Non avrebbe mai dovuto nemmeno camminare…

«Questa nostra storia non vuole essere una lezione per nessuno, ma solo un incoraggiamento a chi molte volte viene distrutto dalle parole di chi è pronto a decretare che un bimbo con grave disabilità non farà mai niente nella vita. E invece, con tanta pazienza, egli può fare tanto e anche se riuscisse a fare pochissimo, sarebbe sempre qualcosa in più di quel niente che i “dotti” dicevano non fosse in grado di fare». La storia tutta in salita di una famiglia e delle acquisizioni di un bimbo nato con una rara malformazione cerebrale, nel “nulla” della società, dei medici e della scuola

Immagine in ombra di un uomo su una montagna che tende la mano a un altro più in basso

Mi chiamo Gigi e sono padre di quattro ragazzi, due femmine e due maschi. Una vita normale, un lavoro tranquillo, la moglie, tre figlie e poi… poi nasce Marco. La nostra gioia per il completamento della famiglia era tanta, però, ben presto, ci siamo resi conto che il nostro ultimo figlio non era come gli altri fratelli.
Perché racconto la nostra storia? Perché vorrei che il nostro vissuto servisse per aiutare altre famiglie che si sono trovate all’improvviso spiazzate, con la vita completamente “cambiata”, come è successo a noi per la malformazione rara che ha il nostro Marco: l’agenesia del corpo calloso.
Il corpo calloso è una membrana che mette in comunicazione i due emisferi cerebrali; non averla o averla formata male porta a dei disturbi incredibili che ben presto si sono evidenziati. Per scoprire il problema, è necessario fare una risonanza magnetica, ma per noi questa è arrivata dopo tanti anni dalla nascita di Marco.

Nostro figlio adesso ha 27 anni e la sua vita è stata tutta in salita… e che salita, aggiungo. Avere un figlio con una malattia rara è la cosa più assurda che possa capitare, perché ti trovi completamente isolato da tutto e da tutti. Si vive in una dimensione strana, quasi si camminasse sopra una nuvola; ogni tanto si inciampa e si ha paura di cadere nel vuoto, ma poi subentra la voglia di rialzarti, di correggerti e di continuare a prendere per mano tuo figlio e a sorreggerlo nel cammino arduo che qualcuno ci ha riservato…
Vogliamo parlare degli aiuti che ci ha dato la società? Zero! Vogliamo parlare dell’apporto medico che abbiamo avuto? Sotto zero! Oppure della scuola e dell’accoglimento che ha avuto il mio ragazzo speciale? Ancora sotto zero… E a questo punto quasi mi congelo… Vogliamo parlare della realtà attuale? Ora che il percorso scolastico si è esaurito, il mio ragazzo si trova “nel vuoto totale” della vita.
Amici? Quando andava a scuola, qualcuno si intratteneva con lui, pochissimi, anche se è stato sempre rispettato con gentilezza. Mia moglie ed io non ci siamo mai arresi, dovevamo andare avanti perché gli altri nostri figli continuassero nella loro vita normale, con tutte le esperienze che essa può regalare; dovevano andare a scuola, fare lo sport e stare in società. Non potevamo togliere tanto ai nostri ragazzi, ma al contempo dovevamo seguire Marco nel suo cammino che, come ho detto prima, è stato tutto in salita.
Spero che gli altri miei figli non abbiano sofferto molto per la situazione di Marco, ma l’amore che li lega mi fa pensare che per loro il fratello sia sempre il “bambino da accudire, da seguire e da proteggere”, anche quando io e mia moglie non potremo più farlo.

Come dicevo, nonostante i nostri sforzi, ci siamo sempre trovati in grosse difficoltà, a cominciare dal campo medico.
Siamo delle persone normali, non conosciamo la medicina e perciò ci siamo affidati a medici professionisti, per avere delle risposte al “problema” di Marco. Risposte, però, non ce ne sono mai state, ma questo penso sia normale quando si parla di malattie rare.
Se non potevamo avere delle risposte, avremmo però almeno gradito dei consigli. Ne abbiamo avuti? No!
Da sempre ci è stato detto che Marco «era grave», che «non dovevamo aspettarci niente da lui», e che «mai avrebbe camminato»… Quanti bocconi amari abbiamo dovuto ingoiare, quanto dolore, quanta tristezza ganno accompagnato me e mia moglie quando ci venivano dette queste cose…
Noi, ripeto, siamo persone semplici, abbiamo sempre condotto una vita tranquilla, ma siamo anche testardi e determinati e allora abbiamo sfidato tutto e tutti. Per Marco abbiamo modificato la nostra vita.
Siamo andati a vivere in campagna, per dargli la possibilità di stare a contatto con la vita all’aperto, senza l’oppressione del chiuso, senza barriere, nel verde, con la cornice del cielo azzurro e tanto spazio da godere in pieno. Abbiamo acquistato un pony e la nostra speranza era che il cavallino facesse “il miracolo”. Ebbene, ciò è avvenuto, perché la gioia di Marco, alla vista del pony, è stata enorme. Abbiamo cercato di mettere il bimbo in sella e devo dire che la postura logicamente non poteva essere “grandiosa”, ma… ma la caparbietà mia e la grande forza di volontà di Marco hanno fatto il resto.
Insomma Marco, con tanta pazienza, ha imparato a stare dritto sul pony; non stavamo facendo ippoterapia in un centro specializzato, eravamo nel nostro terreno, eravamo io e lui, lui ed io, per ore, per giorni, per mesi, insistentemente.
Con il passare del tempo, Marco riusciva a stare sempre meglio in sella al pony ed era felice, felicissimo. Non sarebbe dunque riuscito «a fare niente nella vita?» Così avevano sentenziato i medici che avevamo consultato, con parole che spesso mi tornano alla mente. «Si rassegni: suo figlio non riuscirà mai a fare niente nella vita, non ha le potenzialità per fare qualcosa, dovete solamente controllarlo. Per il resto rassegnatevi»… Ma non ci si dovrebbe vergognare ad emettere sentenze così feroci?
Marco è riuscito a stare bene eretto sopra il cavallo e successivamente a camminare in terra, a salire e a scendere dal suo pony. È riuscito a camminare, ciondolante e malfermo all’inizio, ma ci è riuscito, quando a detta dei medici “simili esperimenti” non avrei neppure dovuto provarli…
Marco cammina… è stata una grande gioia che ancora mi fa commuovere, pensando alla soddisfazione provata nel vedere i suoi progressi.
«Non avrebbe mai camminato»… Ma perché “troncare” le speranze dei genitori, con parole che sarebbe stato meglio non avere mai pronunciato? Non puoi togliere le speranze a un genitore, lo stai uccidendo… ma io sono “testardo” e la mia testardaggine mi ha dato ragione.

Da allora è proseguito il nostro cammino di vita, anche se sempre in salita e io mi sono detto: perché non provare a farlo andare anche in bicicletta, ora che riesce a camminare bene? L’ho pensato e l’ho messo subito in pratica.
Sempre giocando con Marco – perché tutto con lui deve apparire come un gioco e non come una terapia – il suo sorriso mi ha fatto capire che la sfida della bicicletta sarebbe andata bene, e così è stato: gratificante vederlo correre su tutto il nostro terreno con la sua bici, lui davanti e io dietro con una bici di misura 28.
Passa il tempo, Marco va a scuola, ma, con certe disabilità, i ragazzi, se non hanno insegnanti motivati, poco riescono a fare, e purtroppo mio figlio non ha incontrato nel suo percorso docenti che avessero voglia di mettersi in gioco. Ogni anno, poi, un insegnante nuovo e ogni anno a trovarsi davanti queste persone che leggevano i suoi documenti medici, dove c’era scritto quello che non riusciva a fare… Se invece, compilando quelle relazioni, anziché usare le clessidre e i cronometri per vedere in quanto tempo mio figlio svolgeva certi giochetti, avessero sentito la nostra campana e “capito” le “altre” cose che Marco era in grado di fare…
Scuola spietata, scuola che segue la logica dei tempi, mentre i nostri ragazzi hanno tempi lunghi per apprendere. Ma tutto nella vita deve scorrere veloce, tutto deve seguire delle logiche che i nostri ragazzi – ripeto – molto lenti non sono in grado di “rincorrere”.
Sono stato io il “grande amico” di mio figlio, sempre io. E dopo la bici mi sono accorto che Marco andava letteralmente pazzo per le moto. Quando si usciva a passeggiare, infatti, era attratto dalle moto e sarebbe rimasto per ore a guardarle, se glielo avessi permesso.
Nuova grande sfida, non ci dormivo la notte, rimuginavo il mio proposito di comprare una moto per Marco; allora ho reso partecipe del progetto mia moglie, che mi ha incoraggiato. E così abbiamo comprato un cinquantino, per farlo correre nella nostra proprietà, lontano da occhi indiscreti e sotto il mio occhio vigile. Sembrava non avesse fatto altro nella vita, in sella al motorino non è sceso sino a quando non è terminata la miscela. Felice e sorridente, ho sempre scolpito nella memoria il suo viso gioioso e soddisfatto.
Ha consumato il cinquantino, il suo “giocattolo”, ha fatto il “giro d’Italia” dentro i confini del nostro terreno. E dopo il cinquantino, siamo saliti di categoria e negli anni si sono susseguite ben tre moto di cilindrata sempre superiore, anche perché cambiare le marce per lui è di una semplicità unica.

«Si rassegni: suo figlio non riuscirà mai a fare niente nella vita»… Sentite, “Dottori Tal dei Tali”, non metto in dubbio la vostra professionalità, ma davanti a mio figlio e alla sua malformazione rara cerebrale non avete azzeccato nulla di nulla e meno male che non vi ho ascoltato.
Oggi Marco guida una vettura, non da ora ma da parecchi anni, non avrà mai la patente, e di questo sono consapevole, come sono altrettanto consapevole che lui gira solo nella nostra vastissima proprietà privata. Logicamente come padre ho messo dei paletti e lui li rispetta, cioè non deve mai uscire dai nostri ettari di terreno, perché altrimenti la vettura non la vedrà più.
Cosa posso dire di lui? È ormai un uomo e moltissime volte mi ha parlato dicendomi che vorrebbe una fidanzata, vede le sorelle e il fratello con le loro famiglie e sente il desiderio di avere una ragazza. A questo punto io mi arrendo, sono suo padre e il suo migliore amico e gli dico che prima o poi qualche ragazza si innamorerà di lui e lui di lei.

La mia storia, la nostra storia con Marco non vuole essere una lezione per nessuno, ma solo un incoraggiamento a chi molte volte viene demoralizzato e distrutto dalle parole dei “saccenti”, pronti a decretare che Tizio non farà mai niente nella vita. E invece, con tanta pazienza, Tizio può fare tanto e anche se riuscisse a fare pochissimo, sarebbe sempre qualcosa in più di quel niente che i “dotti” dicevano non fosse in grado di fare.
Come padre, sono pieno di rabbia perché questa società non ha fatto niente per mio figlio. Sempre come padre, sono anche orgogliosissimo dei risultati che ha conseguito grazie alla nostra caparbietà e devo ringraziare la mia bellissima famiglia per avermi sempre incoraggiato in questo cammino: sono stati loro la spalla su cui appoggiarmi nei momenti di sconforto, loro lo “strattone” che mi diceva di andare avanti anche quando vedevo che le cose erano complicate.
Sono loro la mia forza e Marco è il mio figlio “speciale”. La vita mi ha dato tanti dolori, ma insieme alla mia famiglia siamo riusciti a conseguire dei risultati veramente grandiosi e spero di ottenerne ancora in futuro.
Come dice la canzone della Mannoia: «Per quanto assurda e complessa ci sembri, la vita è perfetta. Per quanto sembri incoerente e testarda, se cadi ti aspetta».

Presidente dell’Associazione Mondi Paralleli (che tutela i diritti delle persone con disabilità) e madre di una giovane con disabilità. Con la presente storia, Marisa Melis racconta (con nomi di fantasia) il reale vissuto di un padre (e della sua famiglia), conosciuto parecchi anni fa tramite internet, cercando entrambi notizie per la malformazione cerebrale rara dei rispettivi figli.

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