Era una sera di maggio, nella piccola cappelletta, nella piazzetta antistante casa. Le candele accese cominciavano a consumarsi in attesa delle donne per il Rosario Mariano. Noi giocavamo a nascondino, a rialzo, a mosca cieca. Cieco era anche il signor “Giglio”. Lo chiamavano così perché aveva fatto il rappresentante del primo burro in commercio in una valle di contadini. Un giorno, con mio padre, mi recai a casa sua. Lo osservavo in silenzio, seduto sulla sua comoda ottomana. Aveva uno strano modo di atteggiare la testa e di muoversi. Le mani accarezzavano ogni cosa. Tornato a casa, provai a girare per la cucina con gli occhi chiusi. Misi la legna nella stufa. Mi scottai.
Molti anni dopo conobbi Carletto, che lavorava al centralino del Comune di Lecco, rispondendo sempre con tono allegro e accogliente. Era cieco. Ci incontrammo spesso, lui come Presidente di un’Associazione, io come responsabile del Collocamento Disabili. Insieme riuscimmo ad affrontare i problemi di lavoro dei nostri rispettivi iscritti.
Per persone non vedenti, va ricordato, si intendono coloro che sono portatori di cecità o che abbiano un residuo visivo non superiore ad un decimo ad entrambi gli occhi. Le persone cieche avevano avuto in passato quote di riserva di posti di lavoro e disponibilità di mansioni specifiche. Le norme in materia prevedevano infatti il diritto ad essere assunti come centralinisti, masso-fisioterapisti, massaggiatori, terapisti della riabilitazione in imprese pubbliche e private.
La Legge 68/99 (Norme per il diritto al lavoro dei disabili) ha confermato tale situazione, cosicché i primi Anni Duemila sono passati senza grosse difficoltà, permettendoci di trovare un posto adeguato per tutti. Poi, però, hanno incominciato a scomparire le mansioni tradizionali e ad aumentare le richieste di competenze linguistiche e informatiche, facendo dunque nascere nuove possibilità occupazionali, ma scarsamente utilizzate e conosciute dai soggetti sociali interessati al collocamento delle persone non vedenti.
A questa mancata conoscenza delle mansioni adatte e disponibili, si è accompagnata poi la “storica” diffidenza degli imprenditori, trincerati dietro l’assenza di mansioni e tecnologie adeguate per poter accogliere quelle persone in azienda. Paventavano rischi infortunistici dovuti all’inadeguatezza dell’ambiente di lavoro, poco sicuro per persone con deficit sensoriali, oltre alla mancanza di strutture utili alla formazione.
A quel punto il mercato del lavoro e l’evoluzione tecnologica mi hanno insegnato che era necessario un monitoraggio costante dei cambiamenti in atto, per poter anticipare le richieste. Non conoscere, infatti, e non comprendere le trasformazioni del mondo del lavoro significa esporre le persone con disabilità al rischio di essere penalizzate dalla perdita di mansioni tradizionali e al contempo di non approfittare affatto delle nuove opportunità.
Per uscire da questa incresciosa contraddizione, che relega delle persone con un buon potenziale lavorativo a soggetti marginali ed emarginati dal mercato del lavoro, è necessario conoscere le trasformazioni in essere nel mondo del lavoro. La crisi economica e la tecnologia hanno favorito infatti lo sviluppo di un diverso modo di concepire l’organizzazione del lavoro e si tratta di un processo di trasformazione tuttora in essere, che porterà ad una maggiore autonomia dei lavoratori dipendenti e al superamento delle rigidità contrattuali rispetto al luogo, all’orario di lavoro e anche al rapporto interpersonale con i colleghi e le gerarchie aziendali.
In tal senso, il superamento e la trasformazione delle mansioni ordinarie interne alle imprese pubbliche e private continuano a generare ansia, ma possono essere ampiamente compensate da nuove mansioni e da nuovi modi di lavorare. Tutto questo, unito alla tecnologia e ai progressi delle scienze tiflologiche, potrebbe facilitare l’occupazione delle persone cieche e ipovedenti [la tiflologia è la scienza che studia le condizioni e le problematiche delle persone con disabilità visiva, al fine di indicare soluzioni per attuare la loro piena integrazione sociale e culturale, N.d.R.].
Concordo con Nicola Stilla, presidente dell’UICI Lombardia (Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti), quando dichiara che «l’istruzione rappresenta il primo fondamentale passo lungo il percorso che potrebbe portare ad una vera inclusione sociale». È infatti attraverso percorsi scolastici e formativi che si possono preparare operatori informatici in grado di utilizzare programmi gestionali avanzati, gestire servizi online o telefonici, svolgere attività varie di back-office, di telemarketing e così via. Nuove professioni, mansioni e modi di lavorare, adatti a chi vuole essere connesso al mondo del lavoro, nonostante le difficoltà di spostamento.
Dopo una formazione in aula, però, sarebbe opportuno creare degli àmbiti collettivi di formazione in situazione, al fine di perfezionare gli apprendimenti teorici attraverso un’esperienza pratica in un’azienda disponibile, come già si sta facendo per altre categorie di persone con disabilità.
In Lombardia, in particolare, è possibile ricorrere alla buona prassi definita “Isola Formativa”, attraverso la promozione di startup e cooperative sociali di tipo B. Per chi invece presenta una pluralità di disabilità, sarebbe opportuno avvalersi delle convenzioni di cui all’articolo14 del Decreto Legislativo 276/03, mentre per le situazione più gravi, nelle Province di Lecco e Bergamo si può ricorrere alla buona prassi definita “Adozione Lavorativa a Distanza”.
Nei due decenni passati dalla Legge 68/99 le norme sono state aggiornate, e tuttavia non è sortito nulla di nuovo. Il Collocamento Disabili ha continuato a “subire i ciechi” come una categoria difficilmente collocabile. Sempre più mi sto convincendo che solo l’iniziativa dei diretti interessati e di chi li rappresenta può sbloccare un sistema del collocamento oramai arenato, e incapace di gestire il nuovo che avanza nel mondo del lavoro, insieme alle disponibilità di posti di lavoro negli enti pubblici economici e non, nelle banche, nelle compagnie telefoniche e nelle imprese ICT (Tecnologie della Comunicazione e dell’Informazione).
Un approccio adeguato e una corretta azione di marketing sociale evidenzierebbe l’insufficienza di persone cieche per assolvere agli obblighi di legge.
Ognuno è artefice del proprio futuro, indipendente dal suo volere. Le Associazioni devono farsi interpreti di questo principio e dare struttura alle probabilità e possibilità dei loro Associati. Devono imporre un’organizzazione e una gestione diversa del collocamento. Ma per ottenere risultati positivi, è necessario invertire il paradigma: non partire cioè dalla persona con disabilità, ma dall’azienda, dai suoi bisogni di assolvere agli obblighi di legge e dalla necessità di avere lavoratori da adibire alle normali mansioni aziendali. Infatti, solo partendo dai bisogni dell’altro e usando il suo linguaggio è possibile essere ascoltati.
Vivere nel mondo del lavoro e nel suo costante e rapido mutare, intercettarne le esigenze e comprendere come fonderle con i bisogni delle persone con disabilità: è questa l’“arte del collocamento mirato”, ciò che vale non solo per il collocamento al lavoro delle persone cieche o ipovedenti, ma per tutte le persone con disabilità, così come per tutti coloro che sono disoccupati.