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Quando il fingere di non vedere diventa illegalità

Realizzazione grafica con la scritta "I Diritti non sono un 'costo'", pubblicata nel sito della Campagna "Sbilanciamoci!"

Una realizzazione grafica pubblicata qualche anno fa nel sito della Campagna “Sbilanciamoci!”

In questo scorcio d’estate due situazioni mi sono apparse convergenti su una mia precisa idea legata al tema della disabilità. La prima è stata offerta dal discorso del presidente della Repubblica Sergio Mattarella nel contesto della celebrazione dello scorso mese di giugno del VII Premio Ambrosoli, ove ha affermato che «ritrarsi dalle proprie responsabilità, fingere di non vedere, non è un comportamento neutrale: al contrario costituisce un obiettivo e concreto aiuto all’illegalità e a chi la coltiva».
Nell’àmbito del territorio siciliano è innegabile che in tema di disabilità il “fingere di non vedere” o di “non sapere”, ovvero di “non avere capito”, costituisce la regola. Ciò tanto da parte del singolo, ma, soprattutto, delle Pubbliche Amministrazioni. Questo “fingere”, infatti, è l’artifizio più diffuso, in Sicilia ma non solo, con il quale viene consumata ogni giorno l’illegalità nel campo dei diritti delle Persona con disabilità. Cosicché non vi è illegalità perpetrata in danno di una Persona con disabilità e/o di un suo familiare che non venga ricondotta al  fatto di “non avere saputo, di non avere visto o di non avere compreso”.
Gli esempi che potrebbero concretamente richiamarsi al riguardo sono infiniti e chiunque, attraverso un breve momento di riflessione, è certamente capace di individuare i diversi casi nei quali “il fingere” rappresenta l’unica risposta data alle necessità della Persona con disabilità.

L’altra circostanza, confluente con la precedente, mi è stata offerta dal saggio Ci salveremo di Ferruccio de Bortoli, editorialista del «Corriere della Sera», il cui sottotitolo, molto eloquente, è Appunti per una riscossa civica.
L’Autore dedica un capitolo di questa opera al Terzo Settore e riconosce a questo «esercito del bene» la capacità di «dare un futuro meno incerto, forse persino radioso, al nostro paese», finendo per affermare che se ci salveremo lo «dovremo ai nostri tanti connazionali che si occupano di chi ha più bisogno», che finiscono per formare un «capitale sociale» costituito dalle tante Associazioni, laiche e cattoliche, impegnate in molteplici attività solidali, che è così rilevante da costituire «uno straordinario ammortizzatore sociale» ed insieme una «piattaforma di economia condivisa con terreno fertile di iniziative imprenditoriali dove sostanzialmente si sperimentano i servizi ed i lavori del futuro». Ma soprattutto, conclude de Bortoli, questo esercito rappresenta «la base popolare sulla quale può innestarsi un movimento di riscatto civico».

Riportando sul piano concreto i due concetti delineati dalle due autorevoli personalità del nostro tempo (Capo dello Stato e Direttore de Bortoli), e combinando i princìpi da loro espressi, è possibile trarre le seguenti considerazioni righuardanti i modi con i quali in Sicilia e a Palermo vengono garantiti i diritti essenziali della Persona con disabilità e l’applicazione delle norme che li sovrintendono.
Declino quindi alcune tra le più importanti di quelle considerazioni, partendo, nello specifico, dal Piano Triennale a favore delle Persone con Disabilità della Regione Siciliana (Gazzetta Ufficiale della Regione Siciliana del 27 gennaio 2006), fortemente voluto da Salvatore Crispi, allora presidente del Coordinamento H per i Diritti delle Persone con Disabilità nella Regione Siciliana, ma mai concretamente applicato dall’Amministrazione Regionale. Eppoi, dalla Legge 328/00, che con l’articolo 14 ha affermato il diritto soggettivo delle Persone con disabilità ad avere un proprio progetto individuale socio-assistenziale. E ancora, la Legge Quadro 104/92, la Legge 18/09 di ratifica della Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità, la Legge 68/99 sul collocamento mirato delle Persone con disabilità, la Legge Regionale Siciliana 47/12, istitutiva dell’Autorità Garante della Persona disabile in Sicilia e chi più ne ha più ne metta.

Ebbene, nella nostra Isola, dopo un ventennio di torpore generalizzato della Pubblica Amministrazione e di “fingere di non sapere”, abbiamo già sperimentato e assistito ad una forma di  riscatto civico simile a quello ipotizzato da Ferruccio de Bortoli, mediante un movimento spontaneo da parte delle vittime di questa paradossale situazione, poi rafforzato da una convergente spinta delle Associazioni di persone con disabilità. Non una rivoluzione, ma una vera e propria azione di riscatto, volta a sollecitare e a cambiare in meglio le Istituzioni che hanno finalmente e “apertamente” preso atto dell’esistenza del problema assistenziale delle Persone con disabilità siciliane. Cosicché, solo nel 2017 – vale a dire a distanza di svariati decenni -, si è cominciato a parlare in Sicilia di assistenza continua per le Persone con disabilità grave e gravissima.
Ma nel Distretto Socio Sanitario di Palermo, il dato attuale continua ad essere fortemente scoraggiante. Oggi, infatti, risultano presentate presso gli Uffici del Comune di Palermo (dati forniti dall’Assessore alla Cittadinanza Sociale nel corso del recente Tavolo di Lavoro del 5 giugno, sul citato articolo 14 della Legge 328/00) circa 520 istanze volte ad ottenere il progetto individualizzato, delle quali solo 80 sono in corso di perfezionamento e molte di esse, tra l’altro, trovano riscontro in un ordine giudiziale.

Ora, se «fingere di non vedere è un atto di illegalità», dobbiamo auspicare, noi per primi (cittadini, istituzioni, associazioni ecc.), di cominciare ad avere piena consapevolezza del valore del citato corollario e dell’autorevolezza della persona che lo corrobora. Iniziando, ad esempio, a considerare “non legale” la disattenzione che viene mostrata verso le istanze rivolte dalle Persone con disabilità che richiedono la realizzazione di un loro specifico diritto soggettivo. Eppoi, non dobbiamo esitare a valutare questo “fingere” per quello che è, vale a dire un momento di inaccettabile discriminazione diretta o indiretta verso le persone con maggiore fragilità.
Esaltiamo, dunque, e facciamo nostra questa forte riflessione che ci proviene non dal semplice “uomo della strada”, ma dal nostro Capo dello Stato, Garante della Costituzione e del buon andamento della Pubblica Amministrazione. Seguendo questa strada ci porremo in linea con la qualificata analisi svolta dal direttore de Bortoli e, ove non fosse già iniziata, avvieremo anche quell’opera di salvataggio che, in termini molto positivi, prefigura il  giornalista nel suo saggio.

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