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Norme anti-Covid a scuola e disabilità: altro che accomodamenti ragionevoli!

Bimbo con disabilità in una stanzetta da solo

Un bimbo con disabilità di una scuola elementare, costretto a trascorrere le ore scolastiche con la sua carrozzina in uno stanzino, senza alcun tipo di supporto

In questo inizio di anno scolastico il tema più dibattuto nel gruppo Facebook Normativa Inclusione, coordinato da chi scrive (oltre 40.000 iscritti, prevalentemente genitori e insegnanti, e ogni giorno a frequentarlo sono circa 15.000 persone), è quello dell’applicazione delle norme di protezione anti-Covid per gli alunni e le alunne con disabilità.
Le indicazioni nazionali richiamano il principio dell’“accomodamento ragionevole” della Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità: si veda in particolare il Piano Scuola del Ministero dell’Istruzione del 26 giugno scorso, dove è detto che «priorità irrinunciabile sarà quella di garantire, adottando tutte le misure organizzative ordinarie e straordinarie possibili, sentite le famiglie e le associazioni per le persone con disabilità, la presenza quotidiana a scuola degli alunni con Bisogni educativi speciali, in particolar modo di quelli con disabilità, in una dimensione inclusiva vera e partecipata. Per alcune tipologie di disabilità, sarà opportuno studiare accomodamenti ragionevoli…» (pagina 7). In tal senso, il Ministero fa appunto esplicito riferimento al concetto di “accomodamento ragionevole” (Reasonable Accomodation) previsto dall’articolo 5 della citata Convenzione ONU (Legge 18/09 dello Stato Italiano).
E tuttavia, la realtà che emerge dalle testimonianze di genitori e insegnanti è purtroppo spesso quella di una scuola che sa adottare solo misure rigide che non prevedono eccezioni di sorta e che è pronta ad allontanare gli alunni e le alunne con disabilità dalla classe, a volte anche dalla scuola. Non è ovviamente ovunque così, ci mancherebbe, ma il fatto stesso che queste cose succedano, e a giudicare dal numero di segnalazioni pervenute non siano proprio rarissime, dimostra purtroppo che l’inclusione di questi alunni e alunne a scuola in questa fase complicata, nonostante l’importante pronunciamento del Ministero, non sia per nulla garantita.
Abbiamo dunque operato una selezione, che qui di seguito proponiamo, tra le testimonianze pervenute a Normativa Inclusione, anche perché alcune sono ricorrenti e sarebbe stata una inutile ripetizione.

Se non rispetta le regole non entra a scuola
Tra gli alunni/e con disabilità ce ne sono anche alcuni/e che le regole anti-Covid non le possono né capire né tanto meno rispettare, ma non per questo non possono andare a scuola: bisognerà trovare un modo per garantire sia la sicurezza che il diritto allo studio. La soluzione più semplice, però, non sempre è anche quella più equa, e questi sono i risultati:
«Mio figlio frequenta la prima superiore con diagnosi ADHD (disturbo da deficit dell’attenzione e iperattività) più spettro autistico. La scuola mi dice di tenerlo a casa in quanto non riesce a osservare le regole di igiene Covid. La scuola può fare questo?».
«Sono insegnante di sostegno. Un ragazzo che ho in carico, nello spettro autistico e ADHD, Legge 104 articolo 3, comma 3, durante le ore a scuola ha bisogno di camminare. La scuola ha chiesto alla famiglia di tenerlo a casa i giorni in cui si sveglia agitato perché non può girare per le nuove regole Covid. Mi chiedo come sia possibile una tale richiesta. Come fa una famiglia dove entrambi i genitori lavorano a organizzarsi al mattino a seconda di come vedono il figlio?».

Troppe persone in classe? Basta mandare fuori l’insegnante di sostegno con il “suo” alunno
Se gli alunni sono tanti e gli spazi ristretti, per entrare nei parametri è diventato normale imporre quello che da anni si cercava faticosamente di contrastare: l’abitudine a piazzare gli alunni/e con disabilità in un’aula a parte. Formalmente la persona in più è l’insegnante di sostegno, ma ovviamente mica può uscire da solo, quindi fuori anche l’alunno con disabilità, eventualmente con qualche compagno a turno, tanto per salvare le apparenze.
In realtà viene violata pesantemente la legge che garantisce (ossia “assicura”) il diritto all’integrazione scolastica nelle classi comuni, con i compagni, non in aule a parte (Legge 104/92, articolo 12, comma 2), per non parlare della Legge 67/06 sulla discriminazione (se tutti possono rimanere sempre in classe, ma l’alunno con disabilità deve uscire, la discriminazione è evidente).
«La Dirigente del mio Istituto ha deciso che l’insegnante di sostegno non può stare in classe ma deve stare all’esterno dell’aula con il bambino a lei assegnato per tutta la durata del tempo scuola. Dice che è una misura indispensabile per il contrasto al Covid. Davvero le Linee Guida dicono questo?».
«In una classe terza della scuola secondaria di primo grado ci sono 17 alunni di cui 2 con insegnante di sostegno (18 ore uno, 9 ore l’altro), oltre ovviamente all’insegnante curricolare. Per 6 ore c’è un terapista e dovrebbe arrivare anche un educatore per 4 ore, quando il Comune avrà le risorse necessarie per inviarlo. La scuola ha grosse difficoltà a rispettare il numero massimo di persone che possono essere presenti in aula contemporaneamente per le norme di prevenzione del contagio Covid, e propone che l’alunno con disabilità debba uscire fuori dall’aula quando ci sia la terapista (alunno, terapista, sostegno in un’altra aula da soli)».
«Oggi primo giorno di scuola di mia figlia, prima media con Trisomia 21 e comportamenti oppositivi e provocatori, è stata subito portata fuori dalla classe e spostata in quella che definiscono “aula di sostegno”. Sono andata a parlare con la Preside e mi ha raggelato dicendomi che “quest’anno la maggior parte dei disabili starà fuori dalla classe perché non possono rimanere due docenti contemporaneamente”. È davvero così? Cosa si può fare?».
«Sono insegnante di sostegno della scuola primaria e lavoro in una classe con due alunni certificati con gravità. Il dirigente ci ha comunicato che in classe possono entrare al massimo 2 adulti. Facendo un po’ i conti, da noi in classe ruotano sempre almeno tre figure, docente curricolare, almeno un insegnante di sostegno, un operatore socio sanitario o un lettore della provincia. Il Dirigente ha consigliato di uscire a turno con uno degli alunni con certificazione. Noi non siamo d’accordo per innumerevoli ragioni; come si potrebbe aggirare il problema?».

Possibile spetti al medico di un’insegnante di sostegno decidere come si organizza l’inclusione a scuola?
Un insegnante di sostegno viene dichiarato «lavoratore fragile» e il medico prescrive che possa andare a scuola, ma che debba avere solo pochi alunni vicino e che non possa stare in classe con tutti. Detto fatto, l’alunno con disabilità viene allontanato dai suoi compagni e quello che è stato deciso nel PEI (Piano Educativo Individualizzato) non conta più nulla.
«Un insegnante di sostegno, lavoratore fragile, non può stare nella classe con gli alunni per cui il medico competente ha stabilito che deve svolgere il suo orario in un piccolo ambiente con pochissimi alunni. Ha anche detto che questi alunni non devono avere patologie fisiche. Ma a questi bambini non viene negato il diritto all’inclusione? In questo modo vengono separati dal proprio gruppo classe per tutta la durata dell’orario di sostegno».

Può stare in classe, ma non come gli altri: un banco diverso, un posto diverso… Sempre per la sicurezza
Chi applica o definisce le norme di sicurezza in una scuola dovrebbe sapere come è organizzata e conoscere almeno i princìpi fondamentali dell’inclusione degli alunni e delle alunne con disabilità. Non parlo solo di diritti, ma anche delle loro specificità e differenze, partendo dall’idea che non sono una categoria omogenea e che ogni personalizzazione, anche se riguarda la salute e la sicurezza, deve considerare le differenze e i bisogni individuali. Le testimonianze che seguono fanno capire che purtroppo le disposizioni a volte sono scritte da persone che di queste cose non ne sanno nulla.
«Sono un’insegnante di sostegno e da qualche anno seguo un ragazzo che all’inizio non accettava assolutamente di avermi intorno. Grazie anche all’aiuto della famiglia, sono riuscita ad instaurare con lui un ottimo rapporto e negli ultimi due anni, mi sedevo anche accanto a lui. Ora, causa virus, la mia scuola ha deciso di dare solo ai ragazzi con sostegno il banco doppio (mentre il resto della classe ha il banco singolo), di metterli davanti alla cattedra, e a noi di sostegno ha imposto oltre alla mascherina e alla visiera anche l’uso di un camice di stoffa bianco. Da quando indosso il camice il ragazzo non vuole più che io gli stia vicino. Non vuol sedersi in quel banco e rifiuta qualsiasi aiuto da me. Si sente diverso, anzi meglio dire: trattato diversamente. Posso oppormi al camice, visto anche che è di stoffa e quindi non garantisce alcuna prevenzione Covid? Posso chiedere al preside che al ragazzo venga dato un banco singolo come tutti gli altri? L’inclusione non dovrebbe essere prioritaria? Non voglio che un camice o un banco mi allontanino dal mio ragazzo!».
«Mio figlio è un ragazzino che si muove con carrozzina elettrica. Per lui non abbiamo richiesto nessuna forma particolare di “attenzione” a scuola; ne abbiamo parlato con la nostra neuropsichiatra che ha detto che lui è e deve essere trattato come tutti gli altri. Oggi, all’uscita del primo giorno di scuola, con il magone mi ha fatto vedere la disposizione dei banchi nella classe: lui deve stare da solo, lontano dai compagni e vicino alla cattedra, anche se ci sono due posti vuoti fra le file di banchi… Ritengo sia una sistemazione inammissibile oltre che umiliante per lui».

Vietato uscire dalla classe
I corridoi della scuola saranno di sicuro deserti, ma non fa nulla: se un bambino con autismo vi cammina diventa “un pericoloso untore”.
«Sono madre di un bambino autistico che tende ad uscire dall’aula perché è anche ADHD. Le insegnanti mi hanno detto che assolutamente non potrà mai uscire perché rischia di infettare gli altri o di essere infettato. Io sapevo che un soggetto fragile ha la possibilità di farlo, insieme all’insegnante di sostegno o l’assistente. Vorrei chiedere se c’è una legge che lo permette».

Vietato portare a scuola gli strumenti di comunicazione, vietato usare mascherine trasparenti
Anche un quaderno di comunicazione diventa un pericoloso veicolo di contagio e se il responsabile della sicurezza decide che le mascherine trasparenti non vanno bene non si possono usare e il bambino sordo si arrangia.
«Bambina con autismo a basso funzionamento, non verbale, abituata a usare un quaderno specifico per la CAA [Comunicazione Aumentativa Alternativa, N.d.R.], tarata in base alle sue capacità cognitive e costruita dalla psicologa che la segue. È possibile che la scuola vieti di fare entrare in istituto oggetti specifici come il set PECS [Picture Exchange Communication System, N.d.R.] o altri strumenti speciali causa Covid? Tutte le immagini sono state plastificate. C’è un passo della normativa che specifica che gli strumenti “speciali” possano essere usati normalmente a scuola nonostante il Covid?».
«Mia figlia, con ipoacusia neurosensoriale bilaterale, ha iniziato il percorso alle medie dove ci avevano assicurato che gli insegnanti che si rapportano a lei avrebbero usato visiera e mascherina trasparenti per aiutarla col labiale. Ora ci dicono che il responsabile della sicurezza le ha bocciate e quindi non si possono usare; inutile discutere perché decide lui. Mia figlia con le mascherine normali fa troppa fatica e già le cresce l’ansia».

Nessun estraneo può entrare a scuola!
L’applicazione rigida di questa norma sta creando situazioni paradossali: il Protocollo di Sicurezza dell’8 agosto scorso raccomanda di «ridurre» l’ingresso di persone estranee a scuola e pone per i visitatori una serie di procedure da rispettare, ma assolutamente non proibisce le visite. Secondo le testimonianze che seguono si è arrivati invece a proibire:
° l’ingresso di un infermiere a scuola per consentire il pasto a un bambino alimentato con la PEG (gastrostomia endoscopica percutanea);
° l’ingresso dell’assistente alla comunicazione per un alunno sordo;
° l’ingresso di una mamma per accompagnare dal cancello alla porta dell’edificio (si parla di un percorso di 5 metri), un bambino disperata e urlante.
«Mio figlio disabile di 5 anni è iscritto alla scuola dell’infanzia. Fino all’anno scorso frequentava dalle 9 alle 15 e all’ora del pasto arrivava un’infermiera perché viene alimentato via PEG. Oggi mi hanno comunicato che per problemi di sicurezza anti-Covid e per tutelare la salute di mio figlio, l’infermiera non potrà più entrare a scuola e devo portarlo a casa per il pasto. Già tanto che me lo tengano la mattina. Mi hanno detto che non è scuola dell’obbligo e quindi non sono tenuti a farlo mangiare lì».
«Mio figlio, sordo portatore di impianto cocleare, è iscritto alla classe prima di un istituto professionale. Da anni, oltre che avere l’insegnante di sostegno, è seguito anche da un assistente alla comunicazione fornita da una cooperativa. La scuola stamane mi ha detto che non può accettare l’operatore perché “le modalità di accoglienza all’interno della scuola di personale di affiancamento sono definite da linee regionali che non consentono la presenza in aula di personale diverso da quanti in organico alla scuola stessa”. Corrisponde al vero quanto dettomi dalla scuola sopra riportato fra virgolette?».
«Mio figlio 6 anni, primo anno delle elementari ogni giorno ha delle brutte crisi al cancello della scuola. L’assistente, credo senza esperienza con bambini così gravi, nemmeno lo prende per la mano per portarlo dentro. Probabilmente le hanno detto di non toccarlo. Non c’è la possibilità di poter fare altri 5 metri con mio figlio, salire 5 scalini e lasciarlo dentro della scuola? Può essere considerata questa mia richiesta come un “accomodamento ragionevole”?».

Ma se c’è da cambiare il pannolino i genitori ora “devono” andare a scuola…
Qualcuno dice che per effetto delle norme anti-Covid i collaboratori scolastici non possono più occuparsi dell’assistenza igienica, ma in questo caso i genitori possono, anzi “devono”, entrare a scuola. Ovviamente una norma del genere non esiste, ma questo è un dettaglio…
«Mi hanno chiamata poco fa dalla scuola dell’infanzia statale dicendo che quest’anno per le regole Covid i bambini non potranno essere cambiati dalle assistenti scolastiche, pertanto si presenta il problema con mia figlia che è incontinente per il cambio del pannolino. Ma è una regola nazionale oppure c’è altro…».

Per concludere, spero vivamente che questo mio intervento non sia vissuto come l’ennesimo tiro al bersaglio verso la scuola, il Ministero e la Ministra, che tanto va di moda in questo periodo.
Nell’applicazione delle norme anti-Covid agli alunni e alle alunne con disabilità nessuno si attendeva indicazioni rigide che dall’alto specificassero caso per caso quello che si poteva o doveva fare e ha fatto bene il Ministero a richiamare il principio dell’accomodamento ragionevole, che è sostanzialmente un invito ad agire con flessibilità, pur in modo sempre responsabile, per garantire i diritti fondamentali. I risultati, però, dimostrano che probabilmente servirà qualche precisazione in più, perché tutto quell’impianto si basa sul presupposto che chi prende le decisioni sappia agire con senso di responsabilità e riconoscere i diritti e i bisogni delle persone con disabilità, mentre le tante testimonianze raccolte dimostrano purtroppo che non sempre è così.

Formatore.

Ricordiamo che in riferimento ai disagi vissuti in questa prima fase dell’anno scolastico dagli alunni e alunne con disabilità, la FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap), come abbiamo segnalato in altra parte del giornale, ha chiesto alla Ministra dell’Istruzione una convocazione urgente dell’Osservatorio Ministeriale Permanente per l’Inclusione Scolastica.

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