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Storia di un amore ritrovato… dopo l’ultimo respiro

Emanuele Ciancio

Il ritorno in piscina dopo tre anni di Emanuele Ciancio

Sono passati quasi tre anni dal mio ultimo respiro… Quell’ultimo respiro fatto sott’acqua, nella mia ultima immersione in cui un incidente ha cambiato la mia vita. Un’embolia midollare localizzata nel tratto della colonna T7-T10, bassa, per fortuna, mi verrebbe da dire, ma che ha diviso a metà il mio corpo, con testa, braccia forti e sane e gambe che ormai non reggono il mio peso, i miei sforzi, la mia vita di corsa e sempre in anticipo.
Non reggono più quei movimenti che per tutti noi sono i primi che impariamo già prima della nascita, quando scalciamo dentro il grembo di nostra madre, che usiamo come difesa quando qualcuno ci infastidisce, che ci fanno vedere il mondo non più a due, ma a tre dimensioni, quando ci alziamo su di esse per l’inizio del nostro cammino. E capii allora, dopo quell’ultimo respiro, subito dopo, che a cambiare non sarebbe stato solo il mio corpo, ma anche la mia testa, forse anche la mia anima.
Fu come la fine di un grande amore, durato trenta, brevissimi, anni. Migliaia di giorni trascorsi fra la pioggia a dirotto, il sole al tramonto, il freddo di letti improvvisati e lontani da casa e il caldo delle lamiere infuocate sul ponte delle navi. Mille e mille immersioni, in acque tranquille o scure da far paura. Sempre pronto al salto, all’ingresso in acqua e giù nel blu, per dare un senso anche a quel giorno, come quell’ultimo giorno. Quell’ultimo respiro nel blu.
Le mie gambe mi abbandonarono sul ponte della piccola pilotina di supporto, caddi a terra incredulo, ma consapevole di quello che mi era successo. Immaginate di tagliare le ali leggere a una farfalla, le pinne possenti a uno squalo, le zampe potenti a una tigre: così le mie gambe, quelle di un sommozzatore, erano perse, forse, per sempre.

Dieci mesi di ricovero in ospedale passarono in fretta, velocissimi, forse troppo, e grazie ai miei angeli fisioterapisti, la ripresa fu rapida: dopo quattro mesi mi alzai per la prima volta dalla carrozzina per muovere i primi, scoordinati, ma bellissimi passi.
Marisa, Lea, Katia, Eleonora e Manuela trasformarono quei piccoli passi incerti e dolorosi in quasi stabili passi con le stampelle. Per Serena, l’esperta fisioterapista in piscina, fui come una delle dodici fatiche d’Ercole. Nonostante le sue braccia fossero come delle onde che muovevano e trascinavano il mio corpo sulla superficie dell’acqua nel tentativo di rilassare muscoli e mente, io mi irrigidivo sempre più, come se quell’acqua in qualsiasi momento avesse potuto tradirmi di nuovo, trasformarsi in tempesta e risucchiarmi sul fondo, o diventare fuoco e bruciare le mie speranze di riuscire ancora a camminare.

Uscii dall’ospedale con una carrozzina e un paio di stampelle in dotazione. La prima cosa che feci a casa fu di sbarazzarmi dell’attrezzatura subacquea. Regalai mute ed erogatori, pinne e calzari. Buttai i coltelli ormai arrugginiti, era tutto finito. Il lavoro, lo sport, la mia passione. Tutto scomparve dalla mia vita, come molti, troppi, amici e colleghi che non ho più sentito da allora, come fossi “un appestato”, uno da tenere lontano o semplicemente uno che non serviva più.
In quasi tre anni, non un giorno di sole, di mare o un bagno nei giorni afosi delle estati passate. L’amore era finito, mi ritenevo tradito come dalla mia più amata donna che non mi aveva spezzato il cuore, ma il corpo.

Poi, un giorno, qualcosa cambiò. Lessi per caso la locandina che promuoveva un evento DDI a Catania [DDI Italy è la componente nazionale di DDI-Disabled Divers International, organizzazione non profit impegnata nella formazione alle discipline subacquee per persone con disabilità, N.d.R.], un No Barrier Tour e non la lessi nemmeno tutta, come ormai facevo con ogni notizia che riguardava il mare. Sfogliai così le pagine del social in avanti, una, due, tre… Cosa successe non so… Ritornai indietro e mi fermai a rileggere la locandina. Inviai quasi in automatico la richiesta di informazioni, senza pensarci,  come avrei fatto tre anni prima. Capii solo dopo e mi resi conto che qualcosa era cambiato.

Mi ritrovai a Catania, quasi catapultato in quell’aula, in attesa dei docenti del corso, Luca, presidente di DDI Italy, Alberto, istruttore DDI, e Luigi del Centro SEI Spazio Mare di Catania, che fu proprio l’elastico di quella catapulta.
Fremevo durante la teoria, interessantissima e piena di spunti di attenzione; fremevo perché era la prova in acqua che aspettavo, era il bisogno di indossare di nuovo il GAV [Giubbotto ad Assetto Variabile, N.d.R.], sentire il peso della bombola, mettere in bocca l’erogatore.
Alla prova non mancava molto e fu di nuovo amore. L’erogatore, mai lavato in tre anni, aveva ancora il sapore dell’acqua salata, che contrastava con il dolce dell’acqua della piscina.
Quando Luca mi invitò a fare un giro in piscina, chiusi gli occhi, scesi giù e quel respiro, il mio respiro, che cominciai a risentire nelle orecchie, riempì la piscina, entrò dentro di me e raggiunse il cuore. Ero di nuovo in acqua, respiravo ancora da un erogatore, ma soprattutto le mie gambe non avevano dimenticato come si pinneggiava. Un giro di piscina lungo tre anni!

In quel momento tutto divenne chiaro. Tutto era pronto per il mio rientro nel mondo subacqueo e stavolta con uno scopo diverso, far conoscere a chi era meno fortunato di me la gioia, la bellezza di respirare sott’acqua. Le prove successive di addestramento misero a dura prova la mia resistenza, ma appena sentivo dolore, stanchezza, smania, pensavo che ero di nuovo in acqua e tutto passava in secondo piano.
Provammo le difficoltà di un paraplegico e di un tetraplegico, grazie al grande Claudio, che anche se rischiò di bere tutta la piscina per la nostra poca esperienza, seppe indicarci quali tecniche di presa e trasporto in acqua fossero più idonee.
Ma fu con le prove dedicate agli ipovedenti e alle persone con disabilità intellettiva che tutto assunse un senso diverso. Sperimentai la mattina dell’ultimo giorno come mettere in pratica quanto imparato in quei giorni intensissimi, quando ci vennero a trovare grazie alle Associazioni di categoria, alcuni ragazzi e ragazze desiderosi di entrare in acqua, di provare ad andare sott’acqua.
Sentii le vibrazioni di piacere che Paolo, 14 anni, ipovedente, mi trasmise tramite il contatto delle mani con cui lo guidavo; fui gratificato dalla fiducia di Antony, 16 anni, autistico, che dopo un inizio incerto, quasi non riuscii più a seguire, tanto era più veloce di me nel pinneggiare, quasi un esperto. Mi raccontò solo all’uscita che lui amava il mare e andava spesso in estate addirittura a pescare… Ma lì con scarsi risultati.
Con Gianni, adulto tetraplegico e già sub, scambiammo esperienza su come lui era abituato ad essere accompagnato e non fu difficile trovare un’immediata simbiosi in acqua.
Uscii stremato da quella giornata, e non soltanto nel fisico per la stanchezza, ma soprattutto in testa, per quell’enorme quantità di sensazioni, emozioni, informazioni che mi bombardavano e si intrecciavano continuamente fra le mie personali emozioni.
A Luca, Serena, Claudio, Luigi, Alberto non finirò mai di dire grazie. Grazie per l’occasione, grazie per gli insegnamenti non solo strettamente relativi al corso, grazie per l’umanità, la disponibilità e la cura con cui sono stati sempre presenti, grazie per il sostegno, e grazie ancora!

Aspetto adesso di tornare in mare, ma se quell’acqua dovesse trasformarsi in tempesta o fuoco non avrò più paura. È di nuovo amore, per quanto mi riguarda, ma esso sarà corrisposto?

Ringraziamo Serena Tognon per la collaborazione.

Subacqueo DDI (Disabled Divers International), Centro SEI Spazio Mare di Catania.

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