I diritti degli studenti caregiver familiari (e quelli di tutti i caregiver)

«Fino a poche settimane fa – scrive Alessandra Corradi -, dei diritti degli studenti caregiver familiari non parlava nessun organo d’informazione. Poi, grazie alla studentessa Erika Borellini, la problematica della figura del caregiver familiare, in quanto studente, è emersa con la forza e la genuinità che solo la giovinezza rende. In poche settimane Erika è riuscita ad ottenere molto di più che comitati e organismi vari in oltre vent’anni anni di dialogo e interazione con le Istituzioni, per arrivare a una legge che riconosca la figura del caregiver come lavoratore. Proviamo a capire perché»

Erika Borellini

La venticinquenne studentessa Erika Borellini assiste da sei anni la madre con disabilità

Fino a poche settimane fa, dei diritti degli studenti caregiver familiari non parlava nessun organo d’informazione. Solo ogni tanto, nell’arco dell’ultimo quinquennio, era uscito qualche sporadico articolo, sulla stampa specializzata, però, di àmbito sanitario o sociale.
Poi, grazie a una studentessa, Erika Borellini di Carpi (Modena), la problematica della figura del caregiver familiare, in quanto studente, è emersa con la forza e la genuinità che solo la giovinezza rende.

Erika ha iniziato a scrivere ai giornali, ha avviato una petizione (che ha già oltrepassato le 110.000 adesioni) e velocemente è stata raggiunta dalle e-mail di centinaia di altri colleghi studenti di altri Atenei di tutta Italia.
Essendo sbarcata anche in TV, grazie a Raiuno, a un servizio della trasmissione Le iene e ad altre emittenti locali, è riuscita ad arrivare persino al ministro dell’Istruzione Lorenzo Fioramonti, che in una registrazione video messa in onda dalla RAI , ha dichiarato che gli studenti caregiver devono essere equiparati agli studenti lavoratori e che avrebbe lavorato per questo insieme al Rettore dell’Università di Modena e Reggio Emilia, dove Erika vorrebbe proseguire negli studi accedendo alla laurea specialistica.
È di questi giorni la notizia che Patrizio Bianchi, assessore regionale all’Istruzione dell’Emilia Romagna ha dichiarato di schierarsi a fianco di Erika, per rendere possibile questa equiparazione, dato che poi l’Emilia Romagna già dal 2014 ha una Legge Regionale per i caregiver.

A questo punto un breve inciso è d’obbligo: è giusto sapere che ormai da vent’anni e più esiste tutta una storia che ha portato alla produzione di svariati Disegni di Legge, nel corso di queste ultime due Legislature, perché si arrivasse a una Legge dello Stato Italiano che riconoscesse – come succede da anni in altri Stati Europei – il caregiver familiare come lavoratore e quindi beneficiario di tutti i benefit e le tutele, nonché degli obblighi che questo status professionale imporrebbe. Attualmente i lavori al Senato sono fermi presso l’XI Commissione Permanente di Palazzo Madama [vi è in discussione un testo di legge che ha unificato varie proposte precedenti, il Disegno di Legge S.1461, “Disposizioni per il riconoscimento ed il sostegno del caregiver familiare”, N.d.R.].
La considerazione che viene in automatico è che in poche settimane Erika è riuscita ad ottenere molto di più che comitati e organismi vari in oltre vent’anni anni di dialogo e interazione con le Istituzioni.

Interessanti sono le riflessioni che si possono elaborare al riguardo, uno su tutti è che i caregiver familiari, che assommano a quasi 9 milioni di persone in Italia, comprendono età e tipologie diverse, cioè un caregiver è legato da una relazione di parentela e quindi può essere figlio, coniuge, fratello genitore, cugino, cognato ecc., rispetto alla persona di cui si prende cura.
La differenza anagrafica segna anche una differenza culturale, per cui le reazioni e gli approcci alla propria condizione e quindi le azioni che si mettono in campo sono diverse, condizionate poi anche dalle skill [“abilità”, N.d.R.] culturali: Erika è una studentessa di ingegneria, del 2019, mentre la maggior parte dei caregiver non è laureata e ha un’età alta, è donna, ha rinunciato a un’eventuale carriera lavorativa e, spesso, non ha proprio consapevolezza della propria condizione, poiché i caregiver familiari sono “invisibili”, non fanno rumore e nessuno realmente si fa carico delle loro istanze a livello istituzionale, anche a livello delle realtà comunali.
Tantissimi caregiver, inoltre, ignorano che esiste una legge in divenire, un movimento, dei diritti da rivendicare ecc. ecc. ecc.
Infine: essendo il caregiving un’attività usurante e a rischio altissimo di burn out, specie in quelle situazioni di estrema gravità e dove sono assenti tutti gli interventi assistivi/di sollievo, con il caregiver che è solo anche socialmente, egli non possiede proprio la forza di intraprendere alcuna iniziativa, indipendentemente dall’età, perché ogni sua energia è risucchiata dall’attività di cura.

Quindi, tornando alla vicenda di Erika e degli studenti universitari italiani, che sono anche caregiver, sollecitiamo intanto una presa di coscienza in generale e in particolare una reazione a livello di Magnifici Rettori, Organi Collegiali e rappresentanti degli Studenti, che si facciano carico realmente e in concreto di questa tematica andando a variare le norme degli Atenei. Il ministro Fioramonti, del resto, è ampiamente informato e coinvolto, come detto.
Chi ha a cuore il problema e sia studente caregiver, può mettersi anche in contatto con la nostra Associazione (genitoritosti@yahoo.it).

Presidente dell’Associazione Genitori Tosti in Tutti i Posti.

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