L’ho sentito anche in televisione!

«Noi familiari di persone con sindrome di Down – scrive Francesco Giovannelli – conosciamo bene la pericolosità del termine “mongoloide”, che trasuda disprezzo, irrisione e stigma. Nel mondo della scuola può essere l’anticamera di fenomeni di bullismo. Utilizzarlo per offendere un interlocutore nel corso di una trasmissione televisiva – come ha fatto il giornalista Marco Travaglio – ha un effetto ancora più negativo: se infatti qualcuno si rivolgerà con quel termine a mia figlia e io protesterò, come faccio in ogni occasione, mi si potrà dire: “L’ho sentito usare pure in televisione”»

Marco Travaglio

Il giornalista Marco Travaglio

Probabilmente sarà per l’avvicinarsi della Giornata Nazionale “dei mongoloidi” (come lui la definirebbe, ma in realtà “delle persone con sindrome di Down”), in programma per l’8 ottobre prossimo, che il noto giornalista Marco Travaglio ha voluto offrire il proprio “contributo alla causa”, utilizzando, nel corso della trasmissione Otto e mezzo di ieri (20 settembre), sull’emittente La7, il termine “mongoloidi”.
Stava accusando un altro ospite di ritenere tali, gli elettori di un certo partito. Per fugare ogni dubbio ha poi spiegato meglio cosa intendesse: «dei dementi, dei fuori di testa, che non hanno il coraggio di ragionare…».

Noi familiari di persone con sindrome di Down, conosciamo bene la pericolosità di questo termine che trasuda disprezzo, irrisione e stigma; è un termine che va combattuto rispondendo e protestando con chi lo usa, colpo su colpo. Nel mondo della scuola, ad esempio, può essere l’anticamera di fenomeni di bullismo.
Ovviamente, utilizzarlo nel corso di una trasmissione televisiva ha un effetto ancora più negativo, anche perché in genere ciò avviene in assenza di reazione del conduttore o degli altri ospiti in studio (l’anno scorso, sempre a Otto e mezzo, il filosofo Massimo Cacciari aveva affermato senza reazioni in studio: «Anche un cieco, un sordo, handicappato capirebbe che c’è bisogno di un nuovo governo»).
Se infatti qualcuno si rivolgerà con quel termine a mia figlia e io protesterò, come faccio in ogni occasione, mi si potrà rispondere: «L’ho sentito usare pure in televisione».

Di positivo, comunque, c’è che oggi queste espressioni non passano più sotto silenzio: si reagisce, si protesta, si scrive ai giornali; è giunto a mio avviso il momento, per la parte sana del mondo dell’informazione, di dare un contributo all’eliminazione definitiva di questo termine dal linguaggio comune.

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