Il buon design rende abili, il cattivo design rende disabili

In altre parole: la disabilità e il livello di partecipazione dipendono da quanto l’ambiente in cui si vive è adeguato e inclusivo. Si apre con tale significativo concetto la tesi di dottorato in Tecnologia dell’Architettura, elaborata a Ferrara da Alessandra Galletti e dedicata alla progettazione inclusiva degli spazi nella scuola primaria, in riferimento ai bimbi con distrofia di Duchenne. Questo e altri studi rientrano in un percorso di collaborazione tra l’Associazione Parent Project e l’Ateneo ferrarese, avviato con l’obiettivo di migliorare la qualità di vita delle persone con distrofia

Ragazzino con distrofia di Duchenne

Un ragazzo affetto da distrofia muscolare di Duchenne

Nel 2009 è stato avviato un percorso di collaborazione tra Parent Project – la nota Associazione che raggruppa i genitori di bambini e ragazzi con distrofia muscolare di Duchenne e di Becker – e il Dipartimento di Architettura dell’Università di Ferrara, nella persona del docente Giuseppe Mincolelli. In tal senso, attraverso un protocollo d’intesa siglato nel 2011, sono state istituite tre borse di studio, cofinanziate dall’Associazione, per altrettanti dottorati di ricerca, uniti dall’obiettivo di migliorare la qualità della vita delle persone con distrofia di Duchenne.
Tra questi percorsi, vi è anche quello intrapreso da Alessandra Galletti, che ha conseguito recentemente il Dottorato di Ricerca in Tecnologia dell’Architettura (Curriculum Innovazione di prodotto. Materiali, Componenti e Tecnologie innovative per l’architettura e il disegno industriale).
Il 15 maggio scorso, la sua tesi, intitolata School for Duchenne. Proposta di uno strumento informativo metodologico per la progettazione inclusiva degli spazi della scuola primaria, è stata premiata nell’àmbito dello IUSS Day 2017 (iniziativa dell’Istituto Universitario di Studi Superiori-Ferrara 1391), in quanto ritenuta la migliore del proprio Corso di Dottorato, relativamente al XXVIII Ciclo. Ne abbiamo parlato con la stessa Alessandra Galletti.

Qual è stato l’oggetto della sua tesi?
«La mia tesi riguarda l’ideazione di un nuovo strumento informativo-metodologico per la progettazione degli spazi nella scuola primaria in chiave inclusiva. La ricerca si è focalizzata sulle esigenze dei bambini con distrofia muscolare di Duchenne e nel suo sviluppo ho potuto entrare in contatto anche con genitori di bambini che convivono con la patologia.
In corrispondenza degli anni della scuola dell’obbligo, i bimbi affetti da Duchenne affrontano una fase delicata, a causa della percezione dei propri limiti, conseguente alla presa di coscienza della malattia, e quindi in questo periodo di tempo le risposte fornite dall’ambiente possono risultare molto importanti. La scuola è fatta di spazio (architettura) e servizio (pedagogia e didattica), elementi regolati da procedure differenti per l’ottenimento dell’inclusione. Dallo studio delle prassi – rispettivamente legate all’integrazione e alla progettazione accessibile – ho osservato delle incongruenze tra i due tipi di strategia. In altre parole, non sempre gli spazi sono adatti ad includere davvero tutti i bambini».

Come si è sviluppata la ricerca?
«Al centro della tesi c’è l’obiettivo di analizzare gli spazi scolastici nell’ottica dell’inclusione. Sono partita dallo studio delle diverse fasi di progressione della distrofia di Duchenne, per capire quali aspetti possano diventare causa di esclusione del bambino nello spazio. Poi mi sono dedicata ad alcuni casi-studio a Ferrara, catalogando i diversi ambienti scolastici in base alle attività che vi si svolgono ed elaborando una check-list [“lista di controllo”, N.d.R.] delle azioni svolte dai bambini stessi nei vari luoghi.
Ho quindi progettato il concept di uno strumento informatico finalizzato a supportare e guidare la progettazione condivisa dello spazio scolastico tra insegnanti, genitori e progettisti, sia per la riprogettazione di spazi esistenti, sia per la progettazione ex novo. Limitatamente alla definizione della scheda tecnica dello strumento, mi sono avvalsa della collaborazione di un ingegnere informatico.
Ritengo sia fondamentale sensibilizzare i progettisti, che devono smettere di immaginare un “utente medio” per questi spazi e individuare invece i bisogni reali di chi abita la scuola, per poter sostenere l’ottica dell’inclusione».

Come dovrebbe essere applicato tale strumento informatico?
«L’idea è che, al momento dell’iscrizione, i genitori di tutti gli allievi compilino un questionario online volto a rilevare (da parte della scuola) il “match” [“punto di accordo”, N.d.R.] tra le abilità del proprio/a figlio/a e le attività che normalmente si svolgono nei vari ambienti della scuola, e di conseguenza con le abilità richieste dagli spazi scolastici così come sono. In questo modo sarebbe possibile ricavare dati oggettivi sulla compatibilità tra le abilità dei bambini e il contesto che offre la scuola a livello di accessibilità.
Con questo strumento, inoltre, gli operatori della scuola avrebbero i dati necessari per pianificare gli adeguamenti utili a prevedere la massima partecipazione degli alunni. La raccolta di dati potrebbe essere utilizzata per permettere un ranking [“classifica”, N.d.R.] tra istituti, consentendo ai genitori di utilizzare il grado di inclusività dei plessi come criterio per la scelta. I progettisti, a loro volta, potrebbero operare in modo più consapevole, comprendendo meglio le dinamiche tra spazi, tempi e utenti che caratterizzano la scuola: l’accessibilità, infatti, dipende dalla complessa relazione tra questi elementi, e non può limitarsi all’applicazione di prescrizioni».

Vorrebbe continuare a lavorare sulla tematica della sua tesi?
«In questo periodo sono in procinto di trasferirmi a Bolzano, per lavorare a dei percorsi formativi per insegnanti sul tema della scuola inclusiva. È mia intenzione continuare a sviluppare lo strumento oggetto della mia tesi, coinvolgendo un team interdisciplinare in un’ideale partnership tra pedagogia, architettura e informatica».

Significativa, in conclusione, è anche la citazione dell’architetto Paul Hogan con cui si apre la tesi di Alessandra Galletti: «Good design enables, bad design disables», ovvero, all’incirca, “Il buon design rende abili/rende le cose possibili (abilità), il cattivo design rende inabili/disabili (disabilità)”. Parole utili a rappresentare in quale misura la disabilità e il livello di partecipazione dipendano da quanto l’ambiente nel quale si vive sia adeguato e inclusivo, da quante barriere si incontrino, che siano barriere psicologiche o strutturali.
L’auspicio è dunque che la dottoressa Galletti possa portare avanti con successo il proprio lavoro su una tematica così importante per il benessere di tutti i bambini.

Per ulteriori informazioni e approfondimenti: e.poletti@parentproject.it.

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