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La “fortuna” di avere un partner e le narrazioni tossiche su amore e disabilità

Oriella Orazi, "Cigni in amore"

Oriella Orazi, “Cigni in amore”

Le persone disabili sono spesso sottovalutate e oggetto di basse aspettative, soprattutto quando si tratta di disabilità percepite come significative. È una visione distorta che ha spesso effetti anche su chi è amico/a, partner e familiare di una persona disabile, insomma in generale sui loro affetti, che vengono celebrati. I genitori diventano «poveri genitori che si sacrificano», fratelli e sorelle vengono dipinti come «tanto cari a passare del tempo insieme al loro familiare disabile» e le amicizie vengono scambiate per generosità e volontariato.
Questo tipo di narrazione è ancora più spiccata quando si tratta di partner (non disabili), dato che nella nostra società le relazioni romantiche di coppia occupano un gradino più alto rispetto agli altri tipi di relazioni. Compagni, mariti, mogli delle persone disabili visti attraverso le lenti dell’abilismo diventano persone eccezionali, generose e degne di ammirazione. È un’esperienza comune dei partner senza disabilità sentirsi dire che sono delle «brave persone» per stare con una persona disabile. Le persone con disabilità che sono loro partner, invece, si sentono definire «fortunate» ad avere trovato un partner che «va oltre l’aspetto fisico» (espressione che esplicita che la disabilità è ritenuta qualcosa che rende non attraenti, o che impedisce una componente fisica nella relazione).
Sono reazioni che tradiscono la prospettiva secondo cui amare una persona disabile è un atto di carità e farci sesso è una cosa strana.

Non è poi raro un interesse morboso su come le persone disabili fanno sesso: una domanda diffusa soprattutto nei confronti di chi usa una carrozzina, tanto che viene da chiedersi se alcune persone credano che chi usa una carrozzina ci viva incollato/a sopra ventiquattr’ore su ventiquattro.
Capita anche che si associ automaticamente a una relazione con una persona disabile il «doversi occupare di lei». Da una parte non si concepisce che esistono vari strumenti per essere autonomi e indipendenti, ma soprattutto si dà un’accezione per forza negativa al caregiving (il prendersi cura) nei confronti di una persona disabile da parte del partner abile (non dimentichiamo che c’è anche chi per scelta si fa assistere dal proprio partner).
Un’idea abbastanza diffusa sembra essere che queste relazioni siano a senso unico, che siano relazioni all’interno delle quali la persona disabile si limita a prendere e la persona non disabile è l’unica che dà.

Non è difficile comprendere l’idea di disabilità che è alla base di questo tipo di narrazione. La svalutazione delle persone disabili nella società è talmente normalizzata che sceglierne una come partner diventa una cosa “strana”, ed è chiaro che fare i complimenti a qualcuno perché sta con una persona disabile palesa il pregiudizio per cui le persone disabili sarebbero pessime scelte di partner.
Addirittura vengono scritti articoli di giornale e realizzati servizi televisivi “al glucosio” sui matrimoni e le storie d’amore tra persone disabili e non. Espressioni come «questo amore così speciale», e «coppia oltre i limiti» raccontano queste relazioni come eccezionali e singolari.
Le coppie interabled (così sono definite in inglese quelle formate da una persona disabile e una non disabile) si trovano di fronte a uno stigma che ricorda tempi non così lontani (spesso per niente lontani) di stigma verso le coppie interrazziali. E queste offese mascherate da complimenti secondo cui chi è disabile dovrebbe essere grato di avere un partner non disabile sono fastidiose e dolorose da sentire, soprattutto per chi assiste alla svalutazione della persona amata.
È un tipo di narrazione che può anche avere conseguenze attivamente pericolose in una società dove il rischio di subire violenze per le donne disabili è doppio rispetto alle donne non disabili (e non dimentichiamo che, mentre ci sono studi soprattutto sulle donne disabili in ottica di violenza di genere, sono persone disabili di qualsiasi genere a poter essere oggetto di violenze e abusi su base abilista).

Mettere su un piedistallo o trattare a mo’ di eroe chi ha relazioni con persone disabili crea una trappola in cui possono cadere le stesse persone disabili. Specialmente se interviene l’abilismo interiorizzato a dir loro che in quanto persone disabili hanno meno valore, sono meno desiderabili, complicano la vita degli altri e sono in qualche modo “difettose”.
Le persone disabili saranno incoraggiate a non sottrarsi a relazioni di abuso con il pensiero latente – ma molto esplicito a livello sociale – di essere partner in qualche modo “mancanti”, di doversi accontentare, di dover essere grate per qualunque tipo di attenzione sessuale/romantica/affettiva da parte di chi non è disabile.

Sicuramente la percezione sociale delle coppie interabled va di pari passo con un progresso (o meno) nello stato dei diritti delle persone disabili. Lo vediamo già nei Paesi che offrono più opportunità e in cui le persone disabili fanno davvero parte del tessuto sociale, dove queste coppie sono meno messe in dubbio.
Arriveremo a un giorno in cui ci sarà una percezione “neutra” di queste relazioni. Ma intanto, continuano a finire sotto i riflettori.

Pagina Facebook Witty Wheels; Rete Liberi di Fare. Il presente contributo è già apparso nel blog Pasionaria e viene qui ripreso, con minime variazioni di contesto, per gentile concessione.

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