Pierluigi Lenzi: una voce oltre tutte le barriere

«Un grido nella notte – scrive Sandro Montanari -, così si potrebbe definire la poesia di Pierluigi Lenzi. Un grido che, allo stesso tempo, è domanda d’amore, richiesta di presenza, attesa trepidante, esondazione di dolore. “Se solo tu mi vedessi” è il titolo del suo nuovo libro e vedere, secondo l’accezione dell’Autore, significa andare oltre… implica una presa di coscienza, un coinvolgimento profondo dell’osservatore nel soggetto osservato, sottintende una partecipazione, un trasporto emotivo, una comprensione dell’altro»

Pierluigi Lenzi

PierluigiLenzi, autore di “Se solo tu mi vedessi”

Un grido nella notte, così si potrebbe definire la poesia di Pierluigi Lenzi. Un grido che, allo stesso tempo, è domanda d’amore, richiesta di presenza, attesa trepidante, esondazione di dolore.
Se solo tu mi vedessi, questo è il titolo del suo nuovo libro (Roma, Gattomerlino, 2018, con una nota critica di Piera Mattei). E vedere, secondo l’accezione dell’Autore, significa andare oltre… implica una presa di coscienza, un coinvolgimento profondo dell’osservatore nel soggetto osservato, sottintende una partecipazione, un trasporto emotivo, una comprensione dell’altro.

Molti ci guardano distrattamente, pochi ci vedono. Questa è la verità che Pierluigi Lenzi ci dona con tutta la sua saggezza. E se io vedo, devo fermarmi, devo occuparmi in qualche modo di ciò che ho visto, perché la visione non lascia mai indifferenti e sollecita responsabilità.
Scrive Henry David Thoreau: «Non importa quello che stai guardando, ma quello che riesci a vedere». Se solo tu mi vedessi oltre tutte le barriere, allora capiresti chi sono veramente, cosa ho dentro, cosa provo.
Un libro, allora, che denuncia l’incapacità di vedere, che forse è propria dell’uomo attuale, un’incapacità spesso attribuibile all’accelerazione maniacale del tempo, ai processi di frammentazione dei legami e di ripiegamento narcisistico dell’individuo cui stiamo assistendo negli ultimi tempi.
Ed è qui che il desiderio del poeta, il desiderio di essere profondamente capito, compreso, accolto, si trasforma in poesia. La poesia, cioè, consente la messa in scena del mondo interiore, di quel mondo non visto, non certo per colpa dell’Autore, ma perché tutti i suoi spazi sono riempiti dal ghiaccio dell’indifferenza, dal rumore, o meglio, dalle (troppe) parole degli altri che non di rado, dice Pierluigi Lenzi, sono pietre e coltelli che feriscono.

In una società attraversata da chiassosi labirinti mediatici, l’Autore ci spinge a non accontentarci di sguardi veloci e superficiali; ci invita a prestare attenzione al valore della relazione umana e, nel contempo, a entrare in silenzio nelle stanze dell’anima, al fine di accedere alla dimensione della profondità.
In questo senso la poetica di Pierluigi Lenzi trae nutrimento dall’esperienza vissuta ed è intrisa di intimità, una poetica che, comunque, dal particolare consente di risalire all’universale perché contiene messaggi che, se impariamo a vedere, riguardano ognuno di noi.
Quindi possiamo dire che questa poesia ha delle strette attinenze con il teatro, se solo pensiamo che etimologicamente la parola teatro proviene da “far vedere”. Non è un caso che lo stesso Salvatore Quasimodo, Premio Nobel per la Letteratura, descriva il teatro come la massima aspirazione del poeta. Pierluigi Lenzi “vede” e “fa vedere” ciò che ha dentro, a sipario aperto, senza filtri, senza pudore, ha il coraggio non comune di scavare a piene mani nella sua anima, per mostrare al Lettore preziosi tesori, ma anche voragini senza fine nei quali quel grido rimbomba.

Se andassi
oltre il mio sorriso storto
capiresti il dolore
che mi porto dentro.

Il dolore è il fulcro di questa rappresentazione e, a tratti, questo dolore si trasfigura e diviene silenzio… il silenzio di ciò che si è perso e non c’è più, il silenzio che separa dal lampo il tuono, il silenzio di un bacio rubato, il silenzio del desiderio, il silenzio di una notte d’amore. Ed ecco che si scopre che la parola taciuta può essere più importante di quella detta.

Stasera vieni in silenzio.
Lascia le parole
fuori dalla porta, sotto lo zerbino
che dice benvenuto. Vieni tu
coi tuoi anelli d’argento, coi tuoi
braccialetti di cuoio.
E in silenzio baciami: la tua bocca
dentro la mia bocca, la mia lingua
sopra la tua lingua a parlare
più di qualsiasi discorso.

È proprio l’amore il protagonista di questa silloge. D’altronde, lo stesso vedere è un atto d’amore. Mirabile da questo punto di vista è la poesia Mutti [“mamma” in tedesco, N.d.A.], ove l’Autore ritrae con poche ma sapienti pennellate la madre, descritta in tutta la sua statura e umanità, una donna che a quel grido non ha mai smesso di rispondere.

Comincia una stagione nuova, forse
di tempesta. A dirmelo sono
carni che conoscono ferite e sale
ossa troppo stanche
per stare insieme, dolori
troppo grandi per la bocca
che ha sete ma non riesce a bere.
E io vorrei guardare avanti
o tornare indietro
per sempre abbracciato
al tuo sorridere
e alla tua schiena di lacrime e sudore,
mamma.

La poesia è sostanziata dai colori di una relazione d’amore, quella tra madre e figlio, nella quale i particolari, i dettagli sono importanti, proprio perché non è una relazione anonima e superficiale, ma è una relazione che concerne la trasmissione della vita e del sentimento della vita.
Qui il silenzio, i gesti, il corpo sono comunicazione profonda. Quel sorriso, quelle lacrime e quel sudore condensano significati e storie, sono intrisi di dolcezza, fatica, tenerezza, nostalgia ferita, solitudine, disperazione, speranza.

È una poetica, quella di Pieluigi Lenzi, ove la leggerezza dell’alba si fonde con il peso dell’ombra, ove il vento porta pensieri e la parola è acqua gentile, ove la simmetria della bellezza si intreccia con i tormenti delle foglie sul cemento, con le linee storte che attraversano palmi e cuore, con l’immagine struggente di un girasole che non sa più dove sta la luce.
Se solo tu mi vedessi.

Dottore di ricerca, psicoterapeuta, psicologo, giudice onorario della Sezione Minorenni della Corte d’Appello di Roma.

Pierluigi Lenzi
Trentanovenne bolognese, dopo avere conseguito la maturità linguistica, si è laureato in Scienze dell’Educazione e successivamente in Linguistica Italiana, frequentando quindi a Torino un master biennale in Tecniche della Narrazione presso la Scuola Holden.
Nonostante sia stato colpito durante l’adolescenza da una malattia che lo ha reso gravemente disabile, si batte per vivere con la massima autonomia e lavora presso la Biblioteca Comunale di Granarolo dell’Emilia.
«Spirito libero e anticonformista – come di lui è stato scritto – Pierluigi ha uno sguardo di illuso disincanto e la sua tagliente ironia gli permette di descrivere con leggerezza il mondo. Come se fosse un palloncino».
Prima dell’attuale Se solo tu mi vedessi, aveva pubblicato nel 1998 Reminiscenza floreale al chiaro di luna (Piero Lacaita), nel 2007 Dissolvenza (Serra Tarantola) e nel 2015 Ti aspetterò alle otto (Gattomerlino).
A questo link ne è disponibile un ulteriore approfondimento biografico.

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