Né promuovere per “cacciare”, né bocciare per “parcheggiare”

«Questa ripresa dell’iniziativa ministeriale fa ben sperare per un rilancio qualitativo delle politiche inclusive»: lo scrive Salvatore Nocera, concludendo la propria riflessione dedicata a diversi temi, tra cui in particolare una recente norma contenuta nella Legge di conversione del cosiddetto “Decreto Scuola”, riguardante la reiscrizione degli alunni con disabilità al medesimo anno scolastico, e i successivi chiarimenti del Ministero, ma anche il pregiudizio duro a morire, secondo cui tutte le persone con disabilità, indistintamente, necessiterebbero di maggiori benefìci

«Non si deve promuovere per cacciare»: in questo modo avevo sostanzialmente commentato lo scorso anno su queste stesse pagine un’Ordinanza del Consiglio di Giustizia Amministrativa della Sicilia che aveva giustamente annullato la promozione di un ragazzino con disabilità di terza media effettuata a cuor leggero da un Consiglio di Classe, senza avere seriamente verificato se l’alunno avesse raggiunto gli obiettivi del suo PEI (Piano Educativo Individualizzato). Era evidente che scopo della promozione fosse solo quello di licenziare l’alunno per farlo andare via dalla scuola media e liberarsi dagli obblighi didattici che non erano stati correttamente assolti. Ora, però, in presenza di un emendamento approvato il 28 maggio scorso dal Senato in sede di conversione del Decreto Legge 22/20, il cosiddetto “Decreto Scuola”, divenuto appunto il 6 giugno la Legge 41/20, entrata in vigore due giorni dopo, sono costretto a dire che «non si deve nemmeno bocciare per parcheggiare»!
Infatti, l’articolo 1, comma 4-ter della Legge 41/20 così recita testualmente: «Limitatamente all’anno scolastico 2019/2020, per sopravvenute condizioni correlate alla situazione epidemiologica da COVID-19, i dirigenti scolastici, sulla base di specifiche e motivate richieste da parte delle famiglie degli alunni con disabilità, sentiti i consigli di classe e acquisito il parere del Gruppo di lavoro operativo per l’inclusione a livello di istituzione scolastica, valutano l’opportunità di consentire la reiscrizione dell’alunno al medesimo anno di corso frequentato nel- l’anno scolastico 2019/2020 ai sensi dell’articolo 14, comma 1, lettera c), della legge 5 febbraio 1992, n. 104, limitatamente ai casi in cui sia stato accertato e verbalizzato il mancato conseguimento degli obiettivi didattici e inclusivi per l’autonomia, stabiliti nel piano educativo individualizzato».

A parte che con tale formulazione si spoglia il GLO (Gruppo di Lavoro Operativo) – di cui all’articolo 9, comma 10 del Decreto Legislativo 66/17 sull’inclusione e successive modificazioni – del potere di formulare proposte al Consiglio di Classe che ha da sempre per legge il compito della valutazione, qui si sfrutta disinvoltamente la pandemia del coronavirus per ottenere risultati in contrasto con la cultura e la normativa inclusiva operante in Italia da oltre sessant’anni. Infatti, l’autore dell’emendamento, il senatore Davide Faraone, ha dichiarato in questi giorni di avere fatto approvare una norma fortemente voluta dalle famiglie degli alunni con disabilità e da lui ritenuta come «un’opportunità». Personalmente, invece, ritengo disastrosa tale nuova norma, perché questa è una visione di mero “parcheggio”, che purtroppo molte, troppe, famiglie hanno ritenuto come positiva, a causa dell’insicurezza sui problemi che l’alunno potrebbe trovare nel nuovo grado di scuola.

La spinta delle famiglie a fare approvare tale norma è il frutto della mancata conoscenza del loro diritto ad avere un progetto di vita serio e di qualità, promosso, a loro richiesta, dal Sindaco con la collaborazione degli Enti pubblici, privati e del privato sociale, dalla scuola e dalla famiglia stessa, il tutto garantito dall’articolo 14 della Legge 328/00, richiamato nell’articolo 6 del citato Decreto Legislativo 66/17.
Terrorizzate dall’incertezza del futuro successivo alla scuola, privo di progetti, le famiglie hanno preferito quindi far permanere gli alunni con disabilità nella scuola, che è l’unica istituzione la quale sino ad oggi ha garantito l’accoglienza e quasi sempre in modo ottimale l’apprendimento, l’educazione e l’istruzione di questi alunni. E non è servita la campagna informativa fatta da docenti e associazioni per far comprendere la necessità dell’importanza di attraversare i vari gradi di scuola possibilmente con i compagni della stessa classe, ciò che costituisce un forte elemento di socializzazione e crescita di tutti gli alunni nel campo «degli apprendimenti, della comunicazione, della socializzazione e delle relazioni», come magistralmente recita l’articolo 12, comma 3 della Legge 104/92 sui diritti delle persone con disabilità. Né è servito nemmeno l’impegno di organizzazioni come l’ANFFAS (Associazione Nazionale Famiglie di Persone con Disabilità Intellettiva e/o Relazionale), che specie negli ultimi anni hanno ottenuto, grazie all’avvocato Gianfranco de Robertis, alcune Sentenze sull’obbligo dei Comuni di attuare il progetto di vita, ottenendo altresì, in caso di inerzia dei Comuni stessi, la nomina dei Prefetti quali “commissari ad acta”, per sostituirsi ai Sindaci renitenti sull’attuazione di tali progetti.
E ancora, Associazioni come l’ABC Sardegna (Associazione Bambini Cerebrolesi) hanno da anni fatto realizzare migliaia di progetti di vita, addirittura con budget personalizzati, concordati con le singole famiglie e anche l’AIPD (Associazione Italiana Persone Down) organizza da anni corsi per abituare i ragazzi e ragazze con tale sindrome alla vita autonoma, riuscendo in tal modo a favorire l’inclusione lavorativa di molti giovani.
Invece, molte altre famiglie, più che seguire questa strada difficile e faticosa, sentendosi sole e abbandonate da associazioni e politici competenti nel campo dell’inclusione, sono costrette a lasciarsi prendere dallo scoraggiamento e a scegliere ripiegamenti regressivi come quello realizzato con l’emendamento discriminatorio di cui sopra, ora divenuto legge.

Che tale norma di legge sia discriminatoria è provato non solo dal fatto che questi ragazzi ripeteranno l’anno, perdendo il contatto con compagni e i docenti, ma anche dal fatto che il Consiglio Superiore della Pubblica Istruzione aveva già rifiutato di dare parere favorevole all’emendamento, come espressamente si può leggere in calce ai preamboli delle tre Ordinanze Ministeriali 9/20 (esami della scuola secondaria di primo grado), 10/20 (esami della scuola secondaria di secondo grado) e 11/20 (valutazione degli alunni delle scuole di ogni ordine e grado), emanate il 16 maggio scorso, in attuazione del Decreto Legge 22/20, quasi a ridosso dell’approvazione dell’emendamento. In quelle Ordinanze, infatti, al termine del preambolo, dopo tutti i “visti” e i “considerati”, si dice di «non poter accogliere la richiesta di bocciare gli alunni con disabilità», perché sarebbe «discriminatorio» nei loro confronti rispetto ai compagni senza disabilità.
La medesima norma, inoltre è a mio avviso censurabile anche sotto il profilo della legittimità costituzionale: perché infatti un tale beneficio è stato riconosciuto solo agli alunni con disabilità che non hanno avuto la possibilità di colmare eventuali lacune e non hanno potuto completare i programmi ministeriali a causa della didattica in presenza, sospesa a seguito del coronavirus? Lo stesso problema non lo hanno anche i compagni senza disabilità? Essi non sono dunque discriminati rispetto agli alunni con disabilità che possono ripetere l’anno? E tutto questo “pasticcio”, quindi, non è, oltre che lesivo dei valori dell’inclusione, anche in contrasto con l’articolo 3 della Costituzione?
Perché gli esperti interni ed esterni cui la Ministra dell’Istruzione si sarà rivolta, in quanto nominati nell’apposita “Commissione”, non hanno fatto presente che tale emendamento presentato a fine maggio in modo del tutto imprevisto, scompagina la tempistica per la formulazione dell’organico di diritto e condiziona pure l’organico di fatto?

In ogni caso il Parlamento ha accettato l’emendamento del senatore Faraone nel quale si subordina la possibilità alla dimostrazione che «non siano stati raggiunti gli obiettivi dei Piani Educativi Individualizzati (PEI)». Questa motivazione, in effetti, è presente in alcune corrette Sentenze della Magistratura, ma qui appare proprio come la classica “foglia di fico”, usata per nascondere l’impudicizia di un’assurdità giuridica. Infatti, con la scusa del coronavirus, è facilissimo dimostrare e “verbalizzare” (perché è il vero, senza incorrere nel reato di falso) che gli obiettivi del PEI non sono stati raggiunti, dal momento che anche se il PEI fosse stato rimodulato, come stabilito in una delle “norme alluvionali” piovute sull’Italia, sarebbe facilissimo dimostrare che anche questi recentissimi obiettivi non sono stati raggiunti a causa dell’interruzione improvvisa della didattica e in presenza del fallimento comprovato della didattica a distanza per gli alunni con disabilità.

E infine, la “ciliegina sulla torta” è stata posta con la citazione nel testo di legge dell’articolo 14, comma 1, lettera c della Legge 104/92, secondo il quale gli alunni con disabilità possono adempiere all’obbligo scolastico sino al compimento del diciottesimo anno di età, «anche con una terza ripetenza».
Per raggiungere l’auspicato obiettivo della ripetenza, la norma non prevede l’obbligo di alcuna motivazione. Quindi, anche se vi fosse un Consiglio di Classe che avanzasse delle obiezioni con un parere negativo, il Preside, stressato dalle richieste, potrebbe giustificare il proprio dissenso dai pareri contrari, appellandosi appunto al citato articolo 14. E ciò avrebbe potuto portare alla dichiarazione da parte di vari psicologi, tramite certificazione medica, che gli alunni non sono stati in grado di raggiungere gli obiettivi del loro PEI, perché fortemente turbati dalle novità introdotte dalla didattica a distanza. In tal modo la nuova norma avrebbe potuto essere di fatto applicata in modo automatico.

Invero è da supporre che questo provvedimento sia stato voluto appena sono state approvate, in attuazione dell’articolo 1, comma 1 del Decreto 22/20, le citate Ordinanze Ministeriali 9/20, 10/20 e 11/20, la prima delle quali autorizzava l’ammissione agli esami di licenza media per tutti gli alunni con qualunque voto e la seconda per quelli di quinta superiore, mentre la terza dichiarava promossi alla classe successiva, con qualunque voto, tutti gli alunni delle scuole di ogni ordine e grado, salvo l’obbligo di recupero e di integrazione all’inizio del nuovo anno scolastico. Per contrapposizione, dunque, a tali norme estremamente permissive, il senatore Faraone, facendosi portavoce dei timori di molte famiglie di alunni con disabilità, ha proposto l’emendamento estremamente restrittivo, poi divenuto Legge. Nessuno dei Parlamentari, però, si è reso conto che era stata creata in tal modo una discriminazione nei confronti degli alunni con disabilità, che potevano ripetere l’anno a differenza dei loro colleghi senza disabilità, i quali invece, senza perdere l’anno, avranno il diritto di recuperare a settembre quanto non svolto a partire da marzo a causa del coronavirus.
E perché questa differenza? «A pensar male, si fa peccato, ma spesso si indovina», diceva un noto politico italiano. Debbo supporre che tale emendamento discriminatorio, nella mente dei proponenti, discriminatorio non fosse affatto; probabilmente essi hanno voluto questa norma per una particolare attenzione agli alunni con disabilità ritenuti “più fragili” dei compagni senza disabilità. Ed è questa una speciale attenzione riscontrata esplicitamente anche nella motivazione data dal Ministero dell’Interno a una lettera di protesta contro il paragrafo n. 1.8 del Protocollo fra CEI e Governo italiano del 7 maggio scorso, per la celebrazione in chiesa delle Messe,in cui è scritto che i fedeli cattolici con disabilità seguiranno le messe «in posto apposito», cioè “separato dagli altri”[se ne legga ampiamente anche su queste pagine, N.d.R.].
Ciò che turba è il fatto che non ci si rende conto che la “discriminazione” nei nostri confronti non si ha solo quando si trattano le persone con disabilità peggio delle altre in situazioni uguali, ma anche quando si crede di trattarle con maggior riguardo e attenzione in situazioni analoghe, ritenendole, erroneamente e senza valide motivazioni scientifiche e pedagogiche, che necessitino di essere maggiormente difese. Questo modo di pensare è frutto di un pregiudizio duro a morire, secondo il quale per definizione “tutte” le persone con disabilità sono ugualmente bisognose di maggiori benefìci per colmare le loro deficienze rispetto a quelle senza disabilità. Ora, la Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità, divenuta nel 2009 la Legge dello Stato Italiano 18/09, ripetutamente ribadisce che è discriminazione trattare le persone con disabilità, intese come una categoria indistinta, in modo diverso dalle altre. per il solo fatto della loro disabilità. E questo è purtroppo avvenuto sia con il protocollo citato che con questa norma di legge.
C’è un’enorme differenza, come risulta da quanto dichiarato su queste pagine ad esempio da Giampiero Griffo, tra «persone rese vulnerabili» e persone ritenute erroneamente vulnerabili. Infatti gli alunni con disabilità sono stati resi vulnerabili agli apprendimenti dalla didattica a distanza, ma sono stati ritenuti tali in modo assoluto, al punto da non consentir loro i corsi di recupero, come a tutti i compagni, e i programmi integrativi di apprendimento, ma solo la bocciatura come unico rimedio riparatorio.

Fortunatamente il Ministero, con la Nota 793/20 dell’8 giugno, pubblicata in contemporanea con l’entrata in vigore della Legge 41/20, ha interpretato correttamente in modo restrittivo la norma, come espressamente chiarito nel commento dell’Osservatorio Scolastico dell’AIPD pubblicato anche da questo giornale. Tale Nota, infatti, ha stabilito che il provvedimento non si applichi agli alunni di terza media e di quinta superiore, ammessi per legge a sostenere gli esami. In tal senso, per il Ministero la norma dell’articolo 1, comma 4-ter della Legge 41/20 è «eccezionale», in quanto la Legge si sostituisce alla valutazione che è compito dei docenti, ma ciò può valere solo per gli alunni delle classi diverse da quelle di esame, poiché dopo l’ammissione agli esami riemerge il potere valutativo delle Commissioni e la Legge non può comprimerlo, pena la vanificazione del significato degli esami medesimi che sono Esami di Stato previsti da una precisa norma della Costituzione.
Il Ministero ha stabilito inoltre che questa norma eccezionale non si applichi agli alunni della scuola dell’infanzia perché in essa non si opera alcuna valutazione sul profitto. Come quindi viene detto correttamente nel commento proposto dall’Osservatorio Scolastico dell’AIPD, la norma «eccezionale» della Legge 41/20 è stata «scritta male» perché avrebbe dovuto al contrario favorire la ripetenza degli alunni delle classi di esame, per i quali non è previsto nessun recupero e non invece favorire le ripetenze nelle altre classi, causando così una perdita di continuità della socializzazione con i compagni, aspetto fondamentale, come detto, dell’inclusione scolastica.

In ogni caso, per le famiglie che vorranno avvalersi di questa norma errata, il danno è fatto e fortunatamente per il prossimo futuro ci si augura che provvedimenti simili non abbiano a ripetersi. Anzi, il Ministero dell’Istruzione, accogliendo le forti richieste delle Associazioni componenti l’Osservatorio Permanente sull’Inclusione Scolastica, al termine delle riunioni del 10 e 11 giugno scorsi [se ne legga anche sulle nostre pagine, N.d.R.] ha diramato una Nota con la quale si dispone che i Dirigenti Scolastici riuniscano entro e non oltre il 30 giugno prossimo i Gruppi di Lavoro Operativi per la formulazione del PEI provvisorio di cui all’articolo 7 del Decreto Legislativo 66/17, contenente la richiesta del numero di ore di sostegno e di assistenza da richiedere per settembre, oltreché per riformulare gli obiettivi degli stessi PEI, con la previsione dei Piani Integrati di Apprendimento da svolgersi all’inizio del nuovo anno scolastico.
In parallelo, e con notevole tempistica, il Capo della Segreteria Tecnica della Ministra ha diffuso una comunicazione a tutti i membri dell’Osservatorio sull’Inclusione, preannunciando la prosecuzione e la chiusura nel più breve tempo possibile dei lavori per l’emanazione dei provvedimenti applicativi di tutti gli articoli dello stesso Decreto 66/17, come integrato dal Decreto Legislativo 96/19, in dialogo continuo con i Membri dell’Osservatorio.
Questa ripresa dell’iniziativa ministeriale colma il vuoto degli ultimi anni, riduce di molto il disagio creatosi con il consenso dato all’emendamento proposto dal senatore Faraone e fa ben sperare per un rilancio qualitativo delle politiche inclusive.

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