nei confronti di molte persone.
Intorno a noi accade già che ci sia una società più pronta e un giornalismo generalista più attento e rispettoso della disabilità. E la cattiva politica non avrà la meglio, se tutti sapranno godere e difendere questa ricchezza: “per tutti” si fa “insieme”. Spero quindi in un’esplosione di consapevolezza, che porti chi non è coinvolto in condizioni di disabilità a combattere accanto a chi, fin qui, è stato ammirato per forza e coraggio, ma è sempre stato solo.
Queste sono le lacrime di cui parla Gianna Fregonara. Quelle della delusione, patrimonio comune, che può trasformarsi in luce e bellezza.

Testo già apparso in InVisibili, blog del «Corriere della Sera.it», con il titolo “Scuola e disabilità, la coscienza comune che manca” e qui ripreso – con alcuni riadattamenti al diverso contenitore – per gentile concessione.

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