Dopo avere parlato solo pochi giorni fa di Nathaniel, sedicenne con sindrome di Down ucciso in Sudafrica a colpi di arma da fuoco dalla polizia, ciò che aveva portato all’arresto di tre agenti con l’accusa di omicidio, ci risulta a dir poco difficile commentare la notizia proveniente oggi dagli Stati Uniti, dove a Salt Lake City, capitale dello Utah, un tredicenne con disturbo dello spettro autistico – sindrome di Asperger, secondo taluni organi d’informazione – è stato più volte colpito dalle armi della polizia locale ed è ora ricoverato in ospedale, ove versa in gravi condizioni.
A chiamare la polizia, a quanto pare, era stato la stessa madre di Linden, questo il nome del ragazzo, che era in preda a un’incontrollabile crisi nervosa. La donna ha poi dichiarato a un’emittente locale di avere spiegato alla polizia che il tredicenne era disarmato e che non era in grado di controllare le proprie reazioni; per questo aveva bisogno di essere portato in ospedale. «Gli agenti giunti sul posto – riferisce quindi “la Repubblica.it” – hanno intimato al ragazzo, che urlava a squarciagola, di mettersi a terra e poi, non ascoltati, hanno aperto il fuoco, colpendolo diverse volte».
«La polizia di Salt Lake City – si legge ancora – ha spiegato di essere stata chiamata per un problema psichico violento che riguardava un ragazzo armato e che l’adolescente è scappato a piedi ed è stato colpito da un agente dopo un breve inseguimento. Secondo i media locali, però, nessuna arma è stata trovata sul luogo dell’accaduto», ciò che sarebbe stato confermato dalla polizia stessa. Dal canto suo il Sindaco della città ha chiesto un’inchiesta per fare chiarezza sull’accaduto.
Dopo l’uccisione di Nathaniel in Sudafrica, l’IDA (International Disability Alliance) era duramente intervenuta, chiedendo tra l’altro, alle forze dell’ordine di tutto il mondo, «di garantire che i propri membri siano adeguatamente attrezzati e qualificati per comunicare con tutte le persone con disabilità». E chiedendo anche «a tutti i Governi di richiamare gli obblighi assunti con la ratifica della Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità e di garantire che siano messe in atto misure che proteggano i diritti delle persone con disabilità».
Proprio di tale questione, commentando quanto avvenuto nello Utah, scrive Massimo Gaggi in «Corriere della Sera.it», sottolineando come sia «sempre più evidente che, al di là di atteggiamenti razzisti che emergono in alcune circostanze, molti agenti americani, decisi a non rischiare nulla nel contatto fisico con la persona da arrestare e protetti da norme che li autorizzano a sparare se si sentono minacciati, reagiscono con un eccesso di violenza non appena si delinea una situazione potenzialmente pericolosa. A Salt Lake City c’erano già stati casi di reazioni eccessivamente violente degli agenti», di fronte alle quali «il Sindaco e le altre autorità cittadine avevano sollecitato una riforma della polizia e un addestramento più approfondito. Gli agenti, che avevano già studiato le tecniche di de-escalation per far scemare le tensioni, avevano promesso di seguire un nuovo corso su come trattare i cittadini con problemi psichici. Doveva iniziare sabato, il giorno dopo la sanguinosa cattura di Linden»…
E tuttavia, vien da chiedersi, basteranno dei corsi di formazione, per fermare episodi del genere, in un’epoca come questa, di crescente violenza diffusa a tutti i livelli? (S.B.)