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Illegittimo chiedere di dare fondo ai risparmi per le spese di assistenza

Mano del giudice che batte il martelletto

È illegittimo chiedere alle persone con disabilità di dare fondo ai propri risparmi per pagare le spese di assistenza: lo ha stabilito il TAR di Milano (Tribunale Amministrativo Regionale), accogliendo un ricorso presentato dall’amministratore di sostegno di una giovane con disabilità, azione supportata dalla LEDHA di Milano (Lega per i Diritti delle Persone con Disabilità) e dall’ANFFAS di Milano (Associazione Nazionale Famiglie di Persone con Disabilità Intellettiva e/o Relazionale).

Con tale Sentenza, dunque, viene annullata parte di una Delibera del Comune di Milano (2496/15), nella quale si prevedeva che «nel caso in cui l’utente possieda beni immobili oltre la cifra di 5.000 euro, l’amministratore comunale differirà l’intervento fino a che queste risorse, impiegate per il sostegno all’utente in forma privata, non si saranno ridotte all’importo di 5.000 euro».
In altre parole, con tale provvedimento il Comune di Milano – come succede del resto per numerosi altri Comuni della Lombardia – chiedeva alle persone con disabilità e ai loro familiari di “consumare” i propri risparmi, prima di intervenire con l’erogazione di servizi sociali e sociosanitari. Per i giudici del TAR, invece, «tale disposizione si pone in contrasto con la normativa sovraordinata», ovvero quella Regionale e Nazionale. Infatti, si legge nella Sentenza, «la normativa regionale e quella statale stabiliscono chiaramente che non solo l’accesso, ma anche la compartecipazione al costo delle prestazioni socio-sanitarie e sociali, devono essere stabiliti avendo come base la disciplina statale sull’indicatore della situazione economica equivalente, l’ISEE (Decreto del Presidente del Consiglio-DPCM 159/13). […] Deve quindi escludersi che il reddito dell’assistito ai fini dell’accesso e ai fini della determinazione della compartecipazione alla spesa possa essere definito dal Comune avendo per oggetto elementi diversi».

Nel guardare con soddisfazione a questo provvedimento, Laura Abet, avvocato del Centro Antidiscriminazione Franco Bomprezzi della LEDHA, sottolinea come esso «esprima in modo incontrovertibile che i Regolamenti Comunali che pur apparentemente recepiscono il DPCM 159/13, ma non ne danno corretta applicazione, poiché introducono una limitazione all’intervento comunale del tutto estranea al testo normativo del medesimo DPCM, sono dichiarati illegittimi. In nessuna parte del Decreto, infatti, è previsto un meccanismo simile a quello che molti Comuni pretendono di adottare, vale a dire “consumare” tutte le proprie sostanze fino al valore di 5.000 euro, soglia al di sotto della quale si giustifica e si prevede la possibilità dell’intervento comunale a sostegno del pagamento della retta. L’invito a leggere attentamente i Regolamenti Comunali, è quindi d’obbligo».
«Noi siamo soddisfatti per l’esito di questa Sentenza – aggiunge Marco Rasconi, presidente della LEDHA di Milano – che per noi non è una sorpresa e che non dovrebbe essere tale nemmeno per il Comune di Milano. Infatti, sin dai mesi successivi all’emanazione della Delibera di Giunta Comunale 2496/15 abbiamo più volte fatto rilevare al Comune che essa non era rispondente al dettato normativo. Abbiamo avuto più incontri sul tema, ma siamo dovuti arrivare a una Sentenza del TAR. È quindi tempo che Milano si doti finalmente di un Regolamento Comunale unico per la compartecipazione alla spesa e cessi la prassi di trattare questo argomento all’interno di singole Delibere senza un approccio coerente. Su questo punto siamo pronti a fare la nostra parte, auspicando che il Comune voglia fare altrettanto, tenendo anche conto che un Regolamento redatto da esso sul tema della compartecipazione alla spesa sarebbe un punto di riferimento non solo per il territorio milanese, ma anche per tutta la Regione Lombardia». E non solo per questa’ultima, aggiungiamo! (S.B.)

Per ulteriori informazioni e approfondimenti: ufficiostampa@ledha.it (Ilaria Sesana).

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