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Chiarezza normativa, innanzitutto

Particolare di bimbo a scuola che disegna con una matitaLeggo il 15 ottobre in «Superando.it» un articolo molto dettagliato, intitolato Si è considerato il bene della persona oppure si è discriminato?, concernente un caso di ammissione alla frequenza delle scuole superiori di un alunno con disabilità grave che non si era presentato agli esami.
Per rispondere correttamente all’interrogativo proposto dal titolo di quell’articolo, occorrerebbe innanzitutto verificare quale siano stati gli obiettivi del PEI (Piano Educativo Individualizzato) dell’alunno e se essi siano stati raggiunti.
Infatti, il Decreto Legislativo 62/17 (articolo 11, comma 3) stabilisce che l’alunno vada valutato appunto sulla base del suo Piano Educativo Individualizzato. Siccome il PEI deve essere formulato sulla base delle effettive capacità dell’alunno e non dei programmi ministeriali (Legge 104/92, articolo 16, comma 2), tutto sta verificare se un alunno abbia realizzato gli obiettivi indicati nel PEI che, ripeto, possono divergere dai programmi ministeriali. Qualora egli non raggiunga tali obiettivi, dovrà ripetere l’anno, come ha chiaramente stabilito l’Ordinanza del Consiglio di Giustizia Amministrativa della Sicilia n. 18 del 2019, che ha sospeso un precedente Sentenza del TAR Sicilia con la quale era stato confermato il giudizio di promozione dell’alunno. Tale Ordinanza ha evidenziato che qualora l’alunno non raggiunga gli obiettivi del suo PEI o nel caso in cui lo stesso PEI non sia formulato in modo corretto con l’indicazione degli obiettivi, delle strategie didattiche per perseguirli e dei criteri di valutazione, la promozione dell’alunno è illegittima ed egli deve ripetere l’anno.

Alla luce, dunque, di quell’Ordinanza – ottenuta grazie alla competenza di Gianfranco De Robertis, avvocato dell’ANFFAS nazionale – nel caso oggetto dell’articolo occorre verificare se siano stati chiaramente indicati gli obiettivi del PEI, anche se molto diversi da quelli delle indicazioni nazionali ministeriali, e se l’alunno li abbia raggiunti oppure no.
Qualora alle due domande si debba dare risposta positiva, la richiesta di ripetenza non può essere accolta.
Quanto poi alla denuncia che il preside abbia deciso la promozione dell’alunno, qui a far chiarezza soccorre l’articolo 11, comma 6 del citato Decreto Legislativo 62/17 il quale ha stabilito – con norma fortemente innovativa – che qualora un alunno con disabilità sia stato ammesso agli esami, ma non si presenti agli stessi, non viene considerato bocciato e quindi ripetente, come avveniva sino all’entrata in vigore di tale norma, ma riceve un attestato con i crediti formativi maturati che è titolo idoneo per l’iscrizione alle scuole superiori.
Pertanto ha errato la famiglia a non far presentare l’alunno agli esami; avrebbe infatti dovuto farlo presentare e la commissione avrebbe dovuto decidere se confermare il giudizio di ammissione con la promozione oppure non confermarlo bocciando l’alunno. La mancata presentazione, quindi, impone automaticamente alla commissione di rilasciare l’attestato all’alunno che non si presenta.
In tal modo, non ha alcuna colpa il preside e neppure la commissione se hanno dovuto rispettare una norma di rango legislativo che probabilmente la famiglia non conosceva o che non era conosciuta da chi ha suggerito ai genitori di non far presentare l’alunno.

Torniamo alla domanda contenuta nel titolo dell’articolo di «Superando.it»: “Si è considerato il bene della persona oppure si è discriminato?”. Ebbene, se le cose stanno come ho cercato di interpretarle, il bene dell’alunno non consisteva nel fargli ripetere la terza media fino a quando non avesse raggiunto gli obiettivi fissati dalle indicazioni nazionali ministeriali, ma quello di consentirgli, secondo le sue capacità, la realizzazione del diritto allo studio anche nelle scuole superiori, che è una conquista ottenuta con la Sentenza della Corte Costituzionale 215/87.
Conseguentemente non può dirsi che l’alunno sia stato discriminato, dal momento che la discriminazione – come stabilisce la Legge 67/06, consiste nel trattare un alunno con disabilità in modo peggiorativo rispetto ai compagni senza disabilità che si trovino nella stessa situazione. Nel caso di specie, l’alunno – qualora, ripeto, abbia raggiunto gli obiettivi del suo PEI – è stato trattato come i compagni senza disabilità che raggiungono gli obiettivi delle indicazioni nazionali ministeriali.
Spero di avere contribuito a chiarire la vicenda e comunque è sempre gradito un ulteriore contraddittorio.

Presidente nazionale del Comitato dei Garanti della FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap), della quale è stato vicepresidente nazionale. Responsabile per l’Area Normativo-Giuridica dell’Osservatorio sull’Integrazione Scolastica dell’AIPD (Associazione Italiana Persone Down).

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